Lo assedio di Roma. Francesco Domenico Guerrazzi
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Quali i pensieri del primo Napoleone su i preti più volte fu esposto, che impossibile è governare stati con le stupide cattiverie loro; dov’essi toccano, la terra sterilisce, le anime intristiscono; capitano della repubblica, egli tolse loro gran parte di terra a Tolentino, imperatore, tutta; anch’egli, come tu, scemando meritamente nella estimazione dei popoli, si volse al passato per acquistare potenza contro l’avvenire, e qui, la sua mente si ottenebrò essendo l’avvenire tale onda contro cui ripe, nè argini valgono, chè ella o li strappa, o li rode, o con acque concitate passa loro di sopra. Quantunque costasse amaro alla sua superbia, egli acconsentì curvarsi ai piedi del sacerdote perchè altri si prostrasse davanti ai suoi; pensò mostrarsi servo un’ora per diventare padrone un secolo; egli pretese tôrre di sotto al prete la fune ond’ei lega le anime, e il prete, mentre gli cingeva la corona, gli adattava il laccio della sua fune al collo. Napoleone intantochè alienata da sè la libertà s’industria ingagliardirsi col passato, percosso dall’alito mortale perde gran parte di vita; la statua giacente su la terra, e ch’egli ripone con le proprie mani sopra la base, gli casca addosso, e se non sola, aggiunto il suo al peso di altri, l’opprime. A Santa Elena, in mal punto si avvisa convertire cotesta isola in rupe dove l’invidia dei potenti lo avesse incatenato con lo avvoltoio nel fegato; veruno lo compianse; le sue catene furono il disprezzo degli uomini, e l’odio della libertà; l’avvoltoio, la sua sterminata e tuttavia stolta ambizione. Le sue prediche ascoltavano i marosi dell’Oceano, i quali rompendosi sopra la spiaggia, brontolavano come moltitudini alle parole dell’oratore doloso; se lo avesse udito il genere umano non avrebbe fiottato meno incollerito.
Il giorno dopo la vittoria, il successore di Napoleone si rinvenne debole; egli credè avere posto i piedi sul granito, ed il terreno gli si affondava sotto, peggio che sabbia; tutti contro, tranne i complici, anzi nè anco questi interamente con lui; però che vi abbiano tali cose, che chi le fa di notte, ne abbrividisce di giorno; e dinanzi la propria coscienza, la colpa per difesa immalignisce. – Lo esercito poi, quello che fa per costringimento di disciplina non parte da volontà deliberata, e fatto, spesse volte detesta.
Sia l’uomo costituito in condizione privata, ovvero in pubblica dignità, supplichi Dio di non essere indotto mai alla prima colpa; non già per questa prima soltanto, ma si perchè ella figli mostruosamente feconda, e strascini senza riparo: – così il nuovo monarca bisognoso, e spaurito, ad un punto, della democrazia si prova annegarne lo spirito sotto la materia, promovendo lavori manuali, accertando il pane a buon mercato, e curvando le anime alla venerazione dell’autorità: ai cittadini provvisti di beni di fortuna, epperò tremanti di ogni foglia che si agiti, squassa su gli occhi il panno rosso, ed ei ne infuriano peggio che bufali: le furie gelate dell’interesse lacerano troppo più implacabili delle furie ardenti della passione; la parte dello inferno, suprema in tormenti, è di diaccio e si chiama Caina; almanco così ha immaginato il padre Alighieri. Intorno alle minaccie di sconvolgimento universale comparse in Francia dopo il 2 decembre, per me opino, che in parte movessero spontanee, ma troppo più fossero eccitate; comunque sia, gli abbienti assistevano con religioso raccoglimento all’olocausto della libertà fatto su l’altare dello interesse loro: certo non santo il sacerdote, ma santo il sagrifizio; e quando il delitto torna, si può dire virtù; anzi è virtù addirittura. Non domandate nulla allo interesse, egli, scosso il sacco, non può darvi altro che un affamatore di popoli, uno appaltatore di ferrovie, un banchiere; la passione, certo, può darvi un Eufemio di Messina, ma altresì sola può crearvi all’uopo o Tell, o Garibaldi. Ma tra i cattivi pessimo consiglio fu agguantarsi al prete, che in tanta fortuna stavasene accartocciato; egli, dopo avergli porto la mano, lo sollevò, gli finse ossequio, lo empì di danaro, e con atti anco burlevoli, perchè soperchianti il bisogno, e’ tenne averselo guadagnato ai suoi disegni; e s’ingannò a partito, perchè mentre pensava prenderlo egli rimaneva preso. Oggi, egli ne trema, e se a ragione non so: questo altro so, che usi noi a vedere da gran pezzo Roma sacerdotale rappresentata da un vecchio debole di corpo e della mente peggio, ci sa di morto, e nè la rispettiamo, nè temiamo.
Pure, posto eziandio, ch’egli a dritto tema: o perchè presume che noi ancora abbiamo paura dello spettro che ha evocato? Noi dobbiamo non portare il peso dei suoi errori; se commise colpe egli le espii: qui appunto stanno le ragioni dello screzio fra noi, che come noi non fummo complici dell’atto, così non intendiamo sopportarne le sequele. Noi pertanto abbiamo bisogno di Roma, conciossiachè durando la Francia in cotesta nostra terra, sorgano due necessità; la prima, in lei di tenerla ai comodi suoi, e ai danni nostri; la seconda, in noi di odiare la Francia quanto Austria, e peggio, chè la offesa del fratello e dello amico irrita gli animi troppo più profondamente che quella mossa dal nemico.
Noi abbiamo bisogno di Roma. Il Papato, un dì, camminò sul tramite che gli segnava il sangue di Cristo e apparve al mondo verace ministro di lui… ma giunto al bivio forviò mettendosi su la strada dei beni terreni, e poichè allora precedeva la intelligenza universale, intese a comporre con la venerazione, gli errori, la potenza, e le altre cose di cui aveva copia un’argine oltre il quale non si dovesse avventurare la umanità, pena il fuoco dello inferno; quando poi ella vide, che se non gli uomini tutti, almanco taluno, di questo fuoco lontano non temeva le scottature, ci surrogò un buono, e bel fuoco di fascine da cocere il pane e calcinare le ossa degli eretici. – Nè valse; le colonne di Ercole mal poste nel mondo fisico, peggio si presume porle al mondo morale, e la Chiesa per opinione mia, sparse il seme della sua ruina il giorno in cui si affermò compita; imperciocchè limite nello spirito sia immobilità, attributo della materia; da quell’ora in poi ella fu impedimento in mezzo della via; da prima, lo intelletto umano si sforzò forarlo, e ci riuscì con le riforme le quali traversando a fatica per cotesto pertugio tanto o quanto uscirono mescolate co’ frammenti che ne staccavano, e ciò fu molto rispetto alla negazione, poco per la filosofia, o vogliamo dire per lo specolare liberissimo della umanità, il quale sdegnoso di ogni sentiero, che apertissimo non sia, ha cumulato onda sopra onda, e adesso passa su cotesto ostacolo senza pure far gorgo. Non si può, e molto meno io voglio disdire, che buona parte di umanità rimanga di qua dall’argine, ma ce la tengono la usanza, e lo errore, che d’ora in ora dimoiano