L'Illusione. Federico De Roberto

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L'Illusione - Federico De Roberto

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Faites attention, mademoiselle... recommencez, s'il vous plait.

      Ella tornava da capo, ma ad un nuovo imbroglio si lasciava scivolare dallo sgabello, buttando indietro i suoi capelli.

      — Assez, maintenant!...

       E cedeva il posto a Lauretta che eseguiva gli esercizii a puntino, senza sbagliare una nota, e si guadagnava tutti i baci e tutte le carezze.

      — Questo si chiama studiare!... Perchè non studii anche te come tua sorella?

      Ancora tutta fremente per l'irritazione che le difficoltà incontrate le avevano messa, dalla sua poltrona dove se ne stava sdraiata sbattendo le gambe, ella esclamava, sorridendo sul punto di piangere:

      — Eh, studio anch'io... ma le dita non ci vanno!.. cosa posso farci?... Io vorrei saper suonare senza perder tanto tempo!...

      Alcune volte veniva il conte Rossi, il loro padron di casa, tanto amico del babbo: un bel giovane, il più bel giovane di tutta Firenze. Allora ella provava una grande soggezione; se egli la guardava, se la carezzava, si sentiva tutta rimescolare; e non voleva esser trattata come una bambina in sua presenza. Il babbo andava via col conte; ella gli chiedeva, piano:

      — Dove vai, babbo, a teatro?... Conduci anche noi!.

      — Un'altra sera...

      E la mamma tornava ad avere l'umor nero, si chiudeva in camera, non voleva veder gente. Certi giorni, come venivano delle visite, il portiere aveva ordine di riferire che la signora non riceveva, e lei, dietro la finestra, guardava con rammarico le belle carrozze riluccicanti tornarsene indietro.

      — La calèche della marchesa Castelli... la victoria della Santamarta...

      Durante le lezioni, mentre Miss correggeva il dettato francese, o assegnava la traduzione inglese, o spiegava la geografia, se udivasi uno scalpitar di cavalli padronali, ella s'alzava, correva a vedere.

      — Thérèse!... — esclamava Miss.

      — Me voici...

       — Je voudrais savoir qui vous a appris ça?... Vous n'aurez pas de dessert, ce soir...

      Ella alzava le spalle, mormorando: «Je m'en moque!» E prima di desinare faceva tante moine al nonno, che il castigo finiva per esser condonato.

      — Mi secca, sai, quella vecchia!... Perchè lei è vecchia, crede che tutte debbano essere a un modo...

      — Ma no, che non è vecchia.

      — A quarant'anni suonati?... Allora, cos'è, una ragazzina?... E poi brutta, nonno!... Io non le posso soffrire le persone brutte!... Per mia fortuna, ho un babbo e una mamma che sono tanto belli!... Sai, la mamma, quando passa per le vie, le persone si voltano a guardarla.... io me ne accorgo!... E il babbo, quando monta a cavallo, com'è elegante!... Non ti pare, nonno?...

      Il nonno evitava di rispondere. Ella riprendeva:

      — Hai viste le signore che vanno a cavallo?.. A Milazzo non se ne incontra!... Come stanno bene!... Quando sarò grande, voglio andare a cavallo anch'io...

      Allora il nonno cominciava un predicozzo: bisognava avere il capo ad altro, allo studio, alle cose serie, prendere esempio da Laura; ma sul più bello ella lo interrompeva:

      — Va bene, va bene, nonno; hai ragione, studierò di più; ma Laura, vedi, è fatta a un altro modo, si secca ad andar fuori, a veder gente; tutt'al contrario di me... A me piace il passeggio, la società, il teatro... Nonno, non par vero: da tanto che siamo tornati a Firenze, non m'hanno condotta una sola volta a teatro!...

      E come finalmente il nonno, per farla contenta, le annunziò che aveva preso un palco al Niccolini, pel Crispino e la comare, ella si mise a ballare per le stanze, ridendo, battendo le mani:

       — Lauretta, a teatro!... andremo a teatro!... C'è il palco: fila seconda, numero nove... Gioia, verrai anche te!... vedrai che bellezza!

      Si stringeva al petto la sorellina, le stampava dei baci fragorosi sulle guancie, ed esclamava, tutta sola, saltarellando:

      — Fila seconda, numero nove!... Fila seconda, numero nove! — Poi correva dalla mamma, le chiedeva: — Quale veste metterò?... La bianca o la celeste?... La bianca è un po' antica, ma non mi sta meglio?... Eh, cosa ne dici?... Proviamo?

      Tutto il giorno, il pensiero di quello svago le impedì di far nulla, di star ferma due minuti di seguito; andata fuori con Miss, non aveva occhi che pei cartelloni annunzianti lo spettacolo; ma quando rincasarono e chiese alla mamma se aveva preparato il suo abito, il nonno, che era lì, rispose brusco, con una voce che non gli conosceva ancora:

      — Andate via, non si va a nessun posto.

      Ella lo guardò un poco, corrugando le sopracciglia, battendo un piede; e appena fuori di quella camera, si cavò il cappello, lo buttò per terra, si mise a strappare la veste, pallida e muta. Stefana, accorsa, tentava di calmarla; ella gridava, coi denti stretti, respingendola bruscamente:

      — Va' via, sai!... va' via...

      — Tua madre, Teresa!... non le dare un altro dispiacere...

      — Esci, ti dico!...

      E andò a chiudersi nella sua cameretta. Stefana la seguiva, picchiava all'uscio, insistendo:

      — Teresa!.. Teresina! Non esser cattiva!.. apri!.. ascolta, ho da dirti una cosa...

      Ella non rispondeva. Poi s'udì un passo e la voce del nonno, terribile, che gridava:

       — Apri!

      E come ella non rispondeva ancora, un urto violento dischiuse l'uscio. Il nonno, rosso in viso, coi pugni stretti, le s'avanzò incontro, gridando:

      — Anche tu?... Siete tutti di una razza?...

      Ella indietreggiò, dalla paura; ma ad un tratto la mamma entrò di corsa, se la prese in braccio, se la strinse al petto, furiosamente, mormorando con voce rotta:

      — Teresa!... Teresa!... figlia mia!...

      — Mamma!... oh, mamma!...

      E il suo rancore finì in pianto disperato. I singhiozzi le scuotevano il petto, le squarciavano la gola, le torcevano le labbra, e grosse, cocenti, le lacrime solcavano le sue guancie infiammate.

      — Figlia mia!... Teresina mia!... La tua mamma!... Non piangere, no; mi fai male!... Sii buona; basta, adesso!

      Ella tentava di articolare una sillaba che si perdeva nel brivido sibilante dei singhiozzi; e scuoteva il capo, sconsolatamente, come per dire che tutto, che tutto era inutile. Ora la mamma, sedutasi, l'adagiava sulle sue ginocchia, la stringeva al seno, la cullava, mormorando parole di conforto, interrotte da carezze e da baci; e a poco a poco la tempesta si sedava, le lacrime cessavano di scorrere, i singhiozzi si facevano più rari, si mutavano in grossi sospiri.

      — Non più, adesso.... Figlia mia, figlia mia cara! Aspetta, asciùgati gli occhi.... Bambina mia bizzosa! Tu non farai più questo, un'altra volta, non è vero? — ella, con un moto del capo, assentiva. — Vedi come indovino? come conosco quel che hai nel tuo cuoricino?... Adesso, dimmi che mi vuoi

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