Punita Nella Notte. Giovanna Esse

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Punita Nella Notte - Giovanna Esse

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più decise, qualcuno dava l’impressione di non essere veramente il ritratto dell’onestà.

      Ci spostammo di nuovo e cercammo un tavolino; per fortuna ne trovammo uno ancora vuoto, mentre sul palco, davanti al quadrato, un trans bellissimo, seminudo, il cui pene era coperto solo da un piccola conchiglia, iniziò a cantare in tedesco una canzone molto ritmata. I suoi seni rifatti, invece, erano completamente esposti, sotto un bolerino di tulle nero e trasparente. Se fossero state tette naturali, non avrei potuto che invidiarle con tutta me stessa. Era passata mezzanotte, l’animazione era alle stelle, ogni tanto tra la musica rock ci si accorgeva dello scoppio di qualche alterco, piccole risse senza conseguenze ma che mi misero una certa agitazione. Lo dissi a Nunzio, che mi calmò con una semplice osservazione: - Tesoro, hai fiducia in me? – disse con lo sguardo più ingenuo del mondo – Ti metterei mai in pericolo? Guarda, segui attentamente le mie istruzioni ... - e mi prese per le spalle, facendomi girare in direzione di ciò che dovevo osservare. - Ecco, vedi quei due ragazzoni a destra del palco, nella zona dei bagni? – l’ispezione continuò – E quello, vicino alla porta, con la giacca a strisce? E ce ne sono ancora... sono tutti buttafuori. E’ l’atmosfera del locale. Ma non temere, nessuno entra armato, niente coltelli. E’ uno stile. Come una serata a tema. Poi se qualcuno vuole misurarsi, si può recare su quel quadrato e risolvere la questione, dando anche spettacolo. Ma nessuno si fa male, tranquilla. – “Sarà” pensai tra me e me, ma le facce da galera che erano arrivate negli ultimi minuti, mi rendevano un po’ perplessa. Nunzio mi disse cha sarebbe andato a prendere da bere. Mi lamentai: perché non chiedere ad una cameriera? Ma lui si era già perduto nella calca. Pochi minuti dopo, tre ragazze, che sembravano sul brillo, sedettero al nostro tavolo, senza nemmeno chiedere permesso. Una, grossa e puzzolente di sudore, si mise proprio al mio fianco, al posto dove era seduto Nunzio. Mi diede solo una brevissima occhiata, quasi disgustata, poi mi lasciò perdere. Non me la sentii di protestare, anche perché non conoscevo una parola della loro lingua complicata. “Andiamo bene”, pensai tra me. Una delle due ragazze sedute di fronte mi guardò, come se si accorgesse solo allora della mia esistenza. Smise di parlottare sguaiatamente con le sue amiche e si rivolse a me: - Si può sapere cosa tu hai da guardare? – Io sussultai. La ragazza parlava italiano, come lo parlano le badanti: aveva capito subito da dove venivo. - Ah, bene, lei parla italiano. – risposi – volevo solo dire che il posto, questo al mio fianco, è occupato dal mio ragazzo ... è solo andato via, un attimo. – Fui contenta di poterle avvisare che ero accompagnata. Avevo paura che quelle tre iene mi mangiassero in un sol boccone. La donna mi squadrò, poi, come se non avessi nemmeno aperto bocca, ritornò a discutere animatamente con le altre. Intanto arrivò la cameriera con tre birre in barattolo e, alle sue spalle, Nunzio con i nostri bicchieri, colmi di Coca Cola. - Ehi, visto? - dissi indispettita alla ragazza che parlava italiano – lui è il mio ragazzo! - Quella senza mai guardarmi, disse qualcosa alle altre, e tutte e tre sbottarono a ridere in modo volgare. Guardarono Nunzio e lui sorrise ... come un perfetto idiota: - Bene – disse in italiano Nunzio - abbiamo compagnia! - prese per un braccio la cameriera e pagò anche le birre di quelle tre stronze. - Ma che fai? – ci rimasi di stucco. - Questo è tuo uomo? – disse la “badante”, poi, rivolta alle altre – E’ un bello ragazzo, si può sedere! – E di nuovo giù, a ridere. Quell’imbecille di Nunzio, intanto, invece di portarmi via, se la rideva, come se non aspettasse altro che fare amicizia con quelle tre volgaracce. La donna che si era piazzata al mio fianco era la più grossa, di fisico e di età, dimostrava circa trentacinque anni. Lineamenti da russa e col mento pronunciato di un bulldog. Fece un sorriso a Nunzio che sembrava più una smorfia, e si spostò verso di me, col suo grosso culo bolscevico. A furia di spingere e di ignorarmi, la stronza finì per farmi cadere dalla panca, con un ultimo colpo secco. Lo fece apposta. Impreparata, finii col sedere a terra in una posizione così discinta che si videro in bella mostra, le mie collant a reggicalze e le mie mutande da educanda. L’abbigliamento e la posizione suscitarono il ridicolo su di me, mettendomi improvvisamente