Ndura. Figlio Della Giungla. Javier Salazar Calle
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Poi due di loro lo uccisero alle spalle a colpi di mitragliatrice senza ulteriori indugi. Alcuni proiettili mi passarono vicino sibilando. Abbassai la testa e chiusi gli occhi molto forte, nella stupida convinzione che ciò potesse salvarmi dagli spari. Cadde in ginocchio a soli cinque metri da dove stavo osservando e, prima di crollare completamente, riuscì a vedermi accovacciato e mi dedicò il suo ultimo sorriso.
“Nitoka, maarusi!” continuavano a gridare verso l’aereo.
Non dovetti fare molti sforzi per non gridare, visto che ero rimasto completamente muto e paralizzato. Non so quanto tempo rimasi così, ma quando riuscii a reagire, seppi con certezza che mi rimaneva solo una via di uscita: fuggire per salvarmi la vita. Raccolsi i due zaini e mi allontanai entrando nella giungla lussureggiante con la massima discrezione possibile, che non era molta, dato che continuavo ad inciampare e, con tutto il corpo dolorante, ero incapace di controllarlo completamente. Non sapevo dove andare, ma mi era chiaro che, quanta più distanza avessi messo tra me e quei selvaggi, più possibilità di vivere avrei avuto.
Camminai per quasi due ore, spronato dal terrore, dalla paura di morire, fino a quando le mie gambe non resistettero più e caddi sul terreno, consumato. Gli zaini mi sembravano carichi di pietre. Il ginocchio sinistro mi faceva molto male; da quando mi ero infortunato giocando a calcio, non era mai completamente guarito e ancora mi dava problemi di tanto in tanto quando lo sforzavo. Aprii il mio zaino e tirai fuori una lattina di soda. Era ancora abbastanza fresca e la bevvi avidamente. Sudavo copiosamente, perline di sudore mi cadevano torrenzialmente lungo il mento, come se fosse appena piovuto o fossi appena uscito da una piscina. Ero senza fiato e aprivo la bocca cercando di aspirare grandi boccate. Mi strozzai con un sorso troppo veloce, iniziai a tossire pesantemente e pensai di soffocare. Quando riuscii a calmarmi un po', ansimando ancora, mi resi conto che c'era meno luce, si stava facendo buio. Alex era morto nell'incidente, Juan crivellato; i miei due migliori amici persi in un istante per la stupidità di una guerra civile che non capivo e di cui non mi importava. Perché non si uccidevano a vicenda? Perché noi? Perché i miei amici, Alex, Juan? Bastardi! Se fosse dipeso da me sarebbero potuti esplodere tutti insieme. Per colpa loro adesso ero solo, in questa merda di posto, bagnato, opprimente, soffocante, senza i miei amici. Perché io, perché loro? La morte di Juan, mitragliato da quei selvaggi, mi passava in testa ripetutamente, come se si trattasse di un film. La luce nei suoi occhi che si affievoliva in quell'ultimo sguardo che mi aveva dedicato… Cercai di non pensarci, di nasconderlo in qualche piega recondita della mia mente, ma non c'era modo. Alcune ore prima eravamo insieme, ridevamo ricordando gli aneddoti del viaggio mentre in quel momento…
Piansi per molto tempo, non so quanto, ma mi fece bene. Quando riuscii a smettere, stavo molto meglio, almeno ero più calmo. Era evidente che si stava facendo buio, l'oscura giungla stava entrando nel mondo delle tenebre. Dovevo cercare un posto dove dormire. Avevo paura di dormire per terra, soprattutto nel caso in cui i ribelli mi avessero trovato, ma nemmeno dormire su un albero mi rassicurava, con i serpenti, quelle scimmie urlanti o chissà quale bestia selvaggia e affamata. Dovevo decidere: serpenti o uomini armati e infuriati? I serpenti mi sembrarono l'opzione migliore, almeno ancora non mi avevano fatto nulla. Cercai un albero su cui mi sembrasse facile arrampicarsi, difficile per i serpenti e con un posto dove sistemarsi per dormire.
Fu in quel momento che mi resi conto dell'incredibile numero di tipi di alberi e piante che c'erano. Dalle piante più piccole, quasi minuscole, agli alberi di oltre cinquanta metri, il cui tronco spiccava sopra gli altri senza vederne la fine, un intero amalgama di diversi tipi di flora spruzzati ovunque, tra cui altissime palme con dipinte foglie sfilacciate e lunghe diversi metri con gruppi di fiori densi e compatti4.
