Ritratti letterari. Edmondo De Amicis
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Qui si voltò con molta grazia, e disse vivamente, con la sua voce piena di dolcezza: — «Vous me pardonnerez, monsieur. Ce sont des détails de notre métier, n'est-ce pas? Fra noi altri non sono cose indifferenti.»
Una notte, all'improvviso, si sentì soffocare, credette di morire, chiamò sua moglie, fece appena in tempo a dirle: — Finis mon bouquin! (finisci il mio libro), ed ebbe uno spaventevole sbocco di sangue, che lo lasciò come morto.
Poi, lentamente, si ripigliò: ma ora sta in riguardo, e non lavora più così furiosamente come nel primo caldo della gioventù.
— Finis mon bouquin! — Che c'è di più commovente di questo artista che sul punto di morire, pensa più al suo bel sogno di poeta, che alla propria vita, e dice a sua moglie: — finiscilo tu? — Ma femme — soggiunse poi — connaît l'art autant que moi; avrebbe finito il mio bouquin benissimo; non avrei potuto affidarlo meglio che alle sue mani. — La signora Daudet, infatti, è scrittrice arguta e finissima, e si dice che abbia molta parte nei lavori di suo marito. Si asserisce persino che il manoscritto d'uno dei più applauditi romanzi di Alfonso portasse la firma del marito e della moglie, e che sia stata lei quella che voltò il Daudet alla sua seconda maniera, che lo spinse, cioè, verso il naturalismo dei Goncourt, ingentilito. Tutta la famiglia Daudet è di sangue artistico. Il fratello è romanziere, e il cognato, che fa il giornalista, imita mirabilmente, si dice, lo stile dell'autore di Fromont jeune et Risler aîné.
Venne poi a parlare del teatro, e delle noie che gli danno le prove d'una commedia ricavata dal suo romanzo Jack; e si capì da quel che disse che è di natura dolce, sì, ma vigorosa e imperiosa quando si tratta di far prevalere le sue intenzioni d'artista ai capricci degli attori cocciuti. Dal suo Jack, poi, fece cadere il discorso sull'Arlésienne, un grazioso idillio drammatico che fu rappresentato al Vaudeville, anni sono, con poca fortuna. E qui mostrò adorabilmente la sua bella natura calda e appassionata d'artista. Egli ci tiene a quella disgraziata Arlésienne. Il dramma avrà dei difetti, ma il pubblico ha avuto dei torti. La sua prima sfortuna è stata quella di presentare quell'idillio al pubblico del Vaudeville. Il teatro era pieno delle cocottes e dei viveurs, che, appunto all'ora della rappresentazione, escono dai caffè e dalle trattorie vicine, coi fumi del vino alla testa, eccitati dai discorsi che tutti immaginano, in una disposizione di animo e di corpo, quale si può pensare, per comprendere la poesia d'un amore nobile e profondo, che finisce nella morte. Risero. Risero specialmente dell'episodio di Balthazar e di madame Nigaud. — È una cosa semplicissima — disse Daudet, e lo raccontò con quella sua voce profonda e tremola, in un modo da cavar le lacrime. È un contadino di vent'anni, Balthazar, buono, di animo onesto e nobile, che s'innamora della sua padrona, e l'ama segretamente e umilmente, tremando che il suo segreto sia scoperto; sottomesso e devoto come uno schiavo, risoluto a morire d'angoscia piuttosto che mancare al suo dovere. E non dice una parola, e neppur la signora a lui, benchè gli legga nell'anima. Solamente, qualche volta, quando egli è solo nei campi, essa gli va a sedere vicino, e lo guarda. Un giorno, bruscamente, gli va incontro e gli dice: — Balthazar, t'amo; vattene! — E lui se ne va. Se ne va lontano, con altri padroni; gli anni passano, non rivede più madame Nigaud, invecchia col suo amore sepolto nel più profondo dell'anima, sempre buono, e un po' triste; ma confortato dalla coscienza d'aver fatto il proprio dovere. Ebbene, dopo cinquant'anni, la signora Nigaud capita dalle sue parti, e si incontrano faccia a faccia, in presenza di molta gente. Rimangono senza parola.... e poi si parlano. — Ne abbiamo avuto del coraggio, non è vero? — si dicono. — Ma Dio non ha voluto che morissimo senza esserci riveduti. Egli ci doveva ben questo per ricompensarci del nostro sacrificio. — Quante volte — dice il vecchio colla voce tremante, sorridendo — io vedevo dai campi il fumo della vostra casa, e mi pareva che mi dicesse: — Vieni, Balthazar, la signora è qui! — Ed io — risponde lei — quando sentivo abbaiare i tuoi cani e ti vedevo di lontano con la tua lunga cappa, ora te lo posso dire, facevo uno sforzo, sai, per non correrti incontro! Ma il nostro dolore è finito ora, non è vero? e possiamo guardarci in viso senza arrossire. Ebbene, Balthazar.... non avresti vergogna di abbracciarmi adesso, vecchia e disfatta dagli anni come sono? No? Qua dunque, stringimi una volta sul tuo cuore, mio povero vecchio, mio bravo e buon Balthazar! Sono cinquant'anni ch'io te lo devo, questo bacio d'amica! — E si gettano singhiozzando l'uno nelle braccia dell'altro. — E quei signori risero — soggiunse il Daudet, tutto vermiglio d'indignazione, — risero sguaiatamente, oltraggiosamente, indecentemente! E il Figaro mi canzonò per venti giorni di seguito, secondo che mi aveva promesso il Villemessant, che tenne scrupolosamente la sua parola. Ma come non hanno capito, in nome di Dio, che quello era vero e sacrosanto e preso dentro alle viscere umane! Ah! io mi sento altiero, vedete, di quelle risate!
Tutt'a un tratto si mise a ridere anche lui del miglior cuore del mondo, e prese a parlare degli incidenti comici di quella serata. — Erano in vena di ridere, che cosa volete? Un personaggio, facendo una descrizione della campagna, diceva che si sentiva il canto degli ortolani. Fu uno scoppio di risa omeriche. Il canto degli ortolani! L'ortolano, per i parigini, è una ghiottoneria squisita, un piatto, non un uccello. Una platea non può ammettere in nessuna maniera che ci siano degli ortolani vivi e pennuti, che volano e che cantano; non riconosce che degli ortolani in casseruola, con una fetta di lardo sulla schiena. Andatele a parlare del canto degli ortolani! Voi conoscete il canto degli ortolani, non è vero? — E qui, infervorandosi nel suo discorso, da vero artista, per provare che quei disgraziati uccelli cantano anch'essi, prima d'essere serviti coi tartufi, si mise a imitare il loro trillo, come un ragazzo, e a spiegarci che cantano in certe condizioni di tempo e a certe ore; come in altr'ore, nel Bosco di Boulogne, si sente da tutte le parti la nota monotona del cuculo, e imitò la voce del cuculo; il quale gli ricordò altri uccelli, di cui rifece il verso, ridendo sonoramente, già le mille miglia lontano dall'Arlésienne e dal Vaudeville,