San Pantaleone. Gabriele D'Annunzio

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San Pantaleone - Gabriele D'Annunzio

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      La trista novella si propagò in un baleno. La gente si accalcava in torno al traino, tendeva il collo per vedere qualche cosa, non pensava più alle minacce dell'alto, colpita dal nuovo caso inaspettato, invasa da quella natural curiosità feroce che li uomini hanno in conspetto del sangue.

      “È morto? Come è morto?”

      Pallura giaceva supino sulle tavole, con una larga ferita in mezzo alla fronte, con un orecchio lacerato, con delli strappi per le braccia, nei fianchi, in una coscia. Un rivo tiepido gli colava per il cavo delli occhi giù giù sino al mento ed al collo, gli chiazzava la camicia, gli formava dei grumi nerastri e lucenti su 'l petto, sulla cintola di cuoio, fin sulle brache. Giacobbe stava chino sopra quel corpo; tutti li altri a torno attendevano; [pg!8] una luce d'aurora illuminava i volti perplessi; e, in quel momento di silenzio, dalla riva del fiume si levava il cantico delle rane, e i pipistrelli passavano e ripassavano rasente le teste.

      D'improvviso Giacobbe drizzandosi, con una gota macchiata di sangue, gridò:

      “Non è morto. Respira ancora.”

      Un mormorío sordo corse per la folla, e i più vicini si protesero per guardare; e l'inquietudine dei lontani cominciò a rompere in clamori. Due donne portarono un boccale d'acqua, un'altra portò de' brandelli di tela; un giovinetto offerse una zucca piena di vino. Fu lavata la faccia al ferito, fu fermato il flusso del sangue alla fronte, fu rialzato il capo. Sorsero quindi alte le voci, chiedendo le cause del fatto. — Le cento libbre di cera mancavano; appena pochi frantumi di candela rimanevano tra li interstizi delle tavole nel fondo del traino.

      I giudizi, in mezzo al sommovimento, di più in più si accendevano e s'inasprivano e cozzavano. E come un antico odio ereditario ferveva contro il paese di Mascálico, posto di contro su l'altra riva del fiume, Giacobbe disse con la voce rauca, velenosamente:

      “Che i ceri sieno serviti a San Gonselvo?” [pg!9]

      Allora fu come una scintilla d'incendio. Lo spirito di chiesa si risvegliò d'un tratto in quella gente abbrutita per tanti anni nel culto cieco e feroce del suo unico idolo. Le parole del fanatico di bocca in bocca si propagarono. E sotto il rossore tragico del crepuscolo, la moltitudine tumultuante aveva apparenza d'una tribù di zingari ammutinati.

      Il nome del santo rompeva da tutte le gole, come un grido di guerra. I più ardenti gittavano imprecazioni contro la parte del fiume, agitando le braccia, tendendo i pugni. Poi, tutti quei volti accesi dalla collera e dalla luce, larghi e possenti, a cui i cerchi d'oro delli orecchi e il gran ciuffo della fronte davano uno strano aspetto di barbarie, tutti quei volti si tesero verso il giacente, si addolcirono di misericordia. Ci fu in torno al traino una sollecitudine pietosa di femmine che volevano rianimare l'agonizzante: tante mani amorevoli gli cambiarono le strisce di tela su le ferite, gli spruzzarono d'acqua la faccia, gli accostarono alle labbra bianche la zucca del vino, gli composero una specie di guanciale più molle sotto la testa.

      “Pallura, povero Pallura, non rispondi?”

      Egli stava supino, con gli occhi chiusi, con la bocca semiaperta, con una lanugine bruna sulle [pg!10] gote e su 'l mento, con una mite beltà di giovinezza ancora trasparente dai tratti tesi nella convulsione del dolore. Di sotto alla fasciatura della fronte gli colava un fil di sangue giù per la tempia; alli angoli della bocca apparivano piccole bolle di schiuma rossigna; e dalla gola gli usciva una specie di sibilo fioco, interrotto, come il suono del gargarismo d'un malato. In torno a lui le cure, le domande, li sguardi febbrili crescevano. La cavalla ogni tanto scoteva la testa e nitriva verso le case. Un'atmosfera come d'uragano imminente pesava su tutto il paese.

