Un Cielo Di Incantesimi . Морган Райс
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Читать онлайн книгу Un Cielo Di Incantesimi - Морган Райс страница 14
“Ti hanno ferito,” gli disse. “Ma puoi essere fiero: sei vivo. Sei salvo.”
Godfrey barcollò, ma gli altri lo sostennero.
“Non è una ferita seria,” disse esaminandolo, “ma hai bisogno di riposo.”
Prese una benda dalla vita e iniziò ad avvolgergliela attorno alla testa, facendo diversi giri mentre Godfrey trasaliva e la guardava. Poi si guardò in giro e osservò i cadaveri, sgranando gli occhi.
“Sono vivo,” disse. “Non posso crederci.”
“Ce l’hai fatta,” disse Reece, stringendogli con gioia le spalle. “Sapevo che ce l’avresti fatta.”
Illepra lo abbracciò, stringendolo, e lentamente anche lui la strinse a sé.
“Quindi è così che ci si sente ad essere un eroe,” disse Godfrey facendo ridere tutti. “Datemi ancora da bere,” disse, “e magari lo farò più spesso.”
Fece un’altra grossa sorsata e alla fine si mise a camminare con loro, appoggiandosi ad Illepra, un braccio attorno alle sue spalle, mentre lei lo aiutava a tenere l’equilibrio.
“Dove sono gli altri?” chiese Godfrey mentre camminavano.
“Non lo sappiamo,” disse Reece. “Da qualche parte verso ovest, spero. È da quella parte che siamo diretti. Stiamo marciando verso la Corte del Re. Per vedere chi è ancora vivo.”
Reece sussultò mentre pronunciava quelle parole. Guardò verso l’orizzonte e pregò che i suoi connazionali avessero incontrato un destino simile a quello di Godfrey. Pensò a Thor, a sua sorella Gwendolyn, a suo fratello Kendrick, a tutti gli altri che amava. Ma sapeva che il massiccio esercito dell’Impero si trovava ancora davanti a loro, e a giudicate dal numero di morti e feriti che avevano già visto, aveva il brutto presentimento che il peggio dovesse ancora giungere.
CAPITOLO OTTO
Thorgrin, Kendrick, Erec, Srog e Bronson facevano da muro compatto contro l’esercito dell’Impero, i loro uomini dietro di loro, le armi sguainate, pronti ad affrontare il violento attacco da parte delle truppe nemiche. Thor sapeva che questo sarebbe stato il suo attacco andando incontro alla morte, l’ultima battaglia della sua vita, eppure non aveva niente di cui pentirsi. Sarebbe morto lì, affrontando il nemico, in piedi e con la spada alla mano, i suoi fratelli d’armi al suo fianco, difendendo la sua madrepatria. Avrebbe così avuto un’occasione di rimediare a ciò che aveva fatto prima, affrontando la sua stessa gente. Non c’era niente di più che avrebbe potuto chiedere in vita sua.
Pensò a Gwendolyn e pensò solo che gli sarebbe piaciuto poter avere più tempo per lei. Pregò che Steffen fosse riuscito a portarla al sicuro e che lei ora fosse salva, dietro le linee dell’esercito. Si sentiva determinato a combattere con tutto se stesso, a uccidere quanti più soldati dell’Impero poteva, anche solo per evitare che le facessero del male.
Mentre si trovava lì sentiva la solidarietà dei suoi fratelli d’armi, tutti privi di timore, valorosi, pronti a tenere testa al nemico. Erano gli uomini migliori del regno, i migliori cavalieri dell’Argento, dei MacGil, dei Silesiani, tutti uniti, nessuno intenzionato ad arretrare per la paura, nonostante le loro scarse probabilità. Erano tutti pronti a rinunciare alla propria vita per difendere la patria. Consideravano tutti l’onore e la libertà più importanti della vita.
Thor udì i corni che risuonavano lungo le linee, guardò le divisioni di innumerevoli uomini allineati in precise unità. Erano soldati disciplinati quelli che stava per affrontare, soldati guidati da comandanti spietati che avevano combattuto per tutta la vita. Era una macchina da guerra ben oliata, erano allenati per andare avanti alla anche dopo la morte del loro capo. Un nuovo comandante senza nome si fece avanti per guidare le truppe. I loro numeri erano grandiosi, infiniti, e Thor sapeva che non c’era modo per loro di sconfiggerli con i pochi uomini che avevano. Ma questo non importava più. Non aveva importanza se fossero morti. Tutto ciò che contava era come sarebbero morti. Sarebbero morti in piedi, da uomini, in un ultimo scontro di valore.
