Sempre e per sempre . Sophie Love
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу Sempre e per sempre - Sophie Love страница 4
“Papà,” disse Emily alzando lo sguardo sul padre. “Posso avere una bandiera anch’io?”
L’uomo alto le sorrise. “Certo che puoi, Emily Jane.”
“Anch’io ne voglio una, anch’io!” cinguettò una vocina.
Emily si voltò per guardare sua sorella, Charlotte, con la sua sciarpa viola brillante avvolta attorno al collo, che si abbinava tanto male agli stivali con le coccinelle. Era solo una bambina, a malapena capace di stare in piedi.
Seguirono il padre, entrambe le ragazzine gli stringevano una mano mentre attraversavano con lui la strada ed entrarono in un negozietto che vendeva sottaceti fatti in casa e condimenti in vasetto.
“Be’, ciao, Roy,” disse raggiante la signora dietro alla cassa. Poi fece un largo sorriso alle due ragazzine. “Siete tornati per le feste?”
“Da nessuna parte si festeggia il Memorial Day come a Sunset Harbor,” rispose il padre con il suo modo di fare amichevole. “Due bandiere per ragazze, per piacere, Karen.”
La signora andò a prendere delle bandiere dietro alla cassa. “Perché non facciamo tre?” disse. “Non ti dimenticare di te!”
“E perché non quattro?” disse Emily. “Non dovremmo dimenticarci neanche della mamma.”
Roy serrò la mandibola ed Emily si accorse subito di aver detto la cosa sbagliata. La mamma non avrebbe voluto una bandiera. La mamma non era neanche venuta con loro a Sunset Harbor per il weekend. Erano solo loro tre. Ancora. Sembrava che fossero solo loro tre sempre più spesso ultimamente.
“Due basteranno,” rispose il padre un po’ rigido. “Sono solo per le bambine, in realtà.”
La donna dietro alla cassa porse alle ragazze una bandiera ciascuna, e la sua affabilità era stata rimpiazzata da una specie di imbarazzato disagio, avendo capito di aver oltrepassato accidentalmente una linea non detta, invisibile.
Emily guardò il padre pagare la donna e ringraziarla, notando quanto fosse forzato il suo sorriso adesso, quanto la sua postura fosse rigida. Desiderava non aver detto nulla sulla mamma. Guardò la bandiera nella sua stretta inguantata, perdendo d’un tratto un po’ di voglia di festeggiare.
Emily sospirò, scoprendosi di nuovo sulla via principale di Sunset Harbor con Daniel. Scosse la testa, scacciando il turbine di ricordi. Non era la prima volta che subiva l’improvviso ritorno di un ricordo perduto, ma l’esperienza la sconvolgeva ancora nel profondo.
“Tutto bene?” disse Daniel toccandole il braccio con delicatezza, con espressione preoccupata.
“Sì,” rispose Emily, ma la voce sembrava intontita. Provò a sorridere ma riuscì solo a sollevare leggermente gli angoli della bocca. Non aveva detto a Daniel del modo in cui i ricordi d’infanzia le stessero ritornando in frammenti; non voleva spaventarlo.
Decisa a non permettere a queste memorie intrusive di rovinarle la giornata, Emily si buttò nella festa. Erano trascorsi molti anni dall’ultima volta che c’era stata, ma era ancora impressionata dallo spettacolo. Si meravigliava del modo in cui la cittadina accoglieva le celebrazioni e le faceva sue. Una delle cose che stava cominciando ad amare di più di Sunset Harbor erano le sue tradizioni. Sentiva che il Memorial Day sarebbe diventato un’altra vacanza che avrebbe amato.
“Ciao, Emily!” la chiamò Raj Patel dall’altra parte della strada. Passeggiava con sua moglie, la dottoressa Sunita Patel, due persone che ora Emily considerava amiche.
