Scritti editi e postumi. Bini Carlo

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Scritti editi e postumi - Bini Carlo

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a travolgersi fra l'ignoranza e il bisogno? Chi gli fa sapere, che l'errore è un elemento organico dell'umana natura, e che un uomo solo non è mai infallibile? Chi lo sospinge a chinar verso terra lo scettro a guisa di leva per suscitare i prostrati, e non a gravarlo come un flagello? – Invece i suoi cortigiani recidono qualunque legame fra lui e il popolo; – lo chiudono fuori dell'umanità; – lo chiudono in un palazzo assiepato di ferri appuntati contro il lamento e la preghiera dell'infelice; – gli fanno vedere il mondo traverso un prisma colorato d'oro e di porpora; – gli empiono l'aule di festa, e d'armonia continua; – gl'intristiscono il cuore con un senso monotono di prosperità ottusa e solitaria, – talchè se un sospiro per accidente gli ferisce l'orecchio, dimanda: – perchè sospira quel miserabile? è egli così fiacco? io non ho mai sospirato. – Lo persuadono a riguardare i precetti moderatori d'una santa filosofia come atti di ribellione; – gli fanno credere ch'ei sia stato creato a calpestare uno strato di teste umane. – Gli comprano un poeta, gli comprano uno storico, per adularlo in prosa e in versi, – nel bene e nel male; – lo posano sopra un'ara; – gli mettono in mano il fulmine della legge assoluta, e poi l'adorano; – tanto che, se egli non si vedesse diffuso sul capo il manto infinito dei cieli, crederebbe d'essere Dio. E quando gli hanno pervertite tutte le facoltà del cuore e dello spirito, gl'insegnano a giuocare indifferentemente colla vita dei popoli come fa il matematico sulla sua lavagna, che trasporta a suo talento i numeri da un'estremità all'altra, e per uno sbaglio o per bizza cancella talvolta la cifra d'un milione. Oh! la potenza senza freno d'umane simpatie è un dono funesto! Trista è la potenza che può emulare Dio nel distruggere, e non nel creare; che può annientare una generazione, e non può risuscitare un verme quando l'ha spento!

      CAPITOLO XV

      – Devo dirla come la penso? – Per un tratto del vostro discorso mi avete fatto una paura diabolica; – io credeva, che voi voleste volare; – io tremava per voi, ma poi mi sono rassicurato; – vi ho guardato i piedi, e li ho veduti immobili, e fissi come chiodi. – Per altro avete fatto un gran fare; – sbracciavate, – sbuffavate, – gli occhi fuori dell'orbita, – il volto infiammato, – le vene della fronte rigonfie; – vi pare a voi? – è la maniera di farsi venir male. E che paroloni! sesquipedalia verba: – e che voce avete fatto! ne ho sempre rintronate le orecchie! voi eravate in un accesso! mi avete fatto paura! io già pensava a una cavata di sangue.

      Volete un consiglio da amico? Smettete cotesto stile, – non è per voi, – non ci guadagnerete, che l'asma. Voi non siete un uomo esaltato, – non potete esserlo, – avete troppo umore. Io lo so; – vorreste esser poeta; – ognuno ambisce di essere quel che non può. Invece di un buon cappello di feltro vorreste una bella ghirlanda d'alloro, – per mille ragioni, e, non fosse altro, per campar la testa dalle saette. Ma datevi pace, l'alloro non è per voi; – e ve ne regalassero anche un albero, non sapreste mai trarne una corona di poeta; – gran mercè, se voi ne cavaste una frasca da osterie. – Io lo so; – vorreste esser poeta, e vorrei essere anch'io; – ma come fareste quando il filo non arriva? – Vi compatisco; – avete letto Dante, l'Ariosto, Byron, Schiller, Goethe; – li avete gustati, – li avete sentiti; – vi compatisco; vorreste anche voi avere un'anima temprata come l'arpa eolia, che ad ogni minimo fiato rendesse armonia; vorreste avere un'anima limpida, trasparente, in cui l'universo si riflettesse come in uno specchio. – Ma è tutt'una, – non siete nato, – i poeti nascono belli e fatti: Vates nascuntur. Ditemi voi, – dove andarono a scuola Omero, Ossian, Burns? – E poi sentite questi due versi, che paiono fatti a posta per voi:

      E cui Natura non lo volle dire

      Nol dirian mille Rome, e mille Ateni.

