Due amori. Farina Salvatore
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SALVATORE FARINA
VOLUME I
MILANO
E. TREVES & C. EDITORI
1869
Tip. Internazionale.
ALL'AUTORE
Voi mi chiedeste alcuni anni or sono il permesso di far pubblica per le stampe, in forma di romanzo, la narrazione che io vi ho fatto al focolare della vostra casa natale. Un riguardo ad una persona vivente, mi ha obbligato a rispondervi negativamente.
Quella persona è spirata un mese fa tra le mie braccia, dopo quaranta anni che era morta alla speranza ed all'amore.
Sento che i momenti che rimangono a me non saranno molti, nè amari.
Voi, giovine e vigoroso, rammentando talvolta il vostro vecchio amico, serbate gelosamente il consiglio che vi dà la vecchiezza: amate e benedite.
GIORGIO.
I.
Ritorno col pensiero ad un tempo molto lontano, io non aveva compiuto ancora i tredici anni, e le camerate del collegio di B** m'avevano accolto da pochi giorni in mezzo ad una nidiata di vispi fanciulletti. Ve n'erano di grandicelli, ma la più parte erano più piccini di me; così che nel primo giorno che io vi era entrato, la mia comparsa era stata causa di molte gare fra i miei nuovi compagni. E l'uno cercava guadagnarsi la mia amicizia facendo pompa del suo coraggio, e l'altro coll'astuzia delle sue gherminelle. Solo i più maturi se ne stavano ritrosi, temendo in me un rivale pericoloso.
Il collegio è un'immagine viva della società--volgo di plaudenti e d'ammiratori da un lato; e un branco di autocrati, sempre rissosi fra di loro, che si contendono le bricciole dell'adulazione. Se non che là dove nella vita delle grandi città veggiamo l'astuzia e la fortuna in trionfo, e la povertà e la virtù divorare nel segreto le loro lagrime, nei collegi invece si bada agli anni. Così la gerarchia è stabilita sulle sicure basi dell'eguaglianza; però che ognuno sa che alla sua volta sarà anch'egli il despota, e che non gli sarà frodata la sua parte di regno.
E so d'aver provato più volte io stesso questo sentimento di compiacenza, e d'essermi domandato più tardi senza frutto la ragione di quell'intenso desiderio di crescere che ci fa precorrere nei primi anni la tribolata carriera della vita.
Fu in quel luogo che io conobbi Raimondo.
Da principio la sua mestizia, e l'abituale suo starsene solo e taciturno erami sembrato indizio d'alterigia; e poi che io non voleva essere il primo ad accostarmi a lui, sebbene una irresistibile attrazione mi spingesse a farlo, stetti gran tempo senza rivolgergli la parola. Ma in segreto io mi struggeva di diventargli amico, e cercava ogni modo per essergli vicino, per vederlo, per essere da lui veduto.
Il suo contegno aveagli