Lia. Delio Zinoni
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(120) TUTTE LE STORIE DEL MONDO
DEDICA
a E. Z. ... multa per aequora
(0) NEL DESERTO
Il foglio bianco è simile a un mare di insondabile profondità . Da esso può affiorare qualsiasi cosa: sirene e leviatani, perle e vecchie scarpe.
La somiglianza non era sfuggita agli antichi, che spesso hanno paragonato la scrittura ad un viaggio marino; e a navi, vascelli e barche il loro ingegno avventuroso.
Altri, allâopposto, hanno affermato che tutto è già stato detto, tutto è già stato scritto. Perciò hanno preferito unâaltra metafora, e altre onde: quelle del deserto. Infatti, a differenza del mare, il deserto non nutre nel suo fondo creature vive, e ciò che affiora sono solo i relitti di civiltà trascorse. Elmi di guerrieri, ossa di giganti, pietre di fortezze. Tutto ciò che un tempo era splendido, viene macinato dalla sabbia e ridotto a sua sembianza. Solo quanto è già stato fatto dagli uomini ricompare fra le dune.
Questi due oceani sono perciò opposti? Forse no. Poiché alcuni saggi sostengono che un tempo i deserti erano mari di acqua. E portano a dimostrazione di questa loro affermazione rocce in cui compaiono impronte di conchiglie e di pesci. E se un tempo i deserti erano colmi di vita forse un giorno ne produrranno ancora, di nuova.
Inoltre, senza cercare con lo sguardo epoche lontane del passato o del futuro (poiché la brevità della vita umana impone moderazione anche al pensiero), non esistono forse nel deserto le oasi? Come questa dove sto scrivendo. Nel grande mare del deserto, la vita fiorisce: fontane sgorgano, dove nuotano pesci; ci sono alberi da frutto, e prati dove brucano le capre. Giardini chiusi da mura, e uccelli di ogni specie fra i rami. E le acque di questa oasi, come tutte le acque del mondo, torneranno prima o poi in quell'immenso Oceano che abbraccia tutte le terre.
Perciò, forse, questi due emblemi non sono troppo dissimili.
In entrambi i casi, per chi non cerca lâattenzione di unâora, o lâorecchio distratto del mercante, accingersi a scrivere suscita sgomento nel cuore; la sensazione di essere in bilico fra lo smarrirsi e la futilità .
E tuttavia, la storia che ho sentito raccontare quando ero giovane da uno straniero che aveva attraversato il mare e il deserto, e in cui io stesso ho avuto una piccola parte, non appare indegna di essere narrata nuovamente e scritta, affinché non cada nell'oblio. Perciò, giunto ormai al mezzo della mia vita e avendo troppo indugiato, io, Djab ab-Varani, con lâaiuto del Signore, mi accingo a mettere sulla carta per la prima volta la storia degli amori di Arquin e Lia.
(1) LA STRADA
Lungo la strada che dalle montagne conduce al mare cambiò il mio destino.
La strada è in salita in quel punto, e io correvo per raggiungere il vecchio cimitero dove mi attendevano i miei amici e compagni, cavalieri di ventura fra i boschi e i casolari abbandonati intorno a Morraine.
Avevo compiuto da poco dieci anni.
Qui lâuomo si interruppe, scrutando fra le braci, e noi, ai margini del cerchio di luce arancione, trattenemmo il respiro, in attesa.
Come inizio di una storia non era in verità molto promettente. Ma noi naturalmente non potevamo fare a meno di chiederci quali avventurose vicende avessero mai portato lâuomo dalla folta barba grigia a naufragare nel nostro mare di sabbia.
Correvo, riprese lâuomo con la sua pronuncia incerta, rallentando spesso per cercare le parole di una lingua che gli era estranea, e il cuore mi batteva forte, un poâ per la corsa, un poâ per lâansia dei giochi, e il sangue mi pulsava nelle orecchie, e fu per questo che non sentii il carro che arrivava da dietro una curva, lungo la discesa. Il guidatore tirò le redini, i cavalli sbuffavano scalpitando, nel tentativo di fermarsi, i sassi schizzavano sotto gli zoccoli, ma il carro era grande e pesante.
Poi mi trovai sospeso a qualche braccio di altezza e guardavo tutta la scena: io steso a terra, il carro che si era messo per traverso sulla strada, la gente che scendeva correndo verso il mio corpo.
Lâuomo spalancò le braccia, guardandoci con occhi grandi che riflettevano le fiamme, e quel suo sorriso che allora non riuscivo a definire, ma che è la cosa che ricordo meglio di lui, e ripensandoci, aveva questa qualità : che riusciva ad essere malizioso e infantile insieme. E in quel momento ci sfidava a credere alle sue parole.
Ero morto, disse con voce più profonda, balzando in piedi e facendo un passo verso di noi che eravamo più