Emily fece loro ciao con la mano e poi disse a Daniel, “Oh, guarda. Ci sono Birk e Bertha. E quella nel passeggino con Jason e Vanessa non è Katy?” Indicò il proprietario della pompa di benzina e la moglie invalida. A fianco c’era il figlio, il pompiere che aveva salvato Emily da un incendio. Lui e sua moglie avevano appena avuto il loro primo figlio, una bambina che si chiamava Katy, e le avevano preso per regalo uno dei cuccioli randagi di Emily. “Dovremmo andare a salutarli,” disse Emily, desiderando parlare con i suoi amici.
“Tra un attimo,” disse Daniel dandole un colpetto con la spalla. “Comincia la parata.”
Emily guardò in fondo alla strada la banda della scuola locale che si metteva in riga, pronta a dare inizio alla processione. Il tamburo cominciò a battere e fu rapidamente seguito dalla musica degli ottoni che suonavano “When the Saints Go Marching In.” Emily, deliziata, guardò la banda oltrepassarli marciando. Alle loro spalle c’erano le cheerleader, con le uniformi rosse, bianche e blu. Risalirono la strada a furia di salti mortali all’indietro e grand battement.
Poi fu la volta di un gruppo di bambini dell’asilo con le facce dipinte, dalle guance paffute e angeliche. Emily provò una piccola fitta nel vederli. Avere bambini non era mai stata una priorità per lei – non si può dire che avesse avuto fretta di diventare madre, considerando quanto orrendo fosse il rapporto che aveva con la sua – ma adesso, guardando i bambini della parata, Emily capì che qualcosa era cambiato dentro di lei. C’era un nuovo desiderio lì, un desiderio che le metteva pressione. Si voltò verso Daniel e si chiese se fosse qualcosa che sentiva anche lui, se la vista di quegli adorabili bimbi lo facesse sentire nello stesso modo. Come sempre, la sua espressione era illeggibile.
La parata continuava. Arrivò un gruppo di donne dall’aria dura della squadra di pattinaggio locale, che saltavano e correvano in tutte le direzioni sui pattini, seguite da una coppia di trampolieri e da un grande carro che portava una replica in cartapesta della statua di Abramo Lincoln.
“Emily, Daniel,” disse una voce alle loro spalle. Era il sindaco Hansen, affiancato dall’assistente, Marcella, che sembrava piuttosto infastidita. “Vi state godendo i festeggiamenti da noi?” chiese il sindaco Hansen. “Non è il tuo primo anno se ricordo bene, ma forse è il primo che tu possa ricordare.”
Fece un sorrisetto innocente, ma Emily si imbarazzò. Cercò di darsi un’aria calma e felice.
“Hai ragione. Purtroppo non ricordo di quando venivo qui da piccola, ma di sicuro mi sto divertendo adesso. E tu, Marcella?” aggiunse, cercando di distogliere l’attenzione da sé. “È il tuo primo anno?”
Marcella annuì in modo deciso ed efficace, poi tornò ai suoi appunti.
“Non fare caso a lei.” sogghignò il sindaco. “È una stacanovista.”
Lo sguardo di Marcella si sollevò giusto un attimo, ma fu sufficiente a Emily per leggere la frustrazione che conteneva negli occhi. Chiaramente l’atteggiamento flemmatico del sindaco la frustrava. Emily poteva capire Marcella. Era anche lei così appena sei mesi prima; troppo seria, troppo stressata, alimentata da un po’ troppa caffeina e dalla paura di fallire. Guardare Marcella era come porre uno specchio davanti alla sua vecchia io. La sola speranza di Emily per lei era che imparasse a rilassarsi, che Sunset Harbor l’aiutasse a sciogliere le sue corde arrotolate così strette, anche se solo un pochino.
“Comunque,” disse il sindaco Hansen, “torniamo al lavoro. Ho delle medaglie da consegnare, vero Marcella? La cerimonia di premiazione per la corsa con l’uovo, o il cucchiaio, o qualcosa del genere.”
“Le olimpiadi dei bambini,” disse Marcella con un sospiro.