Miei Pensieri di varia Umanità. Giovanni Pascoli

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Miei Pensieri di varia Umanità - Giovanni  Pascoli

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moltitudine d'uomini che accorre in un luogo; e descriveva uno sciame di mosche intorno ai secchielli pieni colmi di latte, per esprimere il confuso e vasto agglomerarsi d'un esercito di guerrieri.

      Questo era il suo solo artifizio, se pure si può chiamare artifizio ciò ch'egli faceva così ingenuamente che spesso la cosa, mediante il suo paragone, riusciva più piccola, sebbene sempre paresse più chiara; come quando confrontava il fluido parlare di alcuni vecchi savi all'incessante frinire delle cicale, o la resistenza d'un grande eroe all'indifferenza d'un asino che séguita a empirsi d'erba nel prato d'onde i bimbi vogliono cacciarlo a suon di bastonate. No no: il fanciullino del cieco non tanto voleva farsi onore, quanto farsi capire: non esagerava; perchè i fatti che raccontava, gli parevano già assai mirabili così come erano. Ed egli sapeva, nè per altro argomento se non perchè parevano anche a lui, che mirabili dovevano parere anche agli altri bambini come lui, che erano nell'anima di tutti i suoi uditori. I quali ora come allora lo ascoltano con maraviglia. E non sarebbe ragionevole, di cose che dopo trenta secoli non si credono più verosimili. Ma dopo pur trenta secoli gli uomini non nascono di trent'anni, e anche dopo i trent'anni restano per qualche parte fanciulli.

       Indice

      Ma è veramente in tutti il fanciullo musico? Che in qualcuno non sia, non vorrei credere nè ad altri nè a lui stesso: tanta a me parrebbe di lui la miseria e la solitudine. Egli non avrebbe dentro sè quel seno concavo da cui risonare le voci degli altri uomini; e nulla dell'anima sua giungerebbe all'anima dei suoi vicini. Egli non sarebbe unito all'umanità se non per le catene della legge, le quali o squassasse gravi o portasse leggiere, come uno schiavo o ribelle per la novità o indifferente per la consuetudine. Perchè non gli uomini si sentono fratelli tra loro, essi che crescono diversi e diversamente si armano, ma tutti si armano, per la battaglia della vita; sì i fanciulli che sono in loro, i quali, per ogni poco d'agio e di tregua che sia data, si corrono incontro, e si abbracciano e giocano.

      Eppure è chi dice che veramente di generi umani ve ne ha due, e non si scorge che siano due, e che l'uno attraversa l'altro, sempre diviso ma sempre indistinto, come una corrente dolce il mare amaro. Vivono persino nella stessa famiglia, sotto gli occhi della stessa madre, e vivono in apparenza la stessa vita germinata da uguale seme in unico solco; e questi sono stranieri a quelli, non d'un solo tratto di cielo e di terra, ma di tutta l'umanità e di tutta la natura. Essi si chiamano per nome e non si conoscono nè si conosceranno mai. Ora se questo è vero, non può avvenire se non per una causa: che gli uni hanno dentro sè l'eterno fanciullo, e gli altri no, infelici!

      Ma io non amo credere a tanta infelicità. In alcuni non pare che egli sia; alcuni non credono che sia in loro; e forse è apparenza e credenza falsa. Forse gli uomini aspettano da lui chi sa quali mirabili dimostrazioni e operazioni; e perchè non le vedono, o in altri o in sè, giudicano che egli non ci sia. Ma i segni della sua esistenza e gli atti della sua vita sono semplici e umili. Egli è quello, dunque, che ha paura al buio, perchè al buio vede o crede di vedere: quello che alla luce sogna o sembra sognare, ricordando cose non vedute mai: quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle: che popola l'ombra di fantasmi e il cielo di dei.[7] Egli è quello che piange e ride senza perchè, di cose che sfuggono ai nostri sensi o alla nostra ragione. Egli è quello che nella morte degli esseri amati esce a dire quel particolare puerile che ci fa sciogliere in lacrime, e ci salva.[8] Egli è quello che nella gioia pazza pronunzia, senza pensarci, la parola grave che ci frena. Egli rende tollerabile la felicità e la sventura temperandole d'amaro e di dolce, e facendone due cose ugualmente soavi al ricordo. Egli fa umano l'amore, perchè accarezza esso come sorella (oh! il bisbiglio dei due fanciulli tra un bramire di belve), accarezza e consola la bambina che è nella donna. Egli nell'interno dell'uomo serio sta ad ascoltare, ammirando, le fiabe e le leggende, e in quello dell'uomo pacifico fa echeggiare stridule fanfare di trombette e di pive, e in un cantuccio dell'anima di chi più non crede, vapora d'incenso l'altarino che il bimbo ha ancora conservato da allora. Egli ci fa perdere il tempo, quando noi andiamo per i fatti nostri, chè ora vuol vedere la cinciallegra che canta, ora vuol cogliere il fiore che odora, ora vuol toccare la selce che riluce. E ciarla intanto, senza chetarsi mai, e, senza lui, non solo non vedremmo tante cose a cui non badiamo per solito, ma non potremmo nemmeno pensarle e ridirle, perchè egli è l'Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente. Egli scopre nelle cose le somiglianze e relazioni più ingegnose. Egli adatta il nome della cosa più grande alla più piccola, e al contrario. E a ciò lo spinge meglio stupore che ignoranza, e curiosità meglio che loquacità: impiccolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare. Nè il suo linguaggio è imperfetto come di chi non dica la cosa se non a mezzo, ma prodigo anzi, come di chi due pensieri dia per una parola. E a ogni modo dà un segno, un suono, un colore, a cui riconoscere sempre ciò che vide una volta.

