Cervello E Pandemia: Una Prospettiva Attuale. Juan Moisés De La Serna Tuya

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Cervello E Pandemia: Una Prospettiva Attuale - Juan Moisés De La Serna Tuya

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una neuroscienza in quanto tale, bensì essa è un insieme di contributi provenienti da molti rami del sapere, che alimentano e compongono il corpo delle neuroscienze. Quindi, se si tiene conto del suo oggetto di studio, del sistema nervoso e della sua attività, si può affermare che essa comprende sia l’anatomia che la biochimica, ma anche la genetica e la psicologia.

      Sebbene, inizialmente nasca come specializzazione della medicina, dalle analisi anatomofisiologiche del sistema nervoso, oggi sarebbe impossibile separarla da tutti i contributi che ha ricevuto da altre aree di conoscenza.

      Allo stesso modo, le neuroscienze non serviranno solo a spiegare come funziona il sistema nervoso e il suo organo più importante, il cervello, ma si occuperanno anche di più sottozone, come, per esempio, il neuromarketing, la neuroeconomia (Terán & López-Pascual, 2019), la neurofarmacologia, la neuropsicologia, la neuroanatomia o la neurolinguistica.

      L’importanza di questo campo di studio sta nel fatto che, grazie a tutto questo, è possibile sapere in modo più chiaro come funziona una persona e come funziona una società, nonché quando si affrontano disturbi dello sviluppo importanti, come il Disturbo dello Spettro Autistico o le malattie neurodegenerative come la Malattia di Alzheimer.

      Un campo di conoscenza a cui partecipano ricercatori di tutti i paesi del mondo, che giorno dopo giorno offrono nuove informazioni, ponendosi nuovi interrogativi, al fine di comprendere l’organo più complesso del corpo umano, il cervello.

      Ad esempio, in uno studio attuato per comprendere la questione dello sviluppo di persone dotate o di persone con elevate capacità, sembra essere un po’ lontano dall’interesse della società, più sensibile ad altri problemi, comprendendo che i “più intelligenti” saranno in grado di “sopravvivere” e “cavarsela” da soli. Quindi ci si concentra sui bisogni speciali di coloro che “realmente” ne hanno bisogno, in modo che possano raggiungere lo stesso livello degli altri, e migliorare il più possibile.

      D’altra parte, ci sono società che hanno a cuore questo gruppo, che stabiliscono politiche volte alla diagnosi precoce e alla formazione specifica, per migliorare le proprie capacità. La società non fa altro che investire sul proprio futuro, sapendo che queste persone sono quelle che domani saranno in grado di risolvere i problemi che sorgono, contribuendo a nuovi progressi e scoperte.

      Esistono due concezioni che sono basate su diversi approcci all’intelligenza, la prima ne spiega una più biologica, dove si presume che data una dotazione genetica, la persona l’avrà per tutta la vita, e questo “faciliterà” il suo sviluppo.

      D’altra parte, la seconda, senza rifiutare la dotazione genetica, concepisce che si debba lavorare attraverso lo sforzo e la pratica per poter sviluppare al massimo le proprie capacità, il che permetterà alla persona di essere un “grande” medico, musicista o scienziato, ma le persone dotate hanno cervelli diversi?

      Questo è quanto hanno cercato di scoprire con uno studio realizzato con la partecipazione dell’Istituto di Ricerca Biomedica August Pi i Sunyer (IDIBAPS), con la scuola Oms e Prat, con la Fondazione Catalogna, con la Fondazione Oms, con il Centro di Diagnostica per Immagini della Clinica Ospedaliera, con il Gruppo di Elaborazione di Dati e Segnali e con il gruppo di Ricerca in Digital Care dell’Università di Vic, insieme all’Istituto di Neuroscienze e al Dipartimento di Psicologia Clinica e Psicobiologia dell’Università di Barcellona (Spagna) e all’Unità di Mappatura del Cervello del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Cambridge (Inghilterra) (Solé-Casals et al., 2019) .

      Allo studio hanno partecipato 29 bambini con un’età media di 12 anni, 15 dotati di Q.I. maggiore di 145 con percentili superiori al 90% nella memoria, nell’atteggiamento di ragionamento spaziale, numerico, astratto e verbale. Il resto funge da gruppo di controllo con Q.I. fino a 126, valutati utilizzando la Wechsler Intelligence Scale for Children (Wechsler, 2012).