in forte imbarazzo. La culona improvvisò per l’occasione una sceneggiata che mi fece andare ancor più fuori di testa. Fece un panegirico ad alta voce, fingendo di rivolgersi alle amiche, ma che tutti poterono sentire, infatti commentarono con risatine compiaciute il suo show. Dopo aver fatto la stupida, la ragazza si alzò dalla panca e abbozzando un inchino di scuse, mi porse la mano per aiutarmi ad uscire da quella imbarazzante posizione. Confusa e stupita, ci cascai ... e le diedi la mano. Arrivata a mezz’aria, la troia mi lasciò di botto, facendomi ruzzolare peggio di prima sul pavimento, impacciata dalle scarpe da montagna. Le risate di quella massa di ignoranti arrivarono alle stelle. Nunzio, intanto, seguiva la scena con una faccia da stronzo ed un’espressione divertita. Ormai non pensavo più a lui, un velo rosso calò sui miei occhi. La russa si voltava in giro, mimando degli inchini e raccogliendo gli applausi degli amici: l’atmosfera si era surriscaldata. Non ci vidi più, umiliata e arrabbiata, da terra dove mi trovavo, facendo leva sui gomiti scalciai verso l’alto, alla cieca; fatto sta che, la russa, prese un bella pedata, di pianta, nel culo e fece un balzo in avanti. Non credo di averle fatto male ma di certo si adirò come una scimmia. Dopo la sorpresa, forse finta e un po’ esagerata, ripensandoci, la ragazzona mi fu addosso in un attimo e abbassò talmente il viso sul mio che mi uccise solo con l’alito puzzolente intriso di birra. Raccolsi le mani al viso, convinta che mi menasse ma lei si limitò a prendermi per la camicetta, all’altezza del petto; con la sua forza mi sollevò quasi dal pavimento, poi, sciorinò sul mio volto una litania di offese. Non capii una sola parola ma, in compenso, venni subissata dagli spruzzi di saliva che riversava dalle labbra carnose. Un attimo dopo, invece di continuare quella che sarebbe potuta diventare una vera rissa, si rimise in piedi e con espressione disgustata, si allontanò dalla mia vista. Incredibile! Tirai un sospiro di sollievo, l’avevamo scampata bella: la serata poteva finire veramente male. Fortunatamente la gente che frequentava quel locale era meno aggressiva di quanto avessi temuto. Mi alzai, aiutata da Nunzio che, finalmente, sembrava meno ebete e più preoccupato. Una volta in piedi, però, mentre mi davo una spolverata alle mutande, visto che ormai la mia lingèrie era diventata di dominio pubblico, mi accorsi che qualcosa non andava. Nel locale era caduto un silenzio pregno di aspettativa e tutti gli occhi erano puntati su di noi. Sottovoce, per non dare nell’occhio, sussurrai al mio ragazzo: - Ma ... che c’è ancora, mica saranno razzisti? Perché ci guardano come fenomeni da baraccone? – cominciavo a preoccuparmi più di prima – credo sia meglio se ce ne andiamo ... – - Ehm, amore, non credo sia così semplice... – disse Nunzio abbastanza impacciato – vedi, la ragazza di prima, quella a cui hai dato un calcio ... – Lo guardai allucinata, mi sembrava che anche lui parlasse slavo, visto che non riuscivo a comprendere cosa diavolo volesse dire: - Insomma, quella, – continuò lui con sguardo timoroso – ecco ... lei, ti ha lanciato una sfida! – - Sfidata? – a quel punto ero veramente nel pallone – Che cazzo vuol dire... quale sfida? Ma io chiamo la Polizia, qui siete tutti matti... – divenni veramente furiosa. Ora ce l’avevo anche con quel coglione di Nunzio; a un tratto lo sentii estraneo, lontano. Dopotutto, la nostra non era una storia d’amore... quindi tra noi, a parte l’amicizia e una buona intesa sessuale, non c’era altro. Lui mi fece segno di calmarmi ma io non ne volevo sapere, la mia mentalità “estremamente civile” poteva pure accettare una litigata improvvisa ma una sfida no... che roba. Cose da terzo mondo, da ghetto: trovavo quell’idea repellente, assurda. Mi girai per uscire, dandomi un contegno di superiorità ma alle mie spalle trovai i due buttafuori di prima... deglutii per la paura. Quelli non erano “ragazze”. Avevano le braccia conserte e l’espressione decisa, ognuna delle loro mani era grossa come il mio avambraccio. L’attesa della gente era palpabile e, forse era solo un mia impressione, ma mi sembravano, tutti, un po’ sull’incazzato. Ulteriore disappunto mi nasceva dal fatto che, quel maledetto locale, si riempiva nella notte, invece che svuotarsi. Una sensazione di irrealtà mi prese e mi girò la testa, chiusi un attimo gli occhi per cercare di riprendermi. Nunzio si frappose tra me e i due buttafuori, fece segno di prendere tempo, e quelli sembrarono ammansirsi. - Gioia, purtroppo è andata così ... mi spiace – disse piano –

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