Nuovi poemetti (1909). Giovanni Pascoli
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Nell’aia, sotto un prugno, sur un mucchio
di piote, egli chiamò le rondinelle,
Dore, col flauto di castagno in succhio.
Le voci fuori ne traea più belle
e più lontane. Ed ecco che su l’aia
vide due rondini alïare snelle.
Svolar le vide sotto la grondaia,
e poi sparire; e ritornar più tante,
tornare in quattro, in otto, in dieci, a paia.
E stava sotto il prugno tremolante
di bianchi fiori, tra il girar veloce
di tante nere rondinelle sante.
(Avean Gesù pur consolato in croce!)
Forse mancava a casa lor qualcosa:
parlavan alto, tutte ad una voce…
E su la soglia ecco che venne Rosa.
Torna la rondine! È fiorito il prugno!
Il prugno è in fiore, in succhio è già il castagno
Quale, di marzo, quale è in fior, di giugno.
Rosa tenea nel gomito il cavagno
pieno di ghiomi. Stette fissa al grido
del buon ritorno. Ognuna, il suo compagno!
L’albero ha il fiore e la rondine il nido.
LA CINCIALLEGRA
E poi cantò la cinciallegra, e Rigo
tornò. T’avea sognata sul mattino,
t’avea sognata tra un odor di spigo,
sognata, o Rosa, in un candor di lino,
candor di fiori prima della foglia,
senza una foglia, o candido armellino!
Avevi i piedi ignudi su la soglia,
tremavi come un armellino in fiore,
che trema tutto al vento che lo spoglia.
Era rimasto a Rigo, quel tremore;
nel cuore suo, che per due cuori accanto
avea battuto un attimo… o quante ore?
Gli era rimasta una dolcezza, un pianto
per lei come pel bimbo che non parla!
Or pregherebbe come avanti un santo…
E vide Rosa, e non ardì guardarla.
Cantava a lei, ch’era a ronzar nell’orto,
la cinciallegra, e l’era Rigo a mente,
quando lo vide, lieto insieme e smorto.
«Rigo!» E lasciò cadere la semente
che aveva in grembo; e vide sé, smarrita,
tutt’arruffata, con le vesti scente…
Si ravviò con le veloci dita:
pareano i segni che si fanno in chiesa.
Sfiorò d’un tratto fronte spalle vita.
Come pareva anche più bella, accesa
in viso, sfatto il nodo biondo, un piede
ignudo fuor della gonnella tesa!
«Oh! quant’è mai che non vi si rivede!»
«Il babbo è indietro con le sue faccende:
gli legherò due viti o tre, se crede…»
Poi mormorò: «Ben rende chi ben prende».
Squittian nel sole sopra la fanciulla,
chiedeano a lui le rondinelle nere,
chiedeano: – Ed ora non le dici nulla? —
Ma Rigo, no; perché volea vedere.
– Sei tu che vieni a me tutte le aurore?
Sei tu che torni a me tutte le sere?
Fa, quando s’apre, un fiore più rumore… —
IL TORCICOLLO
E dicea – Cincin… pota Cincin… pota —
la cinciallegra; e un canto uscì dal prato
d’erba lupina: un’altra voce nota.
Potava il babbo; lasciò star pennato
forbici e torchi, e poi seguì, fischiando
anch’esso un po’, l’altro messaggio alato.
Prese la vanga (questo era il comando
dell’altro uccello) dalla punta d’oro;
andò la bricia a tirar su, con Nando.
Poi spicciolò nel campo il suo tesoro
di chicchi d’oro; e gli dicea, Fa piano!,
quell’incessante piagnisteo canoro.
Dicea: – Bada! Il granturco non è grano:
ben altra rappa nascerà da un chicco! —
Quasi parea glieli contasse in mano,
dicendo: – A uno a uno! Non sei ricco! —
Poi l’ammoniva ch’era giunta l’ora
di seminar la canipa. Ma poca!
E tristo a lungo ripetea, Lavora!
Ei t’ubbidiva, o poverella fioca
canipaiola: e seminò ben fitto,
dicendo: «Non mai vince, chi non gioca.
Il più del seme ai passeri lo gitto
per certo! È il meno che doventa tela».
Però d’intorno non s’udiva un zitto.
Ma il torcicollo a cui nulla si cela,
avanti o dietro, e che giammai non erra,
cantava pur la lunga sua querela.
Ei li vedeva, i figli della terra,
color di terra, che tendean, gl’ingordi!
Forse pensava: – E l’uomo muove guerra,
per via di loro, ai torcicolli e a’ tordi! —
Ma l’uomo fece un uomo d’una cappa
e d’un cappello. «E’ vi darà buon conto!»
diceva: e se n’andò con la sua zappa.
Scesero allora i passeri. Il tramonto
era dorato. Erano cento e cento…
– Oh! il poveruomo! Ha l’ali, al volo è pronto;
ma è confitto, e lo patulla il vento! —
IL CUCULO
Rigo, mentr’era buona ancor la luna,
potava.