Decameron. Giovanni Boccaccio
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Andreuccio, non rispondendogli il fanciullo, cominciò più forte a chiamare: ma ciò era niente. Per che egli, già sospettando e tardi dello inganno cominciandosi a accorgere, salito sopra un muretto che quello chiassolino dalla strada chiudea e nella via disceso, all’uscio della casa, il quale egli molto ben riconobbe, se n’andò, e quivi invano lungamente chiamò e molto il dimenò e percosse. Di che egli piagnendo, come colui che chiara vedea la sua disaventura, cominciò a dire: «Oimè lasso, in come piccol tempo ho io perduti cinquecento fiorini e una sorella!»
E dopo molte altre parole, da capo cominciò a battere l’uscio e a gridare; e tanto fece così, che molti de’ circunstanti vicini, desti, non potendo la noia sofferire, si levarono; e una delle servigiali della donna, in vista tutta sonnocchiosa, fattasi alla finestra proverbiosamente disse: «Chi picchia là giù?»
«Oh!» disse Andreuccio «o non mi conosci tu? Io sono Andreuccio, fratello di madama Fiordaliso.»
Al quale ella rispose: «Buono uomo, se tu hai troppo bevuto, va’ dormi e tornerai domattina; io non so che Andreuccio né che ciance son quelle che tu di’; va’ in buona ora e lasciaci dormir, se ti piace.»
«Come» disse Andreuccio «non sai che io mi dico? Certo sì sai; ma se pur son così fatti i parentadi di Cicilia, che in sì piccol termine si dimentichino, rendimi almeno i panni miei, li quali lasciati v’ho, e io m’andrò volentier con Dio.»
Al quale ella quasi ridendo disse: «Buono uomo, e’ mi par che tu sogni», e il dir questo e il tornarsi dentro e chiuder la finestra fu una cosa.
Di che Andreuccio, già certissimo de’ suoi danni, quasi per doglia fu presso a convertire in rabbia la sua grande ira, e per ingiuria propose di rivolere quello che per parole riaver non potea; per che da capo, presa una gran pietra, con troppi maggior colpi che prima fieramente cominciò a percuoter la porta. La qual cosa molti de’ vicini avanti destisi e levatisi, credendo lui essere alcuno spiacevole il quale queste parole fingesse per noiare quella buona femina, recatosi a noia il picchiare il quale egli faceva, fattisi alle finestre, non altramenti che a un can forestiere tutti quegli della contrada abbaiano adosso, cominciarono a dire: «Questa è una gran villania a venire a questa ora a casa le buone femine e dire queste ciance; deh! va’ con Dio, buono uomo; lasciaci dormir, se ti piace; e se tu hai nulla a far con lei, tornerai domane, e non ci dar questa seccaggine stanotte.»
Dalle quali parole forse assicurato uno che dentro dalla casa era, ruffiano della buona femina, il quale egli né veduto né sentito avea, si fece alle finestre e con una boce grossa, orribile e fiera disse: «Chi è laggiù?»
Andreuccio, a quella voce levata la testa, vide uno il quale, per quel poco che comprender poté, mostrava di dovere essere un gran bacalare, con una barba nera e folta al volto, e come se del letto o da alto sonno si levasse sbadigliava e stropicciavasi gli occhi: a cui egli, non senza paura, rispose: «Io sono un fratello della donna di là entro.»
Ma colui non aspettò che Andreuccio finisse la risposta, anzi più rigido assai che prima disse: «Io non so a che io mi tegno che io non vegno là giù, e deati tante bastonate quante io ti vegga muovere, asino fastidioso e ebriaco che tu dei essere, che questa notte non ci lascerai dormire persona»; e tornatosi dentro serrò la finestra.
Alcuni de’ vicini, che meglio conoscieno la condizion di colui, umilmente parlando a Andreuccio dissero: «Per Dio, buono uomo, vatti con Dio, non volere stanotte essere ucciso costì: vattene per lo tuo migliore.»
