Spirito, Anima, Persona Dall'Antichità Greca Ed Ebraica Al Mondo Cristiano Contemporaneo. Guido Pagliarino

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fra essere e non-essere: cioè proprio quanto il principio di Parmenide afferma non possibile, perché assurdo. Dunque, da Platone il problema non viene risolto. Ci riproverà Aristotele.

      Platone finisce con l’accontentarsi di relegare il mondo sensibile a una condizione semi-illusoria e d’attribuire importanza fondamentale solo agli eterni e immutabili Bene assoluto (Dio stesso) e mondo delle idee che sono al di là di tempo e spazio.

      Per giustificare l’esistente egli introduce una sorta di sotto-Dio, il Demiurgo: il mondo sensibile è costituito dalle cose materiali plasmate da questa figura divina diversa e inferiore a Dio. Il Demiurgo appare nel dialogo Timeo ed è una sorta d’artigiano divino: il mondo fisico deriva sia dal mondo delle idee sia dalla materia eterna e il Demiurgo funge da mediatore, contemplando le idee stesse, facendole scendere e plasmando l’universo secondo il loro modello; idee, Demiurgo e mondo esistono da sempre, come da sempre esiste il Bene assoluto. Essendo semi-illusorio, l’imperfetto mondo materiale è soggetto a disgregarsi senza posa, per cui il Demiurgo deve occuparsene in continuazione per mantenerlo e, in questo, il mondo trascorre; tale divenire è raccolto dalle impressioni dei nostri sensi.

      Questo dio secondario non è dunque creatore ma solo plasmatore e non è onnipotente, a differenza del Dio giudeo-cristiano; la materia lo limita, impedendogli di fare un mondo perfetto; e le idee, cui deve attenersi, lo determinano. È la concezione che sarà raccattata secoli dopo dallo Gnosticismo cristiano (cfr. Cristianesimo e Gnosticismo: 2000 anni di sfida, cit.) che identificherà nel Demiurgo la figura di Jahvè.

      Si noti che l’opinione, che s’incontra talvolta, che la figura biblica del Creatore giudeo-cristiano – non di quello gnostico – derivi dai platonici Demiurgo e Bene assoluto, una sorta di figura di mezzo tra i due, o anche solo l’affermazione che l’idea di plasmatore si ritrovi nel Dio della Genesi che plasma il fango creando Adamo, sono congetture da respingere, se non altro per ragioni cronologiche; infatti il libro della Genesi originale, in ebraico, è scritto nel VI-V secolo avanti Cristo e deriva da tradizioni di molto precedenti la vita di Platone (427 - 347 a.C.) e precisamente dalle tradizioni Jahvista, Elohista, Deuteronomista che convergono nella tradizione Sacerdotale (ne parlo a fondo nel mio e-book "Il vento dell'amore" http://www.pagliarino.com/e-book_Il_Vento_dell'Amore.htm ).