      Avete capito? e badate, son versi di un classicista, che credeva nell'Arte forse più del dovere. – Smettete, – vi ripeto – sarà meglio per voi. Consultate bene l'indole vostra, e quella seguite; non farete mai male. Perchè, se avete corta la vista, volete farmi l'astronomo? Fate il sartore piuttosto, che cucirete a punti piccoli e bene uniti, e così vi acquisterete una lode moderata, è vero, ma pure una certa lode. – Non fate l'astronomo; – potreste scambiare un fanale col mondo di Saturno, e allora – risum teneatis, amici? – Smettete lo stile eroico, – non è per voi; invece di fare della poesia, fate della rettorica, – cosa veramente insoffribile in un secolo come il nostro. Non ve l'ho detto io sempre? Il cavalcare non è per voi; – crederete di fare la figura di un S. Giorgio, e invece siete una balla a cavallo. Non ve ne abbiate per male, – andate a piedi, – è la vostra condanna. Cosa ci volete fare? Tanto, poeta non sarete mai; vi manca l'ispirazione. Se l'esser poeta consistesse nel tornir bene un verso, come usava nel cinquecento e nel settecento, – vada; avete l'orecchio abbastanza armonico, e, quando vi piace, sapete scegliere una frase elegante. Ma tutto questo non è poesia, – è un lavoro da monache. Avete bensì l'anima spruzzata di poesia, – ma quella vena larga, inesausta, – che costituiva Dante e compagni, – voi non l'avete. – Non bisogna pretendere di far tutto, – anche il genio ha i suoi limiti. – Newton, che poteva leggere a suo beneplacito la facciata immensa del firmamento, si smarrì nei pochi fogli dell'Apocalisse, e riuscì un infelice teologo. – Chi nasce artefice per tessere un drappo prezioso, – chi nasce tignuola per guastarlo. E la tignuola, – è inutile, – non sa che rodere. Ve lo dica un Professor dal fiocco rosso, quando si propose anch'egli di fare una stoffa! – Fece una tal cosa, che anch'egli ne avrebbe riso, se non fosse stato giudice e parte. Ma non fu così quando si trattò di rodere; – vero è bensì, che in ultimo torse la bocca, perchè le tinte delle vesti corrose contenevano troppo d'acido. – Smettete, – non cesserò mai di ripetervelo, – lo stile poetico; – credete di suonare la tromba epica, e invece non fate che gonfiar le guancie. Voi non siete veramente nè poeta, nè oratore, nè storico, nè filosofo, nè tignuola; – siete un non so che, che non lo sappiamo nè io nè voi. – Quando la Natura vi architettava, invece di farvi la testa, sopra pensiere fece una gabbia da grilli; – poi si accôrse del fallo, ma non volle tornare indietro, e lasciò il lavoro come stava; – pure perchè la gabbia avesse uno scopo, una conveniente destinazione, la riempì liberalmente di grilli, e così voi siete riuscito quel che siete. Dovete convenirne per maledetta forza, – l'enfasi, il far di Pindaro, a voi non si addice; – voi non potete aspirare, che a una certa ironia, a una certa malizia, talvolta a un poco di grazia, a uno stile negligente giusto appunto come siete voi. Datemi ascolto: scrivete sempre alla buona, alla sans souci, e terminate la storia del Povero carcerato. —

      CAPITOLO XVI

      E così mandando al diavolo tutti i saccenti, e adoprando lo stile che meglio mi aggrada, ripiglio la mia storia tante volte interrotta.

      Il pover'uomo non è morto ancora; – prova ne sia ch'io l'ho veduto. – Come mai? – mi direte. Ecco come; mentre quel ser saccente mi dava quei tanti consigli, che io non gli aveva chiesti, facevamo cammino, e questo era il meglio; a un terzo del discorso, siamo giunti dinnanzi alla carcere, e di lì a minuti è stata aperta, ond'io ho potuto vedere agiatamente i fatti miei tali e quali come vado a dirveli. – Il pover'uomo, come sapete, non è morto ancora; e s'ei fosse morto, (questo lo dico per rispondere a chi dianzi trepidava tanto per lui), s'ei fosse morto, certo sarebbe morto senza nessuno d'intorno, – solitario come una bestia del bosco. Chi volete che fosse passato per assisterlo in quel transito angoscioso? Fra il Povero e la Pietà sta di mezzo una prigione, e la Giustizia ne difende l'ingresso come la spada del cherubino alle mura dell'Eden.

      Il pover'uomo non era più stupido, come quando io lo lasciai; – mi pareva anzi irritato, – e forse troppo. Le sue passioni erano rimontate, – le passioni fanno come la marea. Allora sì mi pareva, che più di prima egli avesse bisogno d'un amico, che con modi cordiali e con suoni di conforto si provasse di acchetare quella tempesta, che gli ruggiva dentro, e gli capovolgeva la ragione. Egli passeggiava furiosamente per tutti i versi i cinque passi della sua stanza; – spesso si dava nella fronte con una palma, – spesso batteva coi piedi la terra; – ora fischiava turbinosamente, – ora cantava in una lingua e in una musica affatto nuova; – ora s'incrociava le mani sul petto, nascondendosi le pupille terribilmente sotto le

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