C'era uno strato superiore di alberi di circa trenta metri con alcuni che si ergevano ben al di sopra, quindi un secondo strato, di circa dieci o venti metri di altezza, con una forma allungata come i cipressi dei nostri cimiteri e un terzo strato, alto da cinque a otto metri, dove arrivava molta meno luce. C'erano anche cespugli, giovani esemplari di diversi tipi di alberi, anche se pochi, e uno strato di muschio che copriva quasi tutto in alcune parti, così come una moltitudine di liane che si arrampicavano su tutti i tronchi, pendenti da tutti i rami. Fiori e frutti da tutti i lati, soprattutto negli strati più alti, irraggiungibili per me. Si percepivano anche tutti i tipi di animali, non era facile vederli, ma potevo sentire innumerevoli tipi di cinguettii di uccelli, grida di scimmie, rami che si agitavano sopra di me mentre qualcuno di loro passava, insetti che ronzavano intorno ai fiori e da tutti i lati. Persino un animale terrestre di cui si sentivano i passi come un rumore lontano. Farfalle e altri insetti svolazzavano da tutte le parti. Se non fosse stato per la situazione in cui mi trovavo, mi sarei goduto un posto così bello, ma in quel momento tutto rappresentava un potenziale ostacolo alla mia sopravvivenza. E tutto mi faceva paura.
Dopo una breve ricerca trovai un albero che mi sembrava appropriato e mi arrampicai con entrambi gli zaini sulle spalle. Mi sembrava che pesassero uno sproposito e che il ginocchio supplicasse riposo. Quando mi trovai abbastanza in alto da sentirmi al sicuro, ma non da uccidermi o ferirmi seriamente se fossi caduto di notte, mi sistemai il meglio che potei tra due rami spessi che andavano insieme quasi paralleli e mi coprii un po' con una delle piccole coperte dell’aereo che avevo portato e l’altra la usai come cuscino. Nel cielo riuscii ad intravedere un numero incredibile di grandi pipistrelli marrone scuro che svolazzavano in quel modo caratteristico che hanno di volteggiare apparentemente irregolare e muovendosi d'impulso5. Non sapevo come contarli ma dovevano essercene migliaia; si fermavano soprattutto nelle palme, mangiando i loro frutti, pensavo, o cacciando gli insetti che mangiavano i frutti.
Dormii probabilmente due ore a piccoli intervalli di quindici o venti minuti. I rumori mi tormentavano da tutte le direzioni, non facevo altro che sentire passi, voci, urla, grida, strilli acuti, ronzii, sussurri, un mormorio costante che saliva e scendeva incessantemente. Mi sembrò persino di sentire il pianto morente di un bambino diverse volte e gli elefanti barrire. Non sapevo se poteva essere quello che sembrava o se semplicemente lo sembrava. Occasionalmente si sentiva qualche ruggito piuttosto inquietante, che mi faceva immaginare qualche bestia selvaggia che mi divorava mentre dormivo.
A volte l'angoscia mi impediva di respirare, afferrandomi il cuore quasi fino a provocarmi dolore. Ogni suono, ogni movimento, tutto ciò che accadeva intorno a me era un tormento, una sensazione di soffocamento pressante. Non appena riuscivo ad addormentarmi, c'era qualcosa, qualsiasi cosa, che mi obbligava a svegliarmi spaventato. A volte vedevo degli occhi brillare nella notte cupa e, per cercare di tirarmi su di morale, pensavo che fosse un semplice gufo o il parente più stretto che teneva da quelle parti, ma quei tentativi di rimanere positivo duravano poco e finivo sempre per vedere felini senza scrupoli o qualche serpente pericoloso a caccia. Altre volte mi sembrava di sentire spari ravvicinati, scoppi intermittenti, ma se ascoltavo con attenzione non riuscivo a udire nulla.
“Javier” sentii che mi chiamava Alex.
“Si, dove sei?” dissi, mentre mi svegliai di soprassalto.
“Javier” sentii di nuovo.
Guardai in tutte le direzioni, angosciato, in attesa, ansioso di vedere il mio amico. Fino a quando mi resi conto che Alex era morto e che io ero solo e senza aiuto in mezzo alla giungla. Questo mi spaventava; non potevo contare su nessuno che potesse aiutarmi, con cui condividere il mio dolore in quel momento, la mia disperazione. Non dovevo lasciarmi prendere dal panico, dovevo scacciare i pensieri negativi dalla mia testa per sopravvivere, ma non ne ero in grado. Una soffocante sensazione di solitudine mi costringeva ad approfondire le mie paure.
“Javier, Javier.”
Per
4
Flora: Palme da olio, Elaeis Guineensis.
5
Fauna: Pipistrello della frutta paglierino, Eidolon Helvum.