Laonde Andreuccio, spaventato dalla voce di colui e dalla vista e sospinto da’ conforti di coloro li quali gli pareva che da carità mossi parlassero, doloroso quanto mai alcuno altro e de’ suoi denar disperato, verso quella parte onde il dì aveva la fanticella seguita, senza saper dove s’andasse, prese la via per tornarsi all’albergo. E a se medesimo dispiacendo per lo puzzo che a lui di lui veniva, disideroso di volgersi al mare per lavarsi, si torse a man sinistra e su per una via chiamata la Ruga Catalana si mise. E verso l’alto della città andando, per ventura davanti si vide due che verso di lui con una lanterna in mano venieno, li quali temendo non fosser della famiglia della corte o altri uomini a mal far disposti, per fuggirli, in un casolare, il qual si vide vicino, pianamente ricoverò. Ma costoro, quasi come a quello proprio luogo inviati andassero, in quel medesimo casolare se n’entrarono; e quivi l’un di loro, scaricati certi ferramenti che in collo avea, con l’altro insieme gl’incominciò a guardare, varie cose sopra quegli ragionando.
E mentre parlavano, disse l’uno: «Che vuol dir questo? Io sento il maggior puzzo che mai mi paresse sentire»; e questo detto, alzata alquanto la lanterna, ebber veduto il cattivel d’Andreuccio, e stupefatti domandar: «Chi è là?»
Andreuccio taceva, ma essi avvicinatiglisi con lume il domandarono che quivi così brutto facesse: alli quali Andreuccio ciò che avvenuto gli era narrò interamente. Costoro, imaginando dove ciò gli potesse essere avvenuto, dissero fra sé: «Veramente in casa lo scarabone Buttafuoco fia stato questo.»
E a lui rivolti, disse l’uno: «Buono uomo, come che tu abbi perduti i tuoi denari, tu hai molto a lodare Idio che quel caso ti venne che tu cadesti né potesti poi in casa rientrare: per ciò che, se caduto non fossi, vivi sicuro che, come prima adormentato ti fossi, saresti stato amazzato e co’ denari avresti la persona perduta. Ma che giova oggimai di piagnere? Tu ne potresti così riavere un denaio come avere delle stelle del cielo: ucciso ne potrai tu bene essere, se colui sente che tu mai ne facci parola.»
E detto questo, consigliatisi alquanto, gli dissero: «Vedi, a noi è presa compassion di te: e per ciò, dove tu vogli con noi essere a fare alcuna cosa la quale a fare andiamo, egli ci pare esser molto certi che in parte ti toccherà il valere di troppo più che perduto non hai.»
Andreuccio, sì come disperato, rispuose ch’era presto.
Era quel dì sepellito uno arcivescovo di Napoli, chiamato messer Filippo Minutolo, e era stato sepellito con ricchissimi ornamenti e con un rubino in dito il quale valeva oltre a cinquecento fiorin d’oro, il quale costoro volevano andare a spogliare; e così a Andreuccio fecer veduto.
Laonde Andreuccio, più cupido che consigliato, con loro si mise in via; e andando verso la chiesa maggiore, e Andreuccio putendo forte, disse l’uno: «Non potremmo noi trovar modo che costui si lavasse un poco dove che sia, che egli non putisse così fieramente?»
Disse l’altro: «Sì, noi siam qui presso a un pozzo al quale suole sempre esser la carrucola e un gran secchione; andianne là e laverenlo spacciatamente.»
Giunti a questo pozzo trovarono che la fune v’era ma il secchione n’era stato levato: per che insieme diliberarono di legarlo alla fune e di collarlo nel pozzo, e egli là giù si lavasse e, come lavato fosse, crollasse la fune e essi il tirerebber suso; e così fecero.
Avvenne che, avendol costor nel pozzo collato, alcuni della famiglia della signoria, li quali e per lo caldo e perché corsi erano dietro a alcuno avendo sete, a quel pozzo venieno a bere: li quali come quegli due videro, incontanente cominciarono a fuggire, li famigliari che quivi venivano a bere non avendogli veduti. Essendo già nel fondo del pozzo Andreuccio lavato, dimenò la fune. Costoro assetati, posti giù lor tavolacci e loro armi e lor gonnelle, cominciarono la fune a tirare credendo a quella il secchion pien d’acqua essere appicato. Come Andreuccio si vide alla sponda del pozzo vicino, così, lasciata la fune, con le mani si gittò sopra quella. La qual cosa costor vedendo, da subita paura presi, senza altro dir lasciaron la fune e cominciarono quanto più poterono a fuggire: di che Andreuccio si maravigliò forte, e se egli non si fosse bene attenuto, egli sarebbe infin nel fondo caduto