La Porta Accanto . Блейк Пирс
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In quella si fermò a studiare il sangue. “Il sangue sembra relativamente fresco. Se dovessi fare una stima, direi che l’omicidio è avvenuto nelle ultime sei ore.”
“E quale sarebbe la sua prossima mossa?” chiese Greene. “Se non avessimo già il marito in custodia e stessimo cercando il colpevole, come si muoverebbe?”
“Cercherei le prove di un rapporto sessuale, così potremmo ricavare il DNA e scoprire a chi appartiene. Ma in attesa dei risultati, andrei di sopra in camera da letto a cercare un portafoglio o qualcosa di simile, nella speranza di trovare un documento d’identità. Naturalmente, questo se non fosse già stato sospettato il marito. In quel caso, potremo ottenere il suo nome direttamente dall’indirizzo di casa.”
Greene le sorrise, annuendo. “Proprio così. Sarebbe sorpresa da quanti novellini cascano in questa domanda tranello. Siamo a casa del sospettato, quindi il nome lo sappiamo già. Ma se non fosse il marito ad essere sospettato, avrebbe ragione lei. Tra l’altro… Fine, si sente bene?”
La domanda la colse di sorpresa, soprattutto perché non stava affatto bene. Era rimasta incantata, a fissare il sangue sulle mattonelle della cucina. Quella vista l’aveva riportata indietro negli anni, a fissare la pozza di sangue che andava seccandosi sulla moquette alla base delle scale.
Senza alcun preavviso, iniziò a sentirsi debole. Si afferrò al bancone della cucina, temendo di stare per vomitare. Era preoccupante e imbarazzante.
È questo che mi devo aspettare ogni volta che mi troverò davanti una scena del crimine anche solo vagamente sanguinolenta? Davanti ad ogni scena del crimine che assomigli vagamente a quella della mamma?
Nella sua mente sentiva la voce di Sally, una delle prime cose che le avesse detto: non sono sicura che una donna possa essere un bravo agente. Soprattutto una con un passato traumatico come il tuo. Mi domando se sia un trauma che si riesca mai a superare…
“Mi dispiace, mi scusi” mormorò. Si spinse via dal bancone e corse alla porta d’ingresso. Per poco non cadde dai gradini del portico mentre raggiungeva il prato, sicura che avrebbe vomitato.
Per fortuna il destino le risparmiò quell’imbarazzo. Fece una serie di respiri profondi, concentrandosi al punto che quasi non si accorse di Greene che la raggiungeva.
“Ci sono casi che colpiscono anche me” le disse. Mantenne una certa distanza, lasciandole il suo spazio. “Ci saranno scene del crimine molto peggiori. È triste, ma dopo un po’ è come se ci si facesse il callo.”
Chloe annuì, poiché l’aveva già sentito prima. “Lo so. È solo che… Questa scena mi ha riportato alla mente un ricordo. Un ricordo a cui non mi piace pensare.”
“Il Bureau dispone di psicoterapeuti eccezionali per aiutare gli agenti a superare cose come questa. Perciò non pensi mai di essere da sola o che questo faccia di lei un agente incapace.”
“La ringrazio” disse Chloe, finalmente in grado di rimettersi dritta in piedi.
Si accorse che all’improvviso sua sorella le mancava terribilmente. Per quanto sembrasse macabro, ogni volta che le affioravano alla mente ricordi del giorno in cui la loro madre era morta, erano sempre accompagnati da un profondo affetto nei confronti di Danielle. Come adesso; Chloe non poteva fare a meno di pensare a sua sorella. Danielle ne aveva passate tante nel corso degli anni; era una vittima delle circostanze e al tempo stesso di alcune decisioni sbagliate. E adesso che Chloe viveva così vicino a lei, sembrava impensabile che dovessero rimanere distanti.
Certo, aveva invitato Danielle alla festa di quartiere quel weekend, ma Chloe scoprì che non sarebbe riuscita ad aspettare tanto a lungo. Inoltre, aveva il sospetto che non ci sarebbe nemmeno venuta.
All’improvviso, seppe cosa doveva fare: doveva vederla adesso.
***
Chloe non sapeva perché fosse così nervosa quando bussò alla porta di Danielle. Sapeva che Danielle era in casa; la stessa auto che aveva avuto da adolescente era nel parcheggio della palazzina, con ancora attaccati gli stickers di band musicali come Nine Inch Nails, KMFDM, Ministry. Vedere l’auto e tutti quegli adesivi le provocò una fitta di nostalgia che era più che altro tristezza.
Davvero non è cresciuta per niente? Si domandò Chloe.
Quando Danielle aprì la porta, Chloe vide che era proprio così. O almeno era quello che il suo aspetto lasciava pensare.
Le sorelle rimasero a guardarsi per due secondi, prima di abbracciarsi rapidamente. Chloe notò che Danielle si tingeva ancora i capelli di nero, indossava ancora il piercing al labbro sul lato sinistro della bocca, aveva un accenno di eyeliner nero e indossava una maglietta dei Bauhaus e dei jeans strappati.
“Chloe” disse Danielle, accennando appena un sorriso. “Come stai?”
Era come se si fossero viste appena il giorno prima, ma andava bene così. Chloe non si aspettava certo una reazione più emotiva dalla sorella.
Chloe entrò nell’appartamento e, senza curarsi di quello che potesse pensare Danielle, la avvolse in un altro abbraccio. Era passato poco più di un anno da quando si erano viste, tre da quando si erano abbracciate così affettuosamente. Qualcosa nel fatto che ora vivessero nella stessa città sembrava aver creato un legame tra loro; era qualcosa che Chloe poteva avvertire, per cui non erano necessarie parole.
Danielle ricambiò l’abbraccio, seppur pigramente. “Quindi… come stai?” ripeté Danielle.
“Bene” disse Chloe. “So che avrei dovuto chiamare prima, ma… Non lo so. Avevo paura che avresti trovato una scusa per dirmi di non passare.”
“Può darsi” ammise Danielle. “Ma adesso che sei qui, accomodati. Scusa il disordine. Anzi no, non scusarlo. Sai che sono sempre stata disordinata.”
Chloe rise ma, entrando nell’appartamento, rimase sorpresa di trovarlo relativamente ordinato. L’area del soggiorno era scarsamente ammobiliata, con soltanto una poltrona, una TV su mobiletto, un tavolino e una lampada. Chloe sapeva che anche il resto della casa doveva essere così. Danielle era il tipo di persona che viveva solo con lo stretto essenziale. Le uniche eccezioni, se non era cambiata da quando era un adolescente (e a quanto sembrava non lo era), erano la musica e i libri. Chloe si sentì quasi in colpa per la casa elaborate spaziosa che aveva appena comprato con Steven.
“Vuoi che metta su del caffè?” chiese Danielle.
“Sì, sarebbe fantastico.”
Andarono in cucina, che come il soggiorno aveva solo lo stretto necessario. Il tavolo era stato chiaramente comprato ad una svendita, e ad abbellirlo c’era solo una tovaglia stropicciata. Due sedie solitarie erano ai lati opposti.
“Sei qui per obbligarmi a venire alla festa di quartiere?” chiese Danielle.
“Niente affatto” disse Chloe. “Oggi durante il tirocinio mi sono trovata su una scena del crimine che… Insomma, ha riportato tutto alla mente.”
“Ahia.”
Tra