Schiava, Guerriera, Regina . Морган Райс
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Читать онлайн книгу Schiava, Guerriera, Regina - Морган Райс страница 8
Ceres la guardò stupita, certa di non averla mai incontrata prima.
“Come fai a conoscermi?”
Fissò gli occhi in quelli della donna mentre questa faceva un paio di passi e si portava davanti a lei. Ceres sentì che aveva addosso un forte profumo di mirto.
“Vena delle stelle,” disse con voce misteriosa.
Quando la donna sollevò il braccio con un gesto aggraziato, Ceres vide che aveva una triquetra tatuata all’interno del polso. Una strega. A dire dal profumo degli dei, forse una chiromante.
La donna prese i capelli dorati di Ceres e li annusò.
“La spada non ti è sconosciuta,” disse. “Il trono non ti è sconosciuto. Il tuo destino è grandioso in effetti. Il cambiamento sarà potente.”
La donna improvvisamente si girò e se ne andò velocemente, scomparendo dietro alla bancarella, e Ceres rimase ferma e confusa. Sentì le parole della donna penetrarle nell’anima. Sentiva che si era trattato di ben più che un’osservazione: erano una profezia. Potere. Cambiamento. Trono. Destino. Erano parole che lei mai aveva associato con se stessa prima d’ora.
Potevano essere vere? O erano solo le parole di una pazza?
Ceres guardò avanti e vide che Sartes teneva il cesto pieno di cibo, la bocca già piena non solo di pane. Gliela porse. Vide il cibo cotto al forno, la frutta, la verdura, e questo bastò a spezzare la sua determinazione. Normalmente l’avrebbe divorato.
Ma ora, per qualche motivo, aveva perso l’appetito.
C’era un futuro davanti a lei.
Una destino.
La passeggiata fino a casa era durata quasi un’ora più del solito e per tutto il tragitto erano rimasti in silenzio, tutti persi nei loro pensieri. Ceres poteva solo chiedersi cosa pensassero di lei le persone cui voleva più bene al mondo. Sapeva a malapena cosa pensare lei stessa.
Alzò lo sguardo e vide la sua umile casa e fu sorpresa di avercela fatta fino a lì, dato il dolore persistente alla schiena e alla testa.
Gli altri si erano separate da lei un po’ di tempo prima per fare una commissione per loro padre, e Ceres attraversò da sola la cigolante porta, riparandosi e sperando di non imbattersi in sua madre.
Entrò in un bagno di calore. Si diresse verso una piccola fiala di alcool che veniva usato per pulire e che sua madre conservava sotto al suo letto. La stappò, attenta a non usarne tanto, così che non se ne accorgesse. Preparandosi al bruciore, allargò la camicia e se lo versò sulla schiena.
Ceres gridò di dolore, stringendo il pugno e appoggiando la testa al muro, sentendo migliaia di aghi dove l’omnigatto l’aveva graffiata. Sembrava una ferita impossibile da guarire.
La porta si aprì di schianto e Ceres rabbrividì. Fu sollevata di vedere che era solo Sartes.
“Nostro padre ha bisogno di vederti,” le disse.
Ceres notò che aveva gli occhi leggermente arrossati.
“Come va il braccio?” gli chiese, pensando che stesse piangendo per il dolore.
“Non è rotto. Solo slogato.” Fece un passo avanti e il suo volto divenne serio. “Grazie per avermi salvato oggi.”
Lei gli sorrise. “Come avrei potuto trovarmi da un’altra parte?” gli chiese.
Lui ricambiò il sorriso.
“Vai da nostro padre adesso,” le disse. “Io brucio il vestito e la stoffa.”
Non sapeva come avrebbe potuto spiegare a sua madre che i suoi abiti erano improvvisamente spariti, ma quella roba andava assolutamente bruciata. Se su madre l’avesse vista in quelle condizioni – insanguinata e piena di buchi – non ci sarebbe stato verso di spiegare quanto severa sarebbe stata la punizione.
Ceres uscì e percorse il sentiero di erba calpestata che portava al capanno dietro alla casa. C’era un solo albero nel loro umile campo di terra: gli altri erano andati perduti in un incendio e il resto era stato bruciato nel caminetto per scaldare la casa durante le fredde notti d’inverno. I loro rami erano ora messi sopra alla casa stessa come protezione. Ogni volta che Ceres lo vedeva, le veniva in mente sua nonna che era morta l’anno prima. Era stata lei a piantare l’albero quando Ceres era bambina. In un certo modo era il suo tempio. E lo era anche per suo padre. Quando la vita diventava troppo dura da sopportare, si sdraiavano sotto alle stelle e aprivano il loro cuore a Nana come se fosse ancora viva.
Ceres entrò nel capanno e salutò suo padre con un sorriso. Con sua sorpresa notò che la maggior parte dei suoi attrezzi era stata tolta dal tavolo di lavoro e che non c’erano spade in attesa di essere lavorate vicino al caminetto. Non poteva neanche ricordare di aver mai visto il pavimento così pulito e spazzato, o le pareti e il soffitto così spoglie.
Gli occhi azzurri di suo padre si accesero come sempre accadeva quando la vedeva.
“Ceres,” disse alzandosi in piedi.
In quell’ultimo anno i suoi capelli si erano parecchio ingrigiti, come anche la barba corta, e le borse sotto ai suoi amorevoli occhi erano raddoppiate. In passato era stato alto e muscoloso quasi quanto Nesos, ma recentemente Ceres aveva notato che aveva perso peso e la sua postura precedentemente così perfetta si stava incurvando.
Le andò incontro alla porta e le mise una mano callosa sulla schiena.
“Facciamo una passeggiata.”
Il petto le si irrigidì un poco. Quando voleva parlare e camminare, significava che stava per condividere qualcosa di importante.
Fianco a fianco si portarono dietro al capanno, in un piccolo campo. Nuvole nere incombevano poco lontano, soffiando folate di vento caldo e instabile. Sperava che avrebbero portato la pioggia necessaria per riprendersi da quella siccità apparentemente infinita. Ma forse non avrebbero che alimentato, come sempre, solo la vana speranza di un acquazzone.
Il terreno scricchiolava sotto ai suoi piedi mentre camminava, il suolo secco, le piante gialle, marroni e rinsecchite. Quell’appezzamento di terra dietro alla loro recinzione apparteneva a re Claudio, ma non veniva seminato da anni.
Arrivarono in cima a una collina e si fermarono a guardare il campo. Suo padre rimase in silenzio con le mani intrecciate dietro alla schiena, guardando il cielo. Non era da lui e il timore di Ceres si fece più fitto.
Poi parlò e parve che selezionasse con cura le parole.
“A volte non abbiamo il lusso di poter scegliere la nostra strada,” le disse. “Dobbiamo sacrificare tutto ciò che vogliamo per i nostri cari. Anche noi stessi se necessario.”
Sospirò e nel lungo silenzio interrotto solo dal vento, il cuore di Ceres batteva mentre lei si chiedeva dove sarebbe andato a parare.
“Cosa non darei per tenere stretta la tua infanzia per sempre,” aggiunse scrutando il cielo, il volto contorto in una smorfia di dolore prima di rilassarsi di nuovo.
“Cosa c’è che non va?” chiese Ceres mettendogli una mano sul braccio.