L'ignoto: Novelle. Di Giacomo Salvatore

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L'ignoto: Novelle - Di Giacomo Salvatore

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s’abbandonò su quel corpo palpitante e un po’ molle da cui, nell’ombra afosa della stanzuccia, vaporava un alito tepido di gioventù e di salute.

      La bionda balbettava:

      – Mbe’, perdòname, perdòname!..

      Ora piangevano, piano, sedute vicino, così vicino che i loro ginocchi si toccavano e la scarsa fiamma della lampa, di volta in volta investita e piegata dal soffio esterno, stentava a disegnare e a separare que’ due corpi quasi immoti…

      VI

      – Avanti, avanti! – urlava don Placido, nella notte, correndo lungo la Via della Stazione – Ora ci verrà addosso tutta l’acqua del santissimo cielo! Ah, Corpo di Cristo! Avanti!..

      L’ombra sua nera e veloce scivolava e fuggiva su’ muri. Le donne lo seguivano, tenendosi per mano, chiuse ne’ loro scialli pesanti, inciampando, di tratto in tratto, ove si faceva più fitta l’oscurità. Così passarono per via Gran Quartiere, poi davanti alla Villa Ferdinandea le cui statue impallidivano confusamente, poi davanti al teatro. Adesso arrivavano alla porta vecchia della città. Sotto l’androne si scaldavano a una grande fiammata di fascine due guardie di finanza, e quella di piantone canticchiava, con le mani in saccoccia, addossata a uno stipite.

      – Salute! – le gridò don Placido, seguitando a correre.

      – Salute e bene! – gridò la guardia.

      Adesso le loro ombre s’inseguivano sul ponte delle fortificazioni: sotto gli stivaloni di don Placido l’acciottolato crepitava. Sui fossati, sulla vallata di Capua era sceso un velario oscuro.

      – Avanti! Siamo arrivati! – egli urlò ancora – Io vado pe’ biglietti. Prendo la terza! Passate per l’ultima porta a destra e aspettatemi sul marciapiedi…

      Bruscamente apparve la fabbrica della Stazione. Letizia si volse. Tutto era scomparso nella notte, dietro di lei: la città, la campagna, i bastioni. Nessuna luce brillava quasi più in quel lontano. Tutto finiva. Allora stese le braccia verso Capua e singhiozzò perdutamente:

      – Addio! Addio! Addio!..

      Poi si sentì trascinare dalla bionda, che quasi la sollevava, e si ritrovò sul marciapiedi, davanti al treno nero, interminabile. La macchina sbuffava. Un vento umido e freddo la percosse in faccia. Udì confuse voci e a un tratto urlare:

      – In vettura! In vettura!

      Uno sportello si spalancò. La bionda salì per la prima, stese le braccia, afferrò Letizia e se la trasse dentro. Lo sportello si chiuse sbatacchiando. L’impeto del treno che s’avviava le gettò l’una addosso all’altra.

      Lo scompartimento era quasi deserto. Due fattori fumavano sul sedile opposto, e subito si misero a parlare di derrate, d’olio, di vino, a voce alta. La pioggia sferzava i vetri dei finestrini.

      VII

      – Arriviamo… – le mormorò Marta, a un tratto.

      Per più d’un’ora, senza parlare, senza neppure guardarla, se l’era tenuta a fianco, stretta, avvinghiandola quasi, rinserrando la stretta a ogni scossone del treno. Ora le parlava sottovoce, rapidamente, quasi all’orecchio.

      – Ascolta… Napoli non la so, non ci sono mai stata. Dicono ch’è una città grande, immensa, pericolosa, un inferno… M’ascolti?..

      Letizia assentì con un moto del capo.

      Marta continuò:

      – Ci ha perdute lo stesso uomo. Bene, non importa… Senti… Siamo come due sorelle, ci siamo conosciute da tanto tempo… Pensa così, come penso io. E tu ora mi vuoi bene, e io ti voglio bene… Senti…

      E la voce s’inteneriva sempre più, maternamente, e tutte e due quelle donne palpitavano. I fattori seguitavano a parlare, più basso.

      – Io non ti lascerò mai! – balbettò ancora la bionda. E in quel patto cercò le mani di Letizia e le strinse – E tu giurami lo stesso! Tu non mi devi lasciare!.. Ho paura di Napoli… Senti… Dimmi che m’aiuterai, che mi difenderai… Letizia, giuralo! Giuralo a Marta, a questa povera disgraziata!..

      Letizia rispose, con un soffio di voce:

      – Sì, sì… giuro…

      Il treno entrò sotto la tettoia e passò sugli scambii con un fragore assordante. I fattori si levarono e agguantarono le loro valigie. Una voce, due, tre urlarono nell’oscurità:

      – Napoli! Napoli! Napoli!..

      Marta si buttò giù e stese le braccia alla compagna. Si spalancarono in quel punto gli sportelli di tutte le vetture e vomitarono sul marciapiedi un’ondata di soldati. Il ventottesimo d’artiglieria, il reggimento del furiere, era partito con loro da Capua. Ora i primi ranghi si formavano in fretta, sotto la tettoia, e confusamente s’udivano altre voci, e lampeggiavano altre armi laggiù in coda al treno.

      Gli ufficiali gridavano i loro ordini e correvano qua e là lungo il treno.

      – Vieni! – disse Marta, trascinando la compagna.

      Sorpassarono i cancelli, s’arrestarono per un momento, ignare, indecise, sotto le arcate dell’uscita sulla piazza.

      Era quasi la mezzanotte. La pioggia batteva sul selciato. Migliaia di lumi, alti, bassi, ora bianchicci, ora rossastri occhieggiavano nella vasta piazza e dalle vie circostanti, ove le case apparivano e sparivano in una nebbia nera che a volte pareva che le dissolvesse.

      Le due donne, attonite, irresolute, scesero dal marciapiedi. Ma quel fiume di soldati che le aveva rincorso fu sopra di loro d’un subito, e le sospinse, e le separò. Passò tutto il reggimento, quasi fuggendo, sotto la pioggia. Letizia fu ricacciata sotto i giardini, dalla parte del Vasto. Ella sbarrò nell’oscurità i suoi grandi occhi azzurri pieni d’orrore.

      E urlò:

      – Marta!.. Marta!

      Nessuno le rispose.

      Letizia si sentì mancare. S’addossò a un fanale. Raccolse la voce e con uno sforzo supremo chiamò ancora:

      – Marta!.. Marta!.. Marta!..

      Nessuno, nessuno…

      Ora ella era a fronte dell’ignoto, nella misteriosa notte del suo destino.

      Sola.

      PESCI FUOR D’ACQUA

      I

      – Son deciso, ecco! – ripetette seduto di faccia a me alla medesima tavola, il mio compagno d’ufficio de Laurenzi – Ormai son deciso a resistere! E staremo a vedere! L’ufficio? I doveri dell’ufficio? L’orario? Ma l’ufficio non conta nulla, mio caro, a fronte di tutta una vita, di tutti i ricordi che v’inchiodano al posto ov’è stato il padre. Il padre, capisci? E io dunque dovrei rinunziare alla scrivania di mio padre, alla stanza dov’è stato mio padre, all’aria che ha respirato mio padre! Ah, sì per esempio! Ma voglio vederlo, perdio!

      S’interruppe. Il cameriere, uno de’ più anziani di quella ignobile gargotte ove s’andava

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