Un Mare Di Scudi . Морган Райс

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Un Mare Di Scudi  - Морган Райс L’Anello Dello Stregone

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li guardò, inespressivo, ma era evidente che i suoi occhi brillavano mentre considerava la notizia con attenzione.

      “Dobbiamo?” disse lentamente. “E perché mai?”

      I ragazzi guardarono il padre confusi.

      “Perché?” chiese Karo. “Non possiamo permettere che la nostra famiglia si mescoli con quella di Reece. Finiremmo tutti nelle mani della regina. Le nostre famiglie si unirebbero e lei avrebbe pieno controllo su tutti.”

      “Ci toglierebbe anche quel briciolo di indipendenza che il nostro popolo ancora possiede,” intervenne Fale.

      “I preparativi sono già in moto,” aggiunse Karo. “E dobbiamo trovare un modo di fermarli.”

      Rimasero in attesa di una risposta, ma Tiro scosse la testa.

      “Stupidi. Stupidi ragazzi,” disse lentamente, la voce cupa, scuotendo ripetutamente la testa. “Perché ho cresciuto dei figli così stupidi? Non vi ho insegnato niente in tutti questi anni? Continuate a guardare ciò che avete di fronte e non cosa c’è oltre.”

      “Non capiamo, padre.”

      Tiro si accigliò.

      “Ed è per questo che mi trovo in questa posizione. È per questo che ora al governo non ci siete voi. Fermare questa cosa sarebbe la cosa più stupida che poteste mai fare, e la cosa peggiore che potrebbe accadere alla nostra isola. Se la nostra Stara sposasse Reece, sarebbe la cosa migliore che potrebbe mai succedere, per tutti noi.”

      Lo guardarono confusi, non capendo.

      “Migliore? E come?”

      Tiro sospirò, impaziente.

      “Se le nostre due famiglie si uniranno, Gwendolyn non potrà più tenermi imprigionato qui. Non avrà altra scelta che mettermi in libertà. E questo cambierebbe ogni cosa. Non ci priverebbe del potere, piuttosto ce ne darebbe di più. Saremmo MacGil legittimi, sullo stesso piano di quelli che popolano la terraferma. Gwendolyn sarebbe in debito nei nostri confronti. Capite?” chiese. “Un figlio di Reece e Stara sarebbe tanto figlio nostro quanto loro.”

      “Ma padre, non è naturale. Sono cugini.”

      Tiro scosse la testa.

      “La politica non è mai naturale, figlio mio. Ma questa unione avverrà,” insistette, con voce determinata. “E voi due farete ogni cosa in vostro potere per far sì che accada.”

      Karo si schiarì la voce, ora nervoso e insicuro.

      “Ma Reece è già salpato per raggiungere la terraferma,” disse. “Sappiamo che ha già deciso.”

      Tiro diede un colpo alle sbarre di ferro, come a voler colpire Karo in faccia e il ragazzo fece un salto indietro, sorpreso.

      “Sei addirittura più stupido di quanto pensassi,” disse. “Ti accerterai che succeda. Ci sono uomini che hanno cambiato idea su cose più futili di questa. E tu ti accerterai che Reece non cambi idea.”

      “Come?” gli chiese Fale.

      Tiro rimase pensieroso, sfregandosi la barba a lungo. Per la prima volta dopo molte lune i suoi occhi erano in moto, accesi, pensierosi, intenti nella formulazione di un piano. Per la prima volta c’era speranza e ottimismo nel suo sguardo.

      “La ragazza, Selese, quella che si sta per sposare,” disse Tiro alla fine. “Dovete raggiungerla. Dovete trovarla. Prenderete delle prove… prove dell’amore di Reece per Stara. Glielo direte, prima che lui vada da lei. Vi accerterete che lei sappia che Reece ama un’altra. In questo modo, se Reece dovesse cambiare idea prima di raggiungerla, sarà troppo tardi. In questo modo saremo sicuri della loro rottura.”

      “Ma quali prove abbiamo del loro amore?” chiese Karo.

      Tiro si strofinò la barba pensieroso. Alla fine si riaccese.

      “Ricordate quei rotoli? Quelli che abbiamo intercettato quando Stara era giovane? Le lettere d’amore che lei scriveva a Reece? E le lettere con le quali lui le rispondeva?”

      Karo e Fale annuirono.

      “Sì,” disse Fale. “Intercettavamo i falchi.”

      Tiro annuì.

      “Sono ancora nel mio castello. Portatele quelli. Ditele che sono carteggi recenti e siate convincenti. Non potrà mai indovinarne l’età e tutto finirà.”

      Karo e Fale infine annuirono, sorridendo e rendendosi conto della finezza, astuzia e saggezza di loro padre.

      Tiro sorrise per la prima volta dopo moltissimo tempo.

      “La nostra isola sorgerà di nuovo.”

      CAPITOLO UNDICI

      Thor sedeva a cavallo, conducendolo su e giù lungo le file delle reclute della Legione: tutti i ragazzi erano allineati e stavano sull’attenti davanti a lui nella nuova arena della Legione.

      Thor osservava le decine e decine di nuovi volti esaminandoli attentamente uno per uno, e si sentiva addosso il peso della responsabilità. Nuove reclute si erano riversate lì da ogni angolo dell’Anello, tutti desiderosi di far parte del nuovo corpo della Legione. Era un compito spaventoso quello di scegliere la nuova generazione di guerrieri, gli uomini ai quali l’Anello avrebbe dovuto affidarsi negli anni a venire.

      Una parte di Thorgrin sentiva che lui stesso non meritava di essere lì: dopotutto non erano passate poi così tante lune da quando lui stesso aveva desiderato di essere scelto per la Legione. Quando ci ripensava gli sembravano secoli fa, prima di incontrare Gwen, prima di avere un figlio, prima di diventare un guerriero. Ora eccolo lì, incaricato della ricostruzione, di trovare dei sostituti per tutte le buone anime che erano state uccise difendendo l’Anello.

      Guardando oltre i ragazzi si vedeva il campo santo che lui stesso aveva fatto costruire, con le lapidi che sorgevano dalla terra, luccicanti sotto la luce dei soli al tramonto, a ricordo perpetuo della Legione di un tempo. Era stata un’idea di Thor quella di farli seppellire lì, ai margini della nuova arena, così che potessero sempre essere con loro, per sempre ricordati mentre vegliavano sulle nuove reclute. Thor percepiva i loro spiriti che aleggiavano sopra di loro, aiutandolo e incoraggiandolo.

      Sapendo che i suoi fratelli della Legione – Reece, Conven, Elden e O’Connor – erano tutti sparpagliati per l’Anello per eseguire diversi compiti, Thor era felice, almeno, di essere rimasto lì, vicino a casa, concentrato sul suo compito. Era anche stato Capitano della Legione, quindi era ovvio e quasi naturale che toccasse a lui l’incarico di rimettere in piedi le file.

      Guardò le decine di ragazzi davanti a lui: aveva grandi speranze per alcuni di loro, ma non altrettanto per altri. facevano del loro meglio per mettersi sull’attenti quando lui si avvicinava e già vedeva che alcuni di loro non erano per niente guerrieri. Altri avrebbero potuto esserlo, ma avrebbero necessitato di troppo allenamento. I loro occhi erano animati da un certo timore, ansie, paura di ciò che avrebbero dovuto affrontare.

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