Minerva oscura. Giovanni Pascoli

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Minerva oscura - Giovanni  Pascoli

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sia ciò che la ragione non vede e che solo Beatrice può dire, è accennato più sotto quando, dopo aver discorso della ‛virtù che consiglia, Che dell’assenso de’ tener la soglia’, donde in noi cagione di meritare, conclude:

      La nobile virtù Beatrice intende

      Per lo libero arbitrio, e però guarda

      Che l’abbi a mente, s’a parlar ten prende.[26]

       E Beatrice in vero gliene parla nel Paradiso (V 19) per affermare la nobiltà di essa virtù, che è il maggior dono che Dio fece agli uomini. Tuttavia sappiamo che in Dante era un dubbio; un dubbio che si riporta più alle parole di Virgilio, che a quelle di Beatrice; a ciò che egli dice

      Quest’è il principio, là onde si piglia.

      Ragion di meritare in voi.[27]

      Non dubita Dante che noi non abbiamo facoltà di accogliere e vigliare buoni e rei amori: no; la spiegazione filosofica lo appaga nè d’altro richiede Virgilio. Ma ciò che a Virgilio avrebbe domandato invano e che perciò tacque, è cosa fuori di questa libertà di accogliere e vigliare, è oltre la filosofia e la ragione. Tutti hanno sì il libero arbitrio, e perciò cagione di meritare: or come alcuni e molti anzi, accogliendo tutti i buoni amori, non riuscirono e non riescono a meritare? Questo è il dubbio che Dante confessa di avere concepito, secondo la finzione poetica, a questo ragionamento di Virgilio, che ammonisce di non poter dire se non quanto ragion vede: questo

      il gran digiuno

      Che lungamente m’ha tenuto in fame,

      Non trovandogli in terra cibo alcuno.[28]

      Dante non ha bisogno di esprimerlo: l’Aquila lo solve e poi lo rivela:

      tu dicevi: Un uom nasce alla riva

      Dell’Indo, e quivi non è chi ragioni

      Di Cristo, nè chi legga, nè chi scriva;

      E tutti i suoi voleri ed atti buoni

      Sono, quanto ragione umana vede,

      Senza peccato in vita o in sermoni.

      Muore non battezzato e senza fede;

      Ov’è questa giustizia che il condanna?

      Ov’è la colpa sua, s’egli non crede?[29]

      Il dubbio di Dante è sciolto. Io non devo osservare altro, se non che questa risposta dell’Aquila alla pensata domanda del discepolo, è fatta, quando ad esso resta salire in tre sfere, Saturno, Stelle fisse, Primo Mobile; non contando l’Empireo, che tutte le comprende. Così nell’Inferno dopo la esposizione di Virgilio, Dante ha tre cerchietti da visitare. E sebbene nove gironi abbia l’Inferno, abbiamo veduto come tra esso e il Purgatorio che ha sette cornici, sia un’esatta proporzione di parti. Non sembri dunque che sì fatta corrispondenza sia compromessa dal numero nove delle sfere. Nove, ripetiamo, gironi ha l’Inferno, ma nella esposizione sua Virgilio non parla se non di sette peccati. E in vero i peccati dalla filosofia cristiana furono ridotti a sette. Nel Purgatorio Virgilio li fa discendere da una causa sola: l’amore che erra o per malo obbietto o per poco vigore o per troppo nel proseguire l’obietto del bene. L’amore che erra per malo obietto, genera tre peccati: superbia, invidia, ira; quello che per poco vigore, uno, l’accidia; quello che per troppo, tre, anch’esso, avarizia, gola, lussuria. Non è questo l’ordine che hanno i peccati in S. Tomaso (2ª LXXXIV 7). L’ordine dei peccati come è in Dante si trova in S. Bonaventura (Comp. III 14), in Ugo di S. Vittore (All. in Matthaeum II, XV e seg. Institutiones Monasticae, XXXVIII), in S. Gregorio (Mor. XXXI 31). Per quali riguardi sono essi peccati così distribuiti nei Teologi e in Dante? Ma in Dante erano veramente distribuiti e ordinati così? Nel Purgatorio, non era dubbio; ma nell’Inferno? Dei sette peccati dell’Inferno, quale era la ragione e la natura? Di tre la sapevo: degli altri quattro, no.

