Sumalee. Storie Di Trakaul. Javier Salazar Calle
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Il giorno dopo mi svegliai pieno di energia. Andammo a lavorare, ma scesi dall'autobus un paio di fermate prima. Volevo muovermi un po'. Ne avevo bisogno. Inoltre, in questo modo potevo vedere un po' la città. La strada era piena di occidentali che si recavano al lavoro. Questo non mi stupiva considerando che il 40% della popolazione di Singapore era composta da espatriati.
Trascorsi la giornata a lavorare senza sosta trascinando in giro per l’ufficio con la mia energia il povero Jérôme, che non era andato a letto presto come me e aveva un mal di testa post sbornia. Alla fine della giornata ero ancora iperattivo, ma non riuscii a convincere nessuno a fare qualcosa di interessante tranne Dámaso a giocare a tennis, così tornammo a casa e passammo più di un'ora a correre in campo. Dámaso mi diede una batosta, ma non mi importava. Tutto ciò di cui avevo bisogno era sfogarmi un po'. Lui invece continuò a ricordarmi la sconfitta per diversi giorni, rimpiangendo di non aver scommesso prima di iniziare.
Un collega americano, Sam, mi suggerì un posto che pensavo fosse fantastico per il mio appuntamento con Sumalee il giorno successivo. Avendo risolto il problema del ristorante, non avevo altre cose da fare, così chiamai mia madre, le raccontai come erano stati quei giorni, senza dire niente di Sumalee in modo che non iniziasse con un film con un matrimonio e tanti nipoti, e passammo il resto del pomeriggio-sera, noi tre, giocando a poker Texas hold'em in soggiorno, con Shen, un simpaticissimo singaporiano di origine cinese che era un nostro vicino di casa. Lì riuscii a pareggiare la sconfitta a tennis e, per inciso, a pagarmi parte della cena del giorno successivo. Dámaso non la prese molto bene, era troppo competitivo. Continuava a dire che era da settimane in una serie negativa, anche se non sapevamo di cosa stesse parlando perché era la nostra prima partita. Ovviamente pagò quello che doveva.
Avevo voglia di sentire Sumalee prima di andare a letto, così la chiamai.
«Buonasera, Sumalee.»
«Ciao Davichu!»
«Come fai a sapere di Davichu? Non è nei libri.»
«Credi che io non possa indagare per conto mio?» chiese con espressione innocente. «Ho parlato di te con la mia collega di lavoro portoghese, che parla spagnolo e ha vissuto in Spagna molti anni.»
«Ah, sì? E cos'altro ti ha detto?»
«Delle cose sugli spagnoli. Te ne parlerò quando ci incontreremo. Mi ha anche insegnato a dire ciao in spagnolo: houla.»
«Quasi, quasi», commentai sorridendo. «Dille di correggere la tua pronuncia e vediamo se domani lo dici bene.»
«Sai già dove mi porterai?»
«Sì, non so se ci sei stata, ma mi sembra un posto molto originale e mi ricorda il mio Paese.»
«Dove?»
«È una sorpresa, o almeno lo spero. Lo saprai domani.»
«Non lasciarmi così! Dammi almeno un indizio ...»
«Okay. Dovrai guadagnarti da mangiare.»
«Cosa?»
«Questo è l'indizio, bella. Se ti rendo le cose troppo facili, rovinerai la mia sorpresa.»
«Va bene, va bene. Dove ci vediamo?»
«Che ne dici delle 19:30 alla fermata della metropolitana Seng Kang?»
«Così a nord? La curiosità mi uccide, ma resisterò fino a domani. Per me va bene! Arrivo appena esco dal lavoro.»
«Anch'io. Ci vediamo domani allora. Un bacione.»
«Un bacio, David.»
Sogni d'oro Sumalee, pensai mentre spegnevo il cellulare. Sogni d'oro.
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