Tramutata . Морган Райс
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“Sembri… diversa.”
Esitò, chiedendosi se lui sapesse, chiedendosi se il suo aspetto esteriore mostrasse dei cambiamenti. Deglutì.
“Come?”
Silenzio.
“Non lo so,” rispose lui alla fine.
Caitlin guardò fuori dalla finestra, osservando distrattamente un uomo alla drogheria d’angolo che passava a un tipo una bustina con della roba.
“Odio questo posto,” disse lui.
Lei si voltò a guardarlo.
“Anch’io.”
“Stavo addirittura pensando di…” abbassò la testa, “…andarmene.”
“Cosa intendi dire?”
Lui scrollò le spalle.
Lei lo guardò. Sembrava veramente depresso.
“Dove?” gli chiese.
“Magari… a rintracciare papà.”
“E come? Non abbiamo la più pallida idea di dove sia.”
“Potrei tentare. Potrei trovarlo.”
“Come?”
“Non lo so… ma potrei provare.”
“Sam. Potrebbe essere morto per quanto ne sappiamo.”
“Non dirlo neanche!” gridò e il volto gli si fece rosso.
“Scusa,” disse Caitlin.
Lui si acquietò.
“Ma hai mai considerato che, anche se lo trovassimo, lui potrebbe pure non volerci vedere? Del resto se n’è andato. E non ha mai cercato di mettersi in contatto con noi.”
“Può essere che mamma non glielo permetta.”
“Oppure può essere che non gliene freghi niente di noi.”
Sam si accigliò ancora di più e toccò ancora la sedia con la punta del piede. “L’ho cercato in Facebook.”
Caitlin sgranò gli occhi per la sorpresa.
“Lo hai trovato?”
“Non ne sono sicuro. C’erano quattro persone con il suo nome. Due di loro avevano un profilo privato, e senza foto. Ho mandato un messaggio ad entrambi.”
“E?”
Sam scosse la testa.
“Nessuna risposta.”
“Papà non è tipo da Facebook.”
“Questo non puoi saperlo,” rispose, ancora una volta sulla difensiva.
Caitlin sospirò ed andò al letto per sdraiarvisi sopra. Fissò il soffitto ingiallito, con il colore che si scrostava, e si chiese come potessero essere tutti giunti a quel punto. C’erano state città nelle quali erano vissuti felicemente, addirittura periodi in cui loro madre sembrava quasi allegra. Come quando si vedeva con quel tipo. Sufficientemente felice, tanto almeno da lasciare Caitlin in pace.
C’erano città, come l’ultima nella quale erano stati, dove sia lei che Sam si erano fatti degli amici, dove era sembrato che sarebbero potuti restare sul serio, almeno abbastanza a lungo per diplomarsi nello stesso posto. E poi tutto sembrava cambiare così in fretta. Di nuovo a preparare le valigie. A salutare. Era troppo chiedere un’infanzia normale?
“Potrei tornare a Oakville,” disse Sam all’improvviso, interrompendo il corso dei suoi pensieri. La loro ultima città. Era sorprendente come lui sapesse sempre con esattezza a cosa lei stava pensando. “Potrei andare a stare da degli amici.”
Si sentiva sopraffatta da quella giornata. Era troppo e basta. Non riusciva a pensare chiaramente, e nella sua frustrazione sentiva che anche Sam si stava preparando ad abbandonarla, che non gli interessava più veramente di lei.
“E allora vai!” disse alla fine bruscamente, senza veramente volerlo. Era come se qualcun altro avesse pronunciato quelle parole. Sentì la durezza nelle proprie parole e subito se ne pentì.
Perché doveva sempre incasinare le cose a quel modo? Perché non era capace di controllarsi?
Se avesse avuto un umore migliore, se fosse stata più calma e non le avessero gettato contro tutto quello che era successo, non avrebbe detto una cosa del genere. O sarebbe stata più gentile. Avrebbe detto qualcosa come So che quello che stai cercando di dire è che non te ne andresti mai da questo posto, non importa quanto schifo faccia, perché non mi lasceresti mai da sola ad arrangiarmi in tutto questo. Ed è per questo che ti adoro. E neanche io ti abbandonerei mai. In questa nostra infanzia incasinata, almeno siamo uniti. Invece il suo umore era peggiorato ancor più. Invece lei aveva agito egoisticamente e aveva parlato in maniera brusca.
Si tirò su a sedere e poté vedergli il dolore stampato in faccia. Avrebbe voluto ritirare tutto, chiedere scusa, ma era troppo sopraffatta dai sentimenti. In un modo o nell’altro non fu in grado di aprire bocca.
Nel silenzio Sam si alzò lentamente dalla sua scrivania ed uscì dalla stanza, chiudendo delicatamente la porta alle sue spalle.
Idiota, pensò Caitlin. Sei proprio un’idiota. Perché devi trattarlo allo stesso modo in cui mamma tratta te?
Si stese nuovamente, fissando il soffitto. Si rese conto che c’era un altro motivo per cui era esplosa. Lui aveva interrotto il flusso dei suoi pensieri, e l’aveva fatto proprio nel preciso attimo in cui stavano cambiando per il peggio. Un pensiero oscuro le aveva attraversato la mente, e lui l’aveva interrotto prima che lei potesse avere la possibilità di portarlo a compimento.
L’ex compagno di sua mamma. Tre città prima. Era stata quella volta in cui sua madre era veramente sembrata felice. Frank. Cinquant’anni. Basso, tarchiato, quasi calvo. Tozzo come un tronco. Sapeva di colonia scadente. Lei aveva sedici anni.
Lei si trovava nella piccola lavanderia a ripiegare i propri vestiti quando Frank era comparso sulla porta. Era un tale verme, sempre lì a fissarla. Allungò la mano e afferrò un paio di mutandine, e lei si sentì arrossire di imbarazzo misto a rabbia. Lui le tenne sollevate con un sorrisino stampato in faccia.
“Ti sono cadute queste,” disse con un ghigno. Lei gliele avrebbe strappate dalle mani.
“Cosa vuoi?” gli aveva risposto seccamente.
“È questo il modo di parlare al tuo nuovo patrigno?”
Si avvicinò di mezzo passo.
“Tu non sei il mio patrigno.”
“Ma lo sarò… presto.”
Lei tentò di tornare ai suoi vestiti da piegare, ma lui si avvicinò di un altro mezzo passo. Un mezzo passo