Sala Operativa . Джек Марс
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу Sala Operativa - Джек Марс страница 17
Susan annuì. “Lo so.” E lo sapeva davvero. Quella piccola cosa era tornata fuori più volte nelle riunioni. Michael Parowski ti copre le spalle.
“Devi sapere una cosa di me, però,” disse lui. “Sono grosso. Fisicamente sono grosso, e ho una grossa personalità. Se stai cercando qualcuno che se ne stia nel retro a fare da tappezzeria, probabilmente non sono quello giusto.”
“Michael, ti abbiamo vagliato sotto ogni punto di vista. Sappiamo tutto di te. Non vogliamo che te ne stia sullo sfondo. Ti vogliamo in testa, a essere te stesso. Vogliamo la tua forza. Stiamo ricostruendo un governo qui e, in un certo senso, stiamo ricostruendo la fiducia delle persone nell’America. È un lavoro duro, e c’è molta roba pesante di cui occuparsi. È per questo che abbiamo scelto te.”
Lui la guardò in tralice. “Sapete tutto di me, eh?”
Sorrise. “Be’, quasi tutto. C’è ancora un mistero che mi piacerebbe risolvere.”
“Okay, abbocco,” disse. “Quale?”
“Quando tiri da parte le anziane agli eventi, che cosa sussurri?”
Grugnì. In viso gli apparve uno sguardo strano. Il volto quasi gli si trasformò, decadi di usura caddero. Per pochi secondi parve quasi (ma non del tutto) innocente, come il povero bambino che un giorno doveva essere stato.
“Dico loro quanto belle sono oggi,” disse. “Poi dico, ‘Non lo dica a nessuno. È il nostro piccolo segreto.’ E sono sincero, con ogni singola parola.”
Scosse la testa, e Susan pensò che fosse quasi di meraviglia – per le persone, i politici, per l’assoluta magnitudine e audacia di ciò che persone come lui e Susan facevano ogni singolo giorno delle loro vite.
“Funziona sempre,” disse.
CAPITOLO SETTE
11:45
Atlanta, Georgia
“Il signor Li sta bene? È da un po’ che non lo vedo qui.”
L’uomo era piccolo e magro, con una schiena stretta e inarcata all’indietro. Indossava un’uniforme grigia col nome Sal cucito da un lato del petto. Teneva sempre una sigaretta accesa in bocca. Parlava tenendola nella bocca. Sembrava non vedere mai necessità di togliersela finché non l’aveva finita. Poi se ne accendeva un’altra. In una mano teneva un pesante paio di tagliabulloni.
“Oh, sta bene,” disse Luke.
Percorrevano un lungo e ampio corridoio di calcestruzzo. Era illuminato da tremolanti luci fluorescenti che scendevano dal soffitto. Mentre camminavano un piccolo ratto sfrecciò davanti a loro, poi si precipitò lungo l’angolo in fondo del muro. Sal non parve pensare che il ratto valesse un commento, perciò Luke tenne la bocca chiusa. Guardò Ed. Ed sorrise e non disse nulla. Alle loro spalle, Swann tossiva.
Lo spazio di Li si trovava in un ampio e vecchio deposito che era stato suddiviso nel corso degli anni in molti spazi più piccoli. Li affittavano decine di minuscole aziende. C’era una zona di carico in fondo al corridoio, e il corridoio stesso era perfetto per caricare carrelli e trasportare i prodotti dentro e fuori.
Sal sembrava lavorare come una specie di manager o custode del posto. Inizialmente aveva esitato a cooperare. Ma quando Ed gli aveva mostrato il documento di identificazione dell’FBI, e Swann gli aveva mostrato il suo nuovo badge dell’NSA, Sal era diventato bramoso di compiacerli. Luke non gli aveva mostrato il distintivo. Era il suo vecchio documento dello Special Response Team, e l’SRT non esisteva più.
“In che genere di guai può trovarsi?” disse Sal.
Luke si strinse nelle spalle. “Nulla di troppo grosso. Guai con le tasse, guai con il marchio commerciale e violazioni di brevetto. Roba che ci si aspetta da uno che importa dalla Cina. Deve vedere cose così tutto il tempo, ho ragione? Qualche anno fa sono stato a Chongqing. Lì si può entrare nei depositi lungomare per comprare nuovi iPhone per cinquanta pezzi, e orologi Breitling per centocinquanta. Non sono veri, ovvio. Ma guardandoli non si noterebbe la differenza.”
Sal annuì. “Non crederebbe mai alla roba che vedo entrare e uscire da qui.” Si fermò davanti a una porta di lamiera d’acciaio ondulata, del tipo che si solleva dal fondo. “Comunque Li pare davvero un brav’uomo. Non parla un gran inglese, ma direi che se la cava col poco che ha. Ed è molto educato. Tutto inchini e sorrisi. Non sono sicuro di quanti affari faccia, però.”
La porta di metallo aveva una fibbia con una pesante serratura. Sal sollevò il tagliabulloni e con uno scatto rapido spezzò la serratura.
“Siete dentro,” disse. “Spero che troviate ciò che state cercando.”
Stava già percorrendo il corridoio verso il suo ufficio.
“Grazie dell’aiuto,” gli urlò Ed da dietro la spalla.
Sal sollevò una mano. “Sono americano.” Non si voltò.
Ed si sporse in avanti e tirò su la porta. Osservarono ciò che era visibile prima di entrare. Ed ficcò dentro una mano e lentamente la fece passare da un lato all’altro, su e giù, in cerca di fili.
Non era necessario. Il deposito di Li non era protetto da trappole. Anzi, sembrava abbandonato da molto. Quando Luke sollevò l’interruttore, metà delle lampade del soffitto non funzionò. Bancali avvolti nella plastica con su giocattoli da pochi soldi erano accatastati in file nelle tenebre, e coperti da cerata verde. Scatoloni di detergenti per la casa generici, non di marca, del tipo che si trovano nei negozi tutto a un dollaro e in outlet spazzatura, erano impilati in un angolo, ad arrivare quasi al soffitto. Tutto era coperto da un sottile strato di polvere. Quella roba stava lì da un po’.
Li pareva aver importato un carico di ciarpame per mantenere le apparenze, per poi non essersene più occupato.
“L’ufficio è laggiù,” disse Swann.
Nell’angolo in fondo del deposito c’era la porta che portava al piccolo ufficio. La porta era in legno, con un vetro satinato per il pannello in alto. Luke provò la maniglia. Chiusa a chiave. Guardò Ed e Swann.
“Qualcuno di voi ha con sé un piccone? Altrimenti dobbiamo tornare laggiù e spiegare a Sal che il crimine organizzato si è accaparrato il mercato con la merda di discount vecchia di un anno.”
Ed si strinse nelle spalle e prese le chiavi dalla tasca dei jeans. Il portachiavi aveva una piccola torcia. Ed impugnò la torcia come il più piccolo manganello del mondo, e la abbatté sulla finestra, rompendone il vetro. Si sporse oltre il buco e aprì la porta da dentro. Sollevò la torcia per l’ispezione di Luke.
“È come un piccone, ma più diretta.”
Entrarono. L’ufficio era squallido, ma ordinato. Non c’erano finestre. C’era un armadietto con tre cassetti, che erano quasi totalmente vuoti. I cassetti sul fondo avevano ciascuno un po’ di cartelline con manifesti di carico navali e scontrini. Quello in cima aveva qualche barretta proteica e sacchettini di bretzel e patatine, più un paio di bottiglie