Vittorio Il Barbuto. Guido Pagliarino

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Vittorio Il Barbuto - Guido Pagliarino

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e che, fin ad allora, in mezzo a tutta quella gente non avevo notato, una donna ch’era stata, tanti anni prima, la moglie del mio amico Vittorio D’Aiazzo: nel 1958, non ancora ventenne, ella l’aveva abbandonato per un facoltoso americano, s’era divorziata e risposata con lui negli Stati Uniti; era poi divenuta una ricca vedova e, da pochi mesi, come avevo saputo da Mark, s’era risposata con un altro magnate, un certo Peter White, non presente al banchetto perché sostenitore del presidente Richard, mentre lei era stata una grande elettrice del Montgomery.

      Più volte, dopo l’abbandono, Vittorio m’aveva parlato di “Bimba” come usava chiamarla durante il matrimonio, durato appena un anno; oppure di “mia moglie”, come ancora la definiva dato che lui, cattolico rigoroso diversamente da me, agnostico, continuava a considerarsene il marito: “Il matrimonio in chiesa è un sacramento e non lo si può sciogliere!” m’aveva detto con enfasi in un paio d’occasioni. Adesso, era vedovo.

      I media s’erano detti convinti che vittima designata fosse stato il governatore Donald Montgomery e non la povera signora White: “Come per Bob Kennedy, ma hanno sbagliato mira!” intitolava il quotidiano che avevo comprato all’aeroporto. Avevo pensato: Una gran pubblicità politica, per lui. L’unica domanda che i mezzi di comunicazione s’erano posta era stata: “Perché l’assassino s’è tirato il passamontagna sul viso solo dopo avere sparato, nell’iniziare a fuggire?” Già, perché?

      La notizia era certamente già arrivata in Italia, data la notorietà del giovane candidato alla Presidenza, forse con la foto della signora White, e in questo caso Vittorio poteva già sapere del suo assassinio, nonostante il nuovo cognome della defunta moglie. Se sì, chi sa come aveva accolto la notizia? Con dolore? Io sospettavo che di Bimba fosse ancora innamorato, nonostante l’abbandono di lei, il quindicennio trascorso dalla separazione e una decennale relazione del mio amico con un’altra donna, durata fino a tre anni prima. Riflettendoci durante il volo, avevo pensato che, dopotutto, la morte della moglie fosse stata per Vittorio una liberazione, in quanto gli aveva aperto la via per un nuovo, eventuale matrimonio religioso. Peraltro non mi risultava che avesse un’amica dopo il passato rapporto, durato finché l’amante aveva, inaspettatamente, sposato un altro.

      Ero giunto all’aeroporto torinese di Caselle verso le 3 di notte. M’ero ficcato a letto ma, a causa del diverso fuso orario e avendo già dormito per qualche ora in aereo, avevo riposato poco. Verso le 8 e mezza ero già vestito e pronto a mettermi alla scrivania; prima però avevo telefonato a casa dell’amico vice questore per salutarlo. Inaspettatamente m’aveva risposto una voce femminile. Forse Vittorio ha assunto una domestica a ore? m’ero chiesto mentre attendevo che venisse lui all’apparecchio. Quand’era stato in linea: “Ciao”, gli avevo detto, “sono tornato da un viaggio: vuoi che ci vediamo?”.

      â€œSì”, m’aveva risposto il D’Aiazzo nel suo forte accento napoletano e, come faceva sovente, interpolando qualche parola del suo dialetto, “n’aggio piacere assai, è ‘na vita che non ci vediamo. Dove sei stato di bello?”

      â€œA New York.”

      â€œA New… ma guarda tu la combinazione! Anche noi eravamo a New York! Tu quando sei ripartito?”

      â€œIeri mattina col volo Alitalia delle 10.”

      â€œâ€¦e noi con quello notturno precedente: per poco non si pigliava lo stesso aereo, Ran. Senti qua, perché non vieni a cena da noi stasera? Puoi?”: era allegrissimo; poi, come rivolto ad altri: “Hmm… e va bbuo’; quindi, ancora a me: “Senti, Ran, facciamo un’altra cosa, sei invitato al nostro solito ristorante di corso Palestro per le venti, così ti presento anche la persona che t’ha risposto prima. D’accordo?”

      Evidentemente la sua amorosa non aveva voglia di spignattare per me: “D’accordo, ci vediamo stasera alle 8”, avevo confermato.

      S’era presentato al ristorante solo soletto.

      Io ero già seduto al nostro tavolo. Non appena s'era accomodato, gli avevo chiesto: “…e la persona che dovevi farmi conoscere? Senti un po’: oggi è il 1° di aprile: non sarà mica che…?”

      â€œNo! Son mica ‘nu fesso da pesci! e poi da uno come me che va per i cinquantacinque… No, Marina l’hai sentita al telefono stamattina. Il punto è… che aveva l’emicrania; ma ti conoscerà volentieri a casa nostra, un’altra di queste sere; e poi… va beh, ti dico la verità, lei vuole sempre predisporre tutto con molto anticipo. Mi piace anche per questo: Marina è ‘na femmina precisa come me; hmm… cioè, lei è femmina, ma… beh, m’hai capito, no?”

      â€œâ€¦e coabitate more uxorio?” avevo chiesto malizioso con un sorrisino calcando bene su more uxorio, ben conoscendo le idee sul matrimonio e sul peccato del cattolicissimo amico; ma era arrivato il cameriere per l’ordinazione e Vittorio m’aveva fatto un cenno con la mano perché soprassedessi.

      Quando l’altro s’era allontanato m’aveva risposto: “Sissignore, viviamo insieme; ma solo da un paio di giorni. Prima abbiamo voluto farci un viaggio d’un paio di settimane, per conoscerci meglio. Mi son preso ‘nu poco ‘e ferie e siamo stati a New York e nei dintorni; anche alle cascate del Niagara che sono ‘na roba” aveva cadenzato, “ter-ri-fi-can-te! Le hai viste, no?”

      â€œVeramente no”.

      Nemmeno m’aveva ascoltato e aveva continuato entusiasta: “Marina, l’avevo già conosciuta al funerale del marito, ma l’ho poi incontrata in più lieta circostanza, circa due mesi fa: indovina dove?”

      â€œA un ballo in maschera”, avevo buttato là sorridendo.

      â€œCome fai a saperlo?!”

      â€œBeh, veramente… era una battuta.”

      â€œAh! Però era proprio un ballo in maschera, quello di Carnevale al nostro circolo… Uhei! che volevi insinuare con quel “maschera”? Ch’aggio trovato ‘na racchia? O che ‘o scorfano son io?”.

      â€œMa dài, era una battuta scema, senza senso.”

      M’aveva subito rassicurato stringendomi il polso sinistro: “Anch’io ho reagito per scherzo, Ran, che ti credevi? Mica hai pensato che me la prendessi per cose così, no?”

      â€œN…no, figúrati.”

      In realtà sì: m’era venuta in mente una scenata tremenda che, sia pure per ragioni assai più serie, Vittorio m’aveva piantato tre anni prima.

      Gli avevo chiesto: “Com’è ‘sta Marina?”

      Aveva spalancato bocca e occhi e guardato in alto per un paio di secondi, come estasiato da celeste visione; poi, tornato a una normale espressione di contentezza: “Guarda, ti dico solo che chista

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