Le avventure di Pinocchio (Edizione Originale Illustrata). Carlo Collodi

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Le avventure di Pinocchio (Edizione Originale Illustrata) - Carlo Collodi

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di pianto e il cuore grosso dalla passione di vedere il suo povero Pinocchio in quello stato compassionevole, non rispose altre parole: ma, presi in mano gli arnesi del mestiere e due pezzetti di legno stagionato, si pose a lavorare di grandissimo impegno.

      E in meno d’un’ora, i piedi erano bell’e fatti; due piedini svelti, asciutti e nervosi, come se fossero modellati da un artista di genio.

      Allora Geppetto disse al burattino:

      — Chiudi gli occhi e dormi! — E Pinocchio chiuse gli occhi e fece finta di dormire. E nel tempo che si fingeva addormentato, Geppetto con un po’ di colla sciolta in un guscio d’uovo gli appiccicò i due piedi al loro posto, e glieli appiccicò così bene,che non si vedeva nemmeno il segno dell’attaccatura.

Le avventure di Pinocchio-pag046.jpg

      Principiò a fare mille sgambetti.

      Appena il burattino si accorse di avere i piedi, saltò giù dalla tavola dove stava disteso, e principiò a fare mille sgambetti e mille capriòle, come se fosse ammattito dalla gran contentezza.

      — Per ricompensarvi di quanto avete fatto per me — disse Pinocchio al suo babbo — voglio subito andare a scuola.

      — Bravo ragazzo.

      — Ma per andare a scuola ho bisogno d’un po’ di vestito. —

PinocchioChiostri10.jpg

      Gli fece.... un berrettino di midolla di pane.

      Geppetto, che era povero e non aveva in tasca nemmeno un centesimo, gli fece allora un vestituccio di carta fiorita, un paio di scarpe di scorza d’albero e un berrettino di midolla di pane.

      Pinocchio corse subito a specchiarsi in una catinella piena d’acqua e rimase così contento di sè, che disse pavoneggiandosi:

      — Paio proprio un signore!

      — Davvero; — replicò Geppetto, — perchè, tienlo a mente, non è il vestito bello che fa il signore, ma è piuttosto il vestito pulito.

      — A proposito, — soggiunse il burattino, — per andare alla scuola mi manca sempre qualcosa: anzi mi manca il più e il meglio.

      — Cioè?

      — Mi manca l’Abbecedario.

      — Hai ragione: ma come si fa per averlo?

      — È facilissimo: si va da un libraio e si compra.

      — E i quattrini?

      — Io non ce l’ho.

      — Nemmeno io, — soggiunse il buon vecchio, facendosi tristo.

      E Pinocchio, sebbene fosse un ragazzo allegrissimo, si fece tristo anche lui: perchè la miseria, quando è miseria davvero, la intendono tutti: anche i ragazzi.

      — Pazienza! — gridò Geppetto tutt’a un tratto rizzandosi in piedi; e infilatasi la vecchia casacca di fustagno, tutta toppe e rimendi, uscì correndo di casa.

      Dopo poco tornò: e quando tornò aveva in mano l’Abbecedario per il figliuolo, ma la casacca non l’aveva più. Il pover’uomo era in maniche di camicia, e fuori nevicava.

      — E la casacca, babbo?

      — L’ho venduta.

      — Perchè l’avete venduta?

      — Perchè mi faceva caldo.―

      Pinocchio capì questa risposta a volo, e non potendo frenare l’impeto del suo buon cuore, saltò al collo di Geppetto e cominciò a baciarlo per tutto il viso.

      IX.

      Pinocchio vende l’Abbecedario per andare a vedere il teatrino dei burattini.

      Smesso che fu di nevicare, Pinocchio col suo bravo Abbecedario nuovo sotto il braccio, prese la strada che menava alla scuola: e strada facendo, fantasticava nel suo cervellino mille ragionamenti e mille castelli in aria, uno più bello dell’altro.

      E discorrendo da sè solo, diceva:

      — Oggi, alla scuola, voglio subito imparare a leggere: domani poi imparerò a scrivere, e domani l’altro imparerò a fare i numeri. Poi, colla mia abilità, guadagnerò molti quattrini e coi primi quattrini che mi verranno in tasca, voglio subito fare al mio babbo una bella casacca di panno.

      Ma che dico di panno? Gliela voglio fare tutta d’argento e d’oro, e coi bottoni di brillanti. E quel pover’uomo se la merita davvero: perchè, insomma, per comprarmi i libri e per farmi istruire, è rimasto in maniche di camicia.... a questi freddi! Non ci sono che i babbi che sieno capaci di certi sacrifizi!... — Mentre tutto commosso diceva così gli parve di sentire in lontananza una musica di pifferi e di colpi di grancassa: pì-pì-pì, pì-pì-pì, zum, zum, zum, zum.

      Si fermò e stette in ascolto. Quei suoni venivano di fondo a una lunghissima strada traversa, che conduceva a un piccolo paesetto fabbricato sulla spiaggia del mare.

      — Che cosa sia questa musica? Peccato che io debba andare a scuola, se no… —

      E rimase lì perplesso. A ogni modo, bisognava prendere una risoluzione; o a scuola, o a sentire i pifferi.

      — Oggi anderò a sentire i pifferi, e domani a scuola: per andare a scuola c’è sempre tempo — disse finalmente quel monello facendo una spallucciata.

      Detto fatto, infilò giù per la strada traversa, e cominciò a correre a gambe. Più correva e più sentiva distinto il suono dei pifferi e dei tonfi della grancassa: pì-pì-pì, pì-pì-pì, pì-pì-pì, zum, zum, zum, zum.

      Quand’ecco che si trovò in mezzo a una piazza tutta piena di gente, la quale si affollava intorno a un gran baraccone di legno e di tela dipinta di mille colori.

      — Che cos’è quel baraccone? — domandò Pinocchio, voltandosi a un ragazzetto che era lì del paese.

      — Leggi il cartello, che c’è scritto, e lo saprai.

      — Lo leggerei volentieri, ma per l’appunto oggi non so leggere.

      — Bravo bue! Allora te lo leggerò io. Sappi dunque che in quel cartello a lettere rosse come il fuoco c’è scritto: Gran Teatro dei Burattini…

      — È molto che è incominciata la commedia?

      — Comincia ora.

      — E quanto si spende per entrare?

      — Quattro soldi. —

      Pinocchio, che aveva addosso la febbre della curiosità, perse ogni ritegno, e disse senza vergognarsi al ragazzetto, col quale parlava:

      — Mi daresti quattro soldi fino a domani?

      — Te li darei volentieri, — gli rispose l’altro canzonandolo, — ma oggi per l’appunto

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