Autres Mondes. Histoire Du Monde De Monad. Elena Kryuchkova
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E come posso spiegare adesso, da ateo e materialista, ciò che mi è successo? Che giustificazione posso trovare a quanto accaduto senza dover citare l’intervento del tuo spirito, o di un altro spirito superiore? Non posso certo darne il merito alle tue cellule ormai inerti, né al mio cellulare impazzito, o forse al tuo; e neppure potrei attribuirlo ad uno strano comportamento del mio cervello bizzarro. Nemmeno tirare in ballo la sola fortuna mi sembra una spiegazione ragionevolmente soddisfacente.
Stavolta non posso che darti ragione: mi hai davvero instillato stabilmente nella mente il ragionevole dubbio che possa esistere un essere superiore, come quello che tu chiami Dio. Peccato che tu non sia qui con me per poter godere di questa tua vittoria, per ascoltare questa mia definitiva capitolazione ai tuoi principii. Ma forse, se il tuo spirito esiste, i miei pensieri li percepisce ugualmente.
Però, nel dubbio, attivo il mio cellulare per scriverti in un messaggino che mi hai finalmente convinto, e poi te lo mando.
LA MADRE DI TUTTE LE BATTAGLIE
Quel pomeriggio, di ritorno a casa, lo spettacolo che si presentò ai miei occhi fu qualcosa di indescrivibile e veramente impressionante.
Corpi senza vita di soldati giacevano qua e la, ammonticchiati alla rinfusa uno sull'altro. Ce n'erano i più diversi: la maggioranza in divisa mimetica da combattimento, ancora con le armi in pugno, ma alcuni anche in uniformi più eleganti e solenni, non saprei ben dire di quali milizie o nazioni. Un trombettiere di colore con la tromba ancora stretta tra le mani; un cavaliere ancora abbarbicato alla sua cavalcatura abbattuta. Si sarebbe detto che fossero stati investiti da una violenta tromba d'aria, da un ciclone improvviso ed imprevedibile che li avesse colti alla sprovvista. E poi pezzi di tutto un po' dappertutto: pentole e padelle, ombrellini e vestiti, brandelli di giornali e riviste, e pezzi di chissà che altro mai. Un paio di automobili nei posti e nelle posizioni più impensabili, più innaturali. Una di esse, capovolta, aveva ancora le ruote in movimento e il motore acceso: il suo ronzio sembrava l'unico segno di vita in quel silenzio così innaturale. Più in là, di traverso, mi parve di scorgere un camion dei pompieri abbandonato.
Mi mossi lentamente e con attenzione, guardando dove mettevo i piedi. Ma ad un tratto, con mio raccapriccio, mi balzò alla vista, con la sua foggia unica e inconfondibile che ben conoscevo per averlo visto in innumerevoli occasioni, quel cappellino rosa vezzoso che indossava sempre la piccola Giuditta, forse l'amica più cara di mia figlia. Già, mia figlia. Un pensiero improvviso, fulminante ed angoscioso: dov'era adesso il mio caro, piccolo dolce tesoro? Stava bene, al sicuro? E con chi?
“Elisa! Elisa!”, chiamai più volte ad alta voce, con apprensione. Nessuna risposta. Allora cercai disperato anche per tutto il resto della casa: niente. Poi mi ricordai. La mattina Elisa era rimasta a casa coi nonni, insieme a quel suo amichetto un po' vivace. Adesso saranno dalla zia, pensai: è tutto a posto.
Raccolsi i soldatini e gli altri giocattoli e rimisi a posto la stanza alla meglio. Peccato solo per la bambola Giuditta, la preferita di Elisa, a cui proprio non riuscii a riattaccare la testa col suo elegante cappellino.
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