La Trasformazione: Sull'Eterno Corpo Glorioso Spirituale E Sul Nulla Eterno Infernale. Guido Pagliarino

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La Trasformazione: Sull'Eterno Corpo Glorioso Spirituale E Sul Nulla Eterno Infernale - Guido Pagliarino

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esaminare. Per alcuni esseri nulla lo vieta: per esempio, per l’anima: non tutta l’anima, ma solo l’anima intellettiva; tutta sarebbe impossibile’ (Metafisica, libro XII, 3, 1070, traduzione di Giovanni Reale, Milano, 1978). Ebbene (cfr. Guido Pagliarino, È Uomo, Pozzuoli (Na), 2007): “Si deve però notare ch’egli aggiunge, il che non sempre è notato e citato da coloro che sostengono che Aristotele credesse all’immortalità dell’anima: ‘Comunque, è chiaro che non occorre affatto, per questo, ammettere l’esistenza delle Idee: l’uomo genera l’uomo e l’individuo un altro individuo’ (ibid). Dunque, se l’anima intera non è separabile dal corpo, tuttavia la sua parte più alta potrebbe esserlo? Intanto, dev’essere chiaro che, comunque, per lo Stagirita l’intelletto individuale, che nel caso sarebbe più pneumatico che psichico, perderebbe la personalità nel raggiungere il culmine in Dio, a differenza che per il reincarnazionista Platone; sappiamo che lo spirito per Platone riguardava il mondo superno delle idee: dunque, Aristotele ripiegherebbe, in proposito, sulle idee del proprio maestro: se credesse alla sopravvivenza; ma non mi pare evitabile l’impressione ch’egli l’ammetta solo per estremo scrupolo, infatti non manca di ricordare che l’uomo genera l’uomo e che per questo non c’è bisogno delle idee e, con ciò, ho la sensazione ch’egli sottintenda, ancora una volta, che per lui solo la specie è eterna. Ricordiamoci poi che gli scritti aristotelici giunti a noi non costituiscono una trattazione sistematica destinata al pubblico; e due altre cose vanno tenute presenti, cioè che nei suoi primi anni Aristotele è ancora legato a Platone e che gli scritti che conosciamo saranno ordinati e pubblicati molto tempo dopo la sua morte, e non secondo l’ordine temporale della loro stesura, onde non si può escludere, mi pare, che l’ammissione inserita nella Metafisica che l’anima individuale potrebbe sopravvivere sia dell’epoca, per così dire, platonica, espressa cioè prima dei tre libri del De Anima in nessuno dei quali, invece, tale ammissione appare.”

      Presso gli antichi ebrei tutti gli esseri viventi non solo hanno ma sono la vita, la nefesh circola nel sangue tanto degli umani che degli animali ed è per questo che il sangue non può essere mangiato: nel Deuteronomio è scritto: “[…] tuttavia astieniti dal mangiare il sangue, perché il sangue è la vita” – in lingua ebraica invece di vita si legge nefesh – “tu non devi mangiare la vita insieme con la carne” (Dt 12, 23). Peraltro non sono caratteristici del solo Giudaismo1 i concetti espressi dalle parole nefesh e bashar e nemmeno lo è la ruach ovvero il vento o spirito divino soffiato nella persona affinché viva, si tratta di concetti comuni ad altre religioni e filosofie coeve. Per quei giudei che credono alla risurrezione, in ambiente farisaico e non presso i sadducei che pensano che tutto finisca con la morte, l’essere umano giusto2 risuscita in un mondo nuovo, è corporeo e il suo corpo, senza difetto alcuno, ha la propria psiche come nella prima vita – i farisei non suppongono una trasformazione del corpo materiale in spirituale, come si legge invece nella lettera neotestamentaria 1 Corinzi di san Paolo –; nelle accademie rabbiniche si discute sulla precisa età che dimostrerà il corpo una volta risorto, tutti comunque lo suppongono giovane e bello; la risurrezione avverrà solo alla fine dei tempi; la persona vivrà in altra terra e sotto nuovi cieli, dove sarà perfettamente giusta: si potrebbe parlare d’un altro paradiso terrestre; in attesa di risorgere, secondo i farisei il defunto rimane interamente morto ovvero, con un eufemismo ch’entra pure nel Cristianesimo, dorme: è lo sheòl, il luogo ebraico dei morti; i giusti stanno nella parte alta dello sheòl, nel seno di Abramo, dove sono in attesa di risorgere dietro al patriarca capostipite, i reprobi stanno in fondo, senza speranza di risurrezione; ovviamente i rabbini e gli altri spiriti colti del Giudaismo sanno che si tratta di un midrash, cioè d’un’allegoria cui è sottesa la sostanza d’una verità teologica, un’allegoria che simboleggia semplicemente la morte dalla quale i giusti risorgono alla fine dei tempi e gli altri no.

