Operazione Presidente. Джек Марс

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Operazione Presidente - Джек Марс

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      “Di voi? Neanche un po’.”

      L’uomo guardò i due dietro a Norman. Afferrarono Norman senza una parola, ciascuno eseguendo su di lui una dolorosa mossa armbar, uno per lato. Gli strattonarono le braccia dietro alla schiena e lo costrinsero a mettersi in ginocchio. L’erba bagnata gli inzuppò istantaneamente i pantaloni.

      “Ehi!” urlò. “Ehi!”

      Urlare era una vecchia tecnica di fuga che aveva imparato a una lezione di autodifesa anni prima. Era stata di aiuto un paio di volte. Quando si era sotto attacco, urlare più forte che si poteva. La cosa sconvolgeva l’aggressore, e spesso faceva scappare la gente. Nessuno se lo aspettava, perché la gente normale raramente alza la voce. La maggior parte delle vittime non lo fa mai. Era una verità dolorosa – molta gente a quel mondo era stata rapinata o violentata o assassinata perché troppo educata per urlare.

      Norman raccolse il fiato per il grido più forte della sua vita.

      L’uomo gli strattonò la testa verso l’alto dai capelli e gli ficcò in bocca uno straccio. Era uno straccio grande, bagnato e sporco di petrolio o benzina o di qualche altra sostanza nociva, e l’uomo glielo spinse in profondità. Gli ci vollero molte spinte violente per ficcarlo fino in fondo. Norman non riuscì a credere a quanto arrivò in profondità, e a quanto gli riempisse tutta la bocca. La mascella gli si spalancò al massimo.

      Non poteva far tornar su lo straccio. L’odore disgustoso che aveva, il sapore, lo facevano soffocare. La gola gli si mise in moto. Se avesse vomitato, sarebbe morto asfissiato.

      “Ga!” disse Norman. “Ga!”

      L’uomo gli diede uno schiaffo a lato della testa.

      “Zitto!” sibilò.

      Gli era caduto il cappello dal capo. Adesso Norman gli vedeva i feroci e pericolosi occhi azzurri. Erano occhi privi di pietà. Erano anche privi di rabbia. O allegria. Non tradivano emozioni di nessun tipo. Dall’interno del cappotto estrasse una pistola nera. Un secondo dopo estrasse un lungo silenziatore. Lentamente, con cautela, senza nessuna fretta, avvitò il silenziatore nella canna della pistola.

      “Sa,” disse, “che rumore farà questa pistola quando avrà sparato?”

      “Ga!” disse Norman. Gli tremava tutto il corpo senza controllo. Il sistema nervoso era impazzito – così tanti messaggi in arrivo tutti insieme, nel tentativo di spostarsi attraverso l’apparato, che Norman era congelato sul posto. Tutto ciò che riusciva a fare era tremare.

      Per la prima volta, si accorse che l’uomo indossava guanti neri di pelle.

      “Farà il rumore di un colpo di tosse. È così che la penso io di solito. Qualcuno ha tossito, una volta, e ha cercato di farlo piano per non disturbare nessun altro.”

      L’uomo premette la pistola a lato della testa di Norman.

      “Buonanotte, signor Norman. Mi dispiace che non abbia svolto il lavoro.”

      * * *

      L’uomo abbassò lo sguardo sui resti di Patrick Norman, ex investigatore indipendente. Era stato un uomo alto e magro con addosso un trench grigio con sotto un completo blu. Aveva la testa devastata, il lato destro esploso in un grosso foro d’uscita. Attorno alla testa del sangue si riversava sull’erba bagnata e scorreva per il sentiero. Se fosse continuato a piovere, probabilmente il sangue sarebbe stato lavato via.

      Ma il corpo?

      L’uomo porse la pistola a uno dei suoi assistenti, quello che prima, quella sera, aveva finto di essere un senzatetto. Il senzatetto, che pure indossava i guanti, si accucciò sul corpo e premette la pistola nel palmo destro del morto. Meticolosamente, premette ciascun dito di Norman sulla pistola in vari punti. Lasciò cadere l’arma a circa quindici centimetri dal corpo.

      Poi si alzò e scosse la testa con tristezza.

      “Che peccato,” disse con accento londinese. “Un altro suicidio. Immagino che trovasse il lavoro stressante. Troppi contrattempi. Troppe delusioni.”

      “La polizia ci crederà?”

      L’inglese offrì il fantasma di un sorriso.

      “Neanche un po’.”

      CAPITOLO DUE

      8 novembre

      3:17 ora dell’Alaska (7:17 ora della costa orientale)

      Versanti del monte Denali

      Parco nazionale del Denali, Alaska

      Luke Stone non si muoveva di un millimetro.

      Era accucciato assolutamente immobile su un tetto, dietro a una bassa tromba delle scale esterna fatta di cemento. La notte era pesante e calda – abbastanza da far sì che il sudore gli avesse inzuppato gli abiti. Respirava profondamente, le narici che divampavano, ma non emetteva suono. Il cuore gli batteva nel petto, lento ma forte, come un pugno che picchia ritmicamente su una porta.

      Bum-BUM. Bum-BUM. Bum-BUM.

      Sbirciò dietro l’angolo dell’annesso delle scale. Dall’altra parte, due uomini barbuti aspettavano con dei fucili automatici sulle spalle. Erano al parapetto dell’edificio, a guardare il porto sotto di loro. Chiacchieravano piano, ridendo di qualcosa. Uno si accese una sigaretta. Luke si allungò verso la gamba e fece scivolare il coltello da caccia a serramanico fuori dal nastro che glielo teneva alla caviglia.

      Mentre Luke osservava, apparve il grosso Ed Newsam, che comparve nella visuale da destra, camminando quasi con noncuranza.

      Il grosso uomo si avvicinò alle guardie. Adesso lo scorsero. Scorgere Ed Newsam era una frase allarmante. Ed portò le mani vuote in aria, ma continuò ad andare verso di loro. Uno degli uomini ringhiò qualcosa in arabo.

      Luke comparve all’improvviso da dietro l’angolo, coltello alla mano. Un secondo, andato. Si precipitò verso di loro, i passi pesanti che scricchiolavano sul tetto di ghiaino. Tre secondi, quattro.

      Gli uomini lo sentirono, si voltarono a guardare.

      Adesso Ed attaccò, afferrando il più vicino dalla testa, girandogliela ferocemente a destra.

      Luke colpì il suo uomo alto sul petto, facendolo cadere a terra. Gli atterrò sopra e ficcò forte il coltello nel pettorale dell’uomo. Lo perforò al primo tentativo. Gli schiacciò una mano sulla bocca, sentendo la peluria della barba. Accoltellò ancora e ancora, dentro e fuori, rapido, come il pistone di un macchinario.

      L’uomo si dimenava e si agitava nel tentativo di togliersi di dosso Luke, ma Luke gli schiaffò via le mani e continuò ad accoltellare. Il coltello faceva un rumore liquido ogni volta che perforava.

      Le braccia dell’uomo caddero sui fianchi. Gli occhi erano aperti, ed era ancora vivo, ma la voglia di lottare lo aveva lasciato.

      Finiscilo. Finiscilo adesso.

      Luke inclinò verso l’alto la testa dell’uomo, con la mano libera che ancora schiacciava forte contro alla bocca,

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