       Indice

      Io dissi: Esaminiamo a uno a uno questi quattro peccati oscuri. E cominciamo dall’ultimo, da quello del nono cerchio. Ivi è L’imperator del doloroso regno. — Come sei caduto dal cielo, Lucifero, che di mane sorgevi?... Tu pur dicevi in cuor tuo, “In cielo salirò, porrò sopra le stelle di Dio il mio soglio, sederò sul monte del Testamento, ne’ lati di verso settentrione. Ascenderò sopra l’altezza delle nubi, simile sarò all’Altissimo„: E pur sei tratto giù nell’inferno, nel profondo del lago (Isaia XIV 12). — Non era dubbio per me, come per nessuno, che il peccato primo dell’Angelo non fosse altro se non la superbia (Summa 1ª LXIII 2). Quale l’inizio del mal volere, domanda S. Agostino (Civ. D. XIV 21), potè essere, se non la superbia? Nel fatto la superbia è appetito di perversa eccellenza (Civ. D. XVI 13), è amore di primazia. E poi che Dio è massimo e primo, nella superbia è la ribellione a lui. Questo dunque era chiaro a me come a tutti, che Lucifero fu superbo, anzi la superbia stessa. Ma poi che essa è l’inizio d’ogni peccato (Eccles. 10, 15) io potevo con gli altri credere che Lucifero fosse nel fondo, come principio del male. E così credei. Ma in tanto io proponeva a me stesso: Come la superbia è inizio d’ogni peccato? Mi rispose il Dottore d’Aquino, il quale, dopo avermi insegnato che in ogni peccato è un volgersi verso un commutevole bene e un ritorcersi dal bene immutabile che è Dio, affermava che nella superbia il torcersi da Dio non proveniva da ignoranza o debolezza o desiderio di alcuna cosa, come negli altri peccati, ma da ciò ‛quod non vult Deo et eius regulae subiici (1ª 2ae LXXXIV 2)’. In questo modo ogni peccato comincia con la superbia, ossia col disprezzo di quella tal legge di Dio, che proibisce quel tal atto. Ma se in ogni peccato è superbia, vi è anche una superbia di per sè; se gli altri peccati, come dice Boezio, fuggono da Dio, la superbia sola a Dio si pone di fronte. E così in vero fece il bellissimo degli Angeli, che contra il suo fattore alzò le ciglia, e così fecero i Giganti, che sperimentarono la loro potenza contra il sommo Giove. Onde l’uno e gli altri ben mi parvero acconci simboli di superbia. Ma se la superbia di Lucifero si estrinsecò con alzar le ciglia contro Dio, e quella dei Giganti col menar le braccia contra Giove, come, domandavo io, si estrinseca la superbia degli uomini secondo i Padri, i Dottori e Dante? Certo col porsi di fronte a Dio, col non volere sottomettersi a lui e alla sua regola. Ma poi che tal regola consiste in molte leggi e precetti cui chi viola, commette questo o quel peccato, che è mosso bensì da superbia, ma non è la superbia, io vedeva di non poter profittare nella mia ricerca, se non riducevo tutte queste leggi e precetti a una legge e a un precetto solo, che fosse la regola di Dio per l’Uomo, la quale chi violasse, fosse reo di superbia e non d’altro peccato. Ora, come questa regola, per l’Angelo appena creato, consisteva solo in questo, di riconoscere da Dio la sua creazione e aspettar lume,[30] ed egli non la riconobbe e non lo aspettò e cadde, così per l’Uomo fu tempo che si riduceva al solo divieto del pomo. Perchè rompere sì fatto divieto fu, come tutti affermano, superbia? Perchè il Tentatore disse ad Eva: “Dio sa che in qualunque dì mangerete di quello, s’apriranno i vostri occhi e sarete come Iddii, conoscenti del bene e del male„? Onde il Poeta

      ... là dove ubbidia la terra e il cielo,

      Femmina sola, e pur testè formata,

      Non sofferse di star sotto alcun velo.[31]

       Indice

      Alle mie domande rispondeva S. Agostino (Civ. D. XIV 12 e segg.). Rispondeva

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