      C'è dunque chi non ha sentito mai nulla di tutto questo? Forse il fanciullo tace in voi, professore, perchè voi avete troppo cipiglio, e voi non lo udite, o banchiere, tra il vostro invisibile e assiduo conteggio. Fa il broncio in te, o contadino, che zappi e vanghi, e non ti puoi fermare a guardare un poco; dorme coi pugni chiusi in te, operaio, che devi stare chiuso tutto il giorno nell'officina piena di fracasso e senza sole.

      Ma in tutti è, voglio credere.

      Siano gli operai, i contadini, i banchieri, i professori in una chiesa a una funzione di festa; si trovino poveri e ricchi, gli esasperati e gli annoiati, in un teatro a una bella musica: ecco tutti i loro fanciullini alla finestra dell'anima, illuminati da un sorriso o aspersi d'una lagrima che brillano negli occhi de' loro ospiti inconsapevoli; eccoli i fanciullini che si riconoscono, dall'impannata al balcone dei loro tuguri e palazzi, contemplando un ricordo e un sogno comune.

       Indice

      Se è in tutti, è anche in me. E io, perchè da quando s'era fanciulli insieme, non ho vissuto una vita cui almeno il dolore, che fu tanto, desse rilievo, non l'ho perduto quasi mai di vista e di udita. Anzi, non avendo io mutato quei primi miei affetti, chiedo talvolta se io abbia vissuto o no. E io dico sì, perchè ivi è più vita dove è meno morte, e altri dice no, perchè crede il contrario. Comunque, parlo spesso con lui, come esso parla alcuna volta a me; e gli dico:

      Fanciullo, che non sai ragionare se non a modo tuo, un modo fanciullesco che si chiama profondo, perchè d'un tratto, senza farci scendere a uno a uno i gradini del pensiero, ci trasporta nell'abisso della verità...

      — Oh! non credo io che da te vengano, semplice fanciullo, certe filze di sillogismi, sebbene siano esposte in un linguaggio che somiglia al tuo, e disposte secondo ritmi che sono i tuoi! Forse quei ritmi ce le fanno meglio seguire, quelle filze, e quel linguaggio ce lo fa meglio capire, quel ragionamento; o forse no, chè l'uno, abbagliando, ci distrae, e gli altri, cullando, ci astraggono; sì che il fine del ragionatore non è ottenuto come sarebbe senza quelle imagini e senza quella cadenza. Ma mettiamo che sia: ora il tuo fine non è, credo, mai questo, che si dica: Tu mi hai convinto di cosa che non era nel mio pensiero. E nemmeno quest'altro: Tu mi hai persuaso a cosa che non era nella mia volontà. Tu non pretendi tanto, o fanciullo. Tu dici in un tuo modo schietto e semplice cose che vedi e senti in un tuo modo limpido e immediato, e sei pago del tuo dire, quando chi ti ode esclama: Anch'io vedo ora, ora sento ciò che tu dici e che era, certo, anche prima, fuori e dentro di me, e non lo sapeva io affatto o non così bene come ora! Soltanto questo tu vuoi, seppure qualche cosa vuoi dal diletto in fuori che tu stesso ricavi da quella visione e da quel sentimento. E come potresti aspirare ad operazioni così grandi tu con così piccoli strumenti? Perchè tu non devi lasciarti sedurre da una certa somiglianza che è, per esempio, tra il tuo linguaggio e quello degli oratori. Sì: anch'essi gli oratori ingrandiscono e impiccoliscono ciò che loro piaccia, e adoperano,

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