      Tale raffigurazione dello sheòl si ritrova pure nella parabola evangelica del ricco egoista e del povero Lazzaro (Lc 16, 19-31), Lazzaro peraltro che non dev’essere confuso con l’omonimo amico di Gesù, morto e da lui risuscitato, che troviamo nel vangelo secondo Giovanni (Gv 11, 1-44).

      L’ebreo e fariseo san Paolo la vede similmente agli altri farisei, ma con una variante; infatti, se è vero ch’egli pure, nella sua epistola di teologia antropologica 1 Corinzi, dice che l’uomo in terra è un corpo materiale-animale psichico – chiama corpo la persona completa perché anche per lui il corpo comprende la psiche e, quindi, coincide con l’intero individuo umano – e se è vero che crede come gli altri farisei alla vita eterna dei giusti, per lui nell’attimo dell’assunzione a Dio la persona salvata, cioè giustificata da Cristo, si trasforma da animale psichica in spirituale gloriosa. Peraltro, se è pur vero che per il Cristianesimo del I secolo e di buona parte del II un essere umano è su questa terra interamente materiale e, dunque, è il suo stesso corpo, sulla base dell’esperienza, a formarne ed esprimerne il pensiero – noi diciamo grazie al cervello, gli antichi dicevano grazie al cuore –, la stessa persona può ragionare a livello elevatissimo fin a poter pensare a Dio, diversamente dagli animali che hanno ricevuto solo un soffio vitale e, i più evoluti, una capacità mentale ridotta in funzione della mera sussistenza; il Creatore resta personalmente presente nell’essere umano, cioè ogni persona ha in sé anche l’indivisibile spirito divino o, in altri termini ancora, in ciascun uomo e in ciascuna donna ci sono corpo, anima e spirito; ma mentre il corpo e l’anima sono personali, lo spirito è l’animo stesso di Dio, vivificante la persona e illuminante la sua mente, tant’è vero che per la teologia cristiana Gesù – il Figlio uomo e Dio – s’è incarnato per salvare la stirpe adamitica in corpo e anima, non anche in ispirito: ovvio, ché l’animo dell’essere umano non aveva bisogno d’essere salvato visto che non è suo personale ma si tratta di Dio stesso.

      Nei secoli II e III3 , diversamente dai cattolici, vale a dire dai cristiani dell’unica Chiesa – lo scisma ortodosso è di là da venire –, i cristiani gnostici,, ma sarebbe forse meglio dire gli gnostici cristianeggianti considerando la loro ottica sostanzialmente diversa da quella cristiana, nonostante figure formalmente comuni come, anzitutto, quella di Gesù, sono divisi in varie piccole sette, anche se con idee basilari tra loro comuni. Hanno invece un concetto antropologico diverso da quello cristiano, intendono cioè il proprio spirito non come presenza indivisa in tutti gli esseri umani del pneuma vivente e animante di Dio, ma come pneuma personale, anche se lo considerano quale scintilla cascata in terra dal pleroma divino e sventuratamente incarnatasi.

      La parola pleroma, o pleroma paradisiaco, che generalmente significa pienezza e fa riferimento alla globalità dei poteri divini, la totalità di tutto ciò che è effuso benignamente da Dio, è usata non solo dagli gnostici ma anche in ambienti teologici cristiani. Si potrebbe forse dire l’àmbito di Dio. Comunemente nella Chiesa si parla di Paradiso.

      Secondo gli stessi gnostici, come già per Platone, la materia è male e non l’ha creata l’Essere perfetto ma è sempiterna e, a un certo punto, l’ha modellata, facendola divenire il mondo, un incosciente celeste chiamato il Demiurgo, cioè l’Artefice o l’Artigiano: com’è noto, si tratta di figura immaginata da Platone per far quadrare la sua visione delle idee superne perfette e del mondo immanente imperfetto, un sorta di dio minore in preda alla mania di potenza, ma assai poco capace quale artigiano cosmico; se non fossero stati imprigionati nei corpi materiali da quel maldestro spocchioso del dio Demiurgo, gli spiriti umani sarebbero rimasti – preesistenza dei medesimi – felici4 . Inoltre per gli gnostici, antifemministi ante litteram,

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