“Dobbiamo aspettare che siano loro a venire da noi?” chiese Erec a voce alta. “O è meglio che offriamo loro il saluto dei MacGil?”
Thor sorrise insieme agli altri. Non c’era niente di simile a un piccolo esercito che ne affrontava uno più grande. Era una sfida spericolata, eppure costituiva il culmine del coraggio.
All’unisono Thor e i suoi uomini improvvisamente lanciarono un grido di battaglia e si lanciarono tutti insieme alla carica. Partirono di corsa a piedi, affrettandosi a coprire lo spazio vuoto tra i due eserciti. Le loro grida squarciarono l’aria, i loro uomini vicini al seguito. Thor teneva alta la spada, correndo accanto ai suoi fratelli, il cuore che gli batteva forte, il vento gelido che gli colpiva il volto. La battaglia era fatta così. Gli ricordò cosa significasse essere vivo.
I due eserciti si lanciarono all’attacco correndo più veloci che potevano pronti ad uccidersi a vicenda. Dopo pochi istanti si incontrarono al centro con un tremendo clangore di armi.
Thor colpiva da ogni parte, scagliandosi contro la prima linea dell’Impero i cui soldati brandivano lance lunghe e picche. Thor riuscì a tagliare a metà la prima picca che colpì, poi pugnalò allo stomaco il soldato che la teneva.
Thor si abbassava e ondeggiava mentre innumerevoli lance venivano dalla sua parte; roteava la spada, colpendo in ogni direzione, tagliando le armi a metà con netto rumore metallico e calciando o sgomitando ogni soldato capitasse nella sua traiettoria. Molti altri vennero colpiti dal suo guanto, altri calciati all’inguine, colpiti con gomitate alla mascella, con testate o pugnalati. La distanza era ravvicinata, si trattava di una lotta corpo a corpo e Thor era come una macchina da guerra, facendosi strada nel mezzo di quella forza altamente superiore.
Tutt’attorno a lui i suoi fratelli stavano facendo lo stesso, combattendo con incredibile velocità e forza, potenza e spirito, anche se in minoranza numerica. Si gettavano contro il grosso esercito facendosi strada tra le linee di uomini dell’Impero che sembravano non finire mai. Nessuno ebbe un solo momento di esitazione e nessuno si tirò indietro.
Attorno a Thor migliaia di uomini ne incontravano altri, gridando e sbuffando mentre combattevano corpo a corpo in una lotta feroce, la battaglia che avrebbe determinato il destino dell’Anello. E nonostante le forze grandiosamente superiori contro cui combattevano, gli uomini dell’Anello stavano prendendo slancio, tenendo a bada l’Impero e facendolo addirittura arretrare.
Thor strappò un mazzafrusto dalle mani di un soldato dell’Impero, lo respinse e poi fece roteare l’arma colpendolo sull’elmo. Continuò poi a farlo girare sopra la propria testa in ampi cerchi mandando a terra numerosi altri uomini. Alla fine lo lanciò nella mischia e ne colpì molti altri ancora.
Poi sollevò la sua spada e tornò al combattimento corpo a corpo, tirando fendenti da ogni parte fino a che le braccia e le spalle iniziarono ad essere stanche. Ad un certo cominciò ad essere troppo lento e un soldato sopraggiunse cecando di colpirlo con una spada. Thor si voltò per affrontarlo e si preparò al colpo e a la ferita che ne sarebbe conseguita.
A quel punto udì un ringhio e Krohn apparve, balzando in aria e serrando i denti sulla gola del soldato, portandolo a terra e salvando Thor.
Trascorsero ore di serrati combattimenti. Mentre Thor era stato inizialmente incoraggiato dal loro vantaggio, presto apparve evidente che quella battaglia era inutile e stava solo ritardando l’inevitabile. Non contava quanti ne uccidessero: l’orizzonte continuava ad essere colmo di un’interminabile squadrone di uomini. E mentre Thor e