      S'intesero allora grida femminili verso la piazza, grida di madre, che parvero più alte in mezzo al subitaneo ammutolimento di tutte le altre voci. E una donna enorme, tutta soffocata di adipe, attraversò la folla, giunse gridando presso il traino. Come ella era grave e non poteva salirvi, s'abbattè su i piedi del figlio, con parole d'amore tra i singhiozzi, con laceramenti così acuti di voce rotta e con una espressione di dolore così terribilmente comica che per tutti li astanti corse un brivido e tutti rivolsero altrove la faccia.

      “Zaccheo! Zaccheo! cuore mio! gioia mia!...” gridava la vedova, senza finire, baciando i piedi del ferito, attraendolo a sè verso terra. [pg!11]

      Il ferito si rimosse, torse la bocca per lo spasimo, aprì li occhi verso l'alto; ma certo non potè vedere, perchè una specie di pellicola umida gli copriva lo sguardo. Grosse lacrime cominciarono a sgorgargli dalli angoli delle palpebre e a scorrere giù per le guance e pe 'l collo; la bocca gli rimase torta; nel sibilo fioco della gola si sentì un vano sforzo di favella. E in torno incalzavano:

      “Parla, Pallura! Chi t'ha ferito? Chi t'ha ferito? Parla! Parla!”

      E sotto la domanda fremevano le ire, si addensavano i furori, un sordo tumulto di vendicazione si riscoteva, e l'odio ereditario ribolliva nell'animo di tutti.

      “Parla! Chi t'ha ferito? Dillo a noi! Dillo a noi!”

      Il moribondo aprì li occhi un'altra volta; e come gli tenevano serrate ambo le mani, forse per quel vivo contatto di calore li spiriti un istante gli si ridestarono, lo sguardo si illuminò, egli ebbe su le labbra un balbettamento vago, tra la schiuma che sopravveniva più copiosa e più sanguigna. Non si capivano ancora le parole. Si udì nel silenzio la respirazione della moltitudine anelante, e li occhi ebbero in fondo una fiamma, poichè tutti li animi attendevano una parola sola. [pg!12]

      “.... Ma.... Ma.... Ma.... scálico....”

      “Mascálico! Mascálico!” urlò Giacobbe che stava chino, con l'orecchio teso, ad afferrare le sillabe fievoli da quella bocca di morente.

      Un fragore immenso accolse il grido. Nella moltitudine fu da prima un mareggiamento confuso di tempesta. Poi, quando una voce soverchiante il tumulto gittò l'allarme, la moltitudine a furia si sbandò. Un pensiero solo incalzava quelli uomini, un pensiero che parea fosse balenato a tutte le menti in un attimo: armarsi di qualche cosa per colpire. Su tutte le coscienze instava una specie di fatalità sanguinaria, sotto il gran chiaror torvo del crepuscolo, in mezzo all'odore elettrico emanante dalla campagna ansiosa.

       Indice

      E la falange, armata di falci, di ronche, di scuri, di zappe, di schioppi, si riunì su la piazza, dinanzi alla chiesa. E tutti gridavano:

      “San Pantaleone!”

      Don Cònsolo, atterrito dallo schiamazzo, s'era rifugiato in fondo a uno stallo, dietro l'altare. Un manipolo di fanatici, condotto da Giacobbe, penetrò nella cappella maggiore, forzò le grate di [pg!13] bronzo, giunse nel sotterraneo, dove il busto del santo si custodiva. Tre lampade, alimentate d'olio d'oliva, ardevano dolcemente nell'aria umida del sacrario; dietro un cristallo, l'idolo cristiano scintillava con la testa bianca in mezzo a un gran disco solare; e le pareti sparivano sotto la ricchezza dei doni.

      Quando l'idolo, portato su le spalle da quattro ercoli, si mostrò alfine tra i pilastri del vestibolo, e s'irraggiò alla luce aurorale, un lungo anelito di passione corse il popolo aspettante, un fremito come d'un vento di gioia volò sopra tutte le fronti. E la colonna si mosse; e la testa enorme del santo oscillava in alto, guardando innanzi a sè dalle due orbite vuote.

      Nel cielo ora, in mezzo all'accensione eguale e cupa, a tratti passavano de' solchi di meteore più vive; gruppi di nuvole sottili si distaccavano

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