      Tutti i bambini sono stati sottoposti ad una risonanza magnetica in stato di riposo, per confrontare le caratteristiche cerebrali di entrambi i gruppi.

      I risultati mostrano differenze anatomiche tra i due gruppi eguagliati per età, che, nel caso delle persone dotate, contengono strutture con interconnessione globale ed integrate, cioè si produce una concentrazione topologica a livello neuronale che ne aumenta l’efficacia rispetto al gruppo di controllo che ha una distribuzione più ampia e diffusa.

      In questo modo, i cervelli dei superdotati non solo eseguono elaborazioni più efficienti in aree specifiche, ma la comunicazione tra queste aree e l’integrazione delle informazioni è anche più veloce ed efficiente, consentendo ad esempio, di avere una maggiore capacità nella memoria di lavoro, la quale richiede la partecipazione di varie regioni per poter seguire e portare a termine un determinato compito.

      Tra i limiti dello studio, commento che erano stati inclusi solo i maschi, tralasciando l’analisi del cervello delle ragazze, e che è stato analizzato anche solo il cervello dei destrimani, con la rappresentazione dei destrimani tra le persone superdotate, che era più bassa rispetto alla popolazione generale.

      Nonostante quanto detto sopra, lo studio ci consente di capire come le persone meno dotate avranno una maggiore capacità cerebrale di elaborare le informazioni, il che non è necessariamente correlato a migliori risultati accademici.

      Sebbene gli autori non commentino “l’origine” di queste differenze, poiché non riescono a valutare il ruolo della genetica o dell’ambiente, è chiaro che spetta al sistema educativo fornire la stimolazione necessaria per sviluppare il potenziale neuronale del bambino.

      Lo Sviluppo del Cervello

      Lo sviluppo del cervello è geneticamente determinato, in modo che le strutture neuronali siano “ripetute” da umano a umano, il che consente l’identificazione morfologica, sebbene ciò non implichi che i cervelli siano gli stessi, ma sono gli stessi anche la distribuzione in lobi, le aree e le regioni, le scanalature, i tratti o i ventricoli neuronali.

      Infatti, i primi studi anatomici del cervello, effettuati post mortem, si sono concentrati proprio sulle somiglianze e sulle differenze di cervelli di persone che avevano sofferto di una qualche patologia, messi a confronto con cervelli sani. In questo modo si è cercato di comprenderne le implicazioni neurali di ogni determinata patologia (Haines, Faaa e Mihailoff, 2019).

      Uno dei casi più conosciuti nella storia è quello di Phineas Gage, che ha subito un infortunio sul lavoro in miniera, dove una sbarra con cui stava lavorando gli ha perforato il cranio. Da quel momento in poi il suo comportamento è cambiato diventando irregolare, imprevedibile e anche spericolato.

      Lo studio post mortem ha permesso di conoscere le aree colpite, nello specifico il lobo frontale sinistro, che ha permesso di stabilire le prime ipotesi sul ruolo del lobo frontale nel controllo degli impulsi, nel giudizio, nonché nella sua partecipazione ai compiti di pianificazione, di coordinamento, di esecuzione e di supervisione dei comportamenti (Echavarría, 2017).

      Attualmente, i progressi nelle tecniche consentono di osservare il cervello e di lavorare dal vivo con determinate funzioni, il che ha permesso di conoscere non solo le aree cerebrali coinvolte, ma anche le vie di comunicazione tra le aree corticali e le aree sottocorticali di determinati processi, sia di tipo più fisiologico che cognitivo. Il tutto applicato al campo della medicina, che consente di confrontare il cervello dei pazienti con il cervello “normale”, e quindi consente di determinare a che punto si trova il “problema” in esso, cosa particolarmente importante al momento dell’intervento chirurgico, quando il resto dei trattamenti non ha l’efficacia attesa nel risolvere il “problema”.

      Le differenze morfologiche o di densità danno indizi ai neurologi sulle patologie di cui può soffrire un determinato paziente, quindi nel caso del morbo di Alzheimer,

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