      Forse però, all'inverso, si tratta di tradizioni note a Platone? Intendo o come narrazioni orali raccolte dal filosofo presso membri della diaspora giudaica, oppure lette nella stesura originale della Genesi in lingua ebraica, sempre che il filosofo conoscesse tale lingua? Certamente non raccolte dalla traduzione in greco detta dei Settanta, quella poi frequentata dai Padri della Chiesa, che è del II secolo a.C. cioè assai successiva a Platone. Ch’io sappia, non ci sono fonti per sostenere una dipendenza delle figure platoniche del Bene assoluto e del Demiurgo dalla Bibbia in ebraico. È comunque interessante, relativamente al nome biblico di Dio, quanto scrive il teologo Joseph Ratzinger nel saggio “Introduzione al Cristianesimo – Lezioni sul Simbolo apostolico" (traduzione dal tedesco di Gianni Francescani, con un nuovo saggio introduttivo, 2005, Editrice Queriniana) al capitolo 2, La fede in Dio nella Bibbia, precisamente a proposito del quesito se il nome di Dio in Esodo, 3, 13-15 abbia a che fare con l’essere dei greci: “Il senso del testo è manifestamente quello di motivare il nome Jahwè come decisivo nome di Dio in Israele […] attribuendogli anche un preciso significato contenutistico. Quest’ultimo scopo viene ottenuto riconducendo l’incomprensibile termine Jahwè alla radicale hãjâ = Essere. […] Questa spiegazione del nome Jahwè attraverso il verbo ‘essere’ (Io-sono) viene poi sostenuta da un secondo tentativo di chiarificazione, dicendo che Jahwè è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe […]. Innanzitutto: che significato ha il fatto che qui si ricorra all’idea dell’essere quale spiegazione di Dio? Per i Padri della Chiesa provenienti dalla filosofia greca ciò apparve subito come una inattesa e audace conferma del loro passato di pensatori; sì, perché la filosofia greca considerava come la sua scoperta più decisiva l’aver colto, dietro le colluvie di cose singole con cui l’uomo ha quotidianamente a che fare, l’idea universale dell’essere, che essa aveva ritenuto subito la più adatta a esprimere il divino. Ora anche la Bibbia sembrava dire la stessa cosa, e proprio nel suo testo centrale concernente l’immagine di Dio. […] Essi ritennero tanto perfetta l’identità fra la ricerca da parte dello spirito filosofico e la ricezione avvenuta nella fede d’Israele, da nutrire l’opinione che lo stesso Platone non avrebbe potuto di sua iniziativa giungere a tale conoscenza, ma avrebbe conosciuto l’Antico Testamento e avrebbe da esso desunto il suo pensiero. […] In effetti, il testo in greco dell’Antico Testamento che i Padri avevano in mano,” – la citata traduzione dall’ebraico al greco cosiddetta dei Settanta (traduttori), N.d.A. – “poteva far nascere l’idea di una tale identità fra Platone e Mosè, mentre logicamente la dipendenza poteva, semmai, esistere proprio in senso inverso. I traduttori della Bibbia ebraica in greco, infatti, erano influenzati dal pensiero filosofico ellenico e a partire da esso avevano letto e inteso il testo; […] essi avevano, per così dire, già gettato il ponte di collegamento fra il concetto biblico di Dio e il pensiero greco allorché avevano tradotto il v. 14, ‘Io sono colui che sono’, con l’espressione ‘Io sono colui che è’. Il nome biblico di Dio viene qui identificato col concetto filosofico di Dio. […] La versione greca dell’Antico Testamento e le deduzioni dei Padri della chiesa basate su di essa poggiano […] su un equivoco? Su tale questione non solo gli esegeti sono oggi unanimi, ma gli stessi specialisti in teologia sistematica ribadiscono energicamente, e con buoni fondamenti, che questo problema va molto al di là di tutti i problemi di esegetica spicciola. Così, per esempio, Emil Brunner ha categoricamente asserito che il segno d’uguaglianza qui posto fra il Dio della fede e il Dio dei filosofi comporta il travisamento dell’idea biblica di Dio nel suo contrario. […] Si tratta di una caduta nell’ellenismo, di una apostasia dal Dio che il Nuovo Testamento chiama Padre di Gesù Cristo? […] Che cosa dice il nome Jahwè e quale significato ha la sua spiegazione mediante il verbo ‘essere’? […] Un’unica cosa si può asserire chiaramente: una sicura attestazione del nome Jahwè in tempi anteriori a Mosè, e in ambienti estranei ad Israele, manca completamente […] la coniazione del nome completo Jahwè, per quanto oggi ci è dato di sapere, è avvenuta soltanto in Israele: essa sembra essere opera della fede di Israele, che ha qui agito non senza collegamenti, ma comunque in maniera creativa, plasmandosi il proprio nome di Dio e quindi anche la propria immagine di Dio. Oggi, anzi, molti dati della ricerca parlano di nuovo in favore del fatto che la formazione di questo nome sia stata effettivamente opera di Mosè,” – siamo nel XIII secolo a.C., N.d.A. – “la quale ha potuto con esso infondere nuova speranza ai membri del suo popolo in schiavitù. La definitiva formazione di un proprio nome di Dio, e quindi di una propria immagine di Dio, sembra abbia costituito la base di partenza per la costituzione di Israele in popolo”.

      Gli scrittori ecclesiastici antichi, anzitutto il grande Ireneo di Lione, definivano Adamo il protoplasto, il primo plasmato da Dio; questo però per ragioni bibliche – “allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente” (Gen 2, 7) – e non platoniche, sebbene quegli scrittori ecclesiastici ben conoscessero, e usassero contro gli gnostici, la filosofia greca.

      Ha contribuito forse all’equivoco il fatto che il Demiurgo è un dio personale come quello della Bibbia. D’altra parte i medesimi scrittori usavano anch’essi la parola Demiurgo, anche se per indicare il benigno Dio cristiano creatore, ben diversamente dagli autori gnostici cristianeggianti (cfr. - in moltissimi punti - l’opera in due volumi di Antonio Orbe, La teologia dei secoli II e III, traduzione italiana dallo spagnolo a cura di Maria Gilli, Piemme Theologica & Editrice Pontificia Università Gregoriana, II edizione, 1996).

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