Dossier Zero. Джек Марс
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A meno che, pensò all'improvviso, non avesse un nuovo consigliere.
Estrasse un biglietto da visita dalla sua tasca e fece partire una telefonata.
"Sanders", rispose la donna che gli si era avvicinata nel giardino della Casa Bianca.
"Sono l'agente Kent Steele", le disse. "Ci siamo incontrati oggi..."
"Ricordo", disse lei bruscamente. C'era tensione nella sua voce, indubbiamente dovuta ai recenti eventi. "Cosa posso fare per lei, Agente?"
"Devo parlare con il presidente Pierson".
"Temo che sia in riunione", rispose la Sanders. "Sono sicura che lei sia al corrente di ciò che sta accadendo..."
“Si". Questa volta fu Zero ad interromperla. Ecco perché sto chiamando. Questa è una questione di sicurezza nazionale, signora Sanders. Quindi può fissarmi un incontro con il presidente Pierson, oppure può spiegargli in seguito che si è intromessa tra lui e tutto ciò che sta per accadere".
CAPITOLO OTTO
Meno di mezz'ora dopo, Zero era di nuovo alla Casa Bianca e si stava dirigendo verso lo Studio Ovale. Si rassettò la camicia, nonostante in quelle le circostanze nessuno avrebbe prestato attenzione a come si sarebbe presentato.
Fu ammesso nell'ufficio del presidente, e con sua sorpresa vi trovò Pierson da solo. Zero si aspettava una raffica di attività, una schiera di aiutanti e membri del gabinetto che telefonavano, creavano reti e comunicavano con una dozzina di agenzie e potenze straniere diverse.
Ma non c'era nulla di tutto ciò. Il presidente Pierson si alzò dalla sua scrivania quando Zero entrò, con l'aria di essere invecchiato di dieci anni rispetto a poche ore prima. La cravatta era allentata al collo e i due bottoni in alto della camicia bianca stirata erano sbottonati.
"Agente Steele". Pierson gli porse la mano destra, ma si corresse subito. "Scusa. Dimenticavo che hai la mano ferita. Gesù, che confusione”.
"Ho sentito". Zero diede un'occhiata all'ufficio. "Devo ammettere che mi aspettavo più persone a ricevermi".
"I capi congiunti si stanno radunando nella Sala delle Decisioni". Pierson sospirò e si appoggiò alla sua scrivania con entrambe le mani. “Sono atteso lì. Sebbene io sia contento che tu sia qui, Zero, temo che questo incontro debba essere rinviato".
"Sig. Presidente", insistette Zero," ho delle informazioni". Le dita della mano sinistra si avvicinarono alla sua tasca all'interno della quale c'era la chiavetta USB. "Prima che si riunisca con i vertici, c'è davvero qualcosa di cui ho bisogno che lei..."
“Signore". La porta dello Studio Ovale si aprì di pochi centimetri e la faccia di Emilia Sanders fece capolino. Il suo sguardo passò dal presidente a Zero e poi di nuovo al presidente "La stanno aspettando".
"Grazie, Emilia". Pierson si strinse la cravatta alla gola e si stirò la camicia con i palmi delle mani. "Mi dispiace, Zero, ma la mia attenzione è richiesta altrove".
“Signore". Fece un passo avanti e abbassò ulteriormente la voce. Doveva tentare il tutto per tutto; non poteva in alcun modo permettere a Pierson di entrare nella Stanza delle Decisioni disinformato. "Ho una ragione molto forte per credere che non si può fidare degli uomini che la stanno consigliando".
La fronte del presidente si corrugò. "Quale ragione? Cosa sai?"
"Ho...", Zero iniziò, ma lanciando un'occhiata alle sue spalle vide un agente dei servizi segreti in piedi sulla porta dello Studio Ovale, pronto a scortare il presidente nella Stanza delle Decisioni. “Non posso spiegarlo adesso. Ho solo bisogno di cinque minuti. Da soli".
Pierson si massaggiò il mento. Sembrava molto stanco. "Vieni con me".
“Signore?”
“Partecipa a questo incontro. Dopo la riunione ti dedicherò quei cinque minuti". Pierson si avviò verso la porta e Zero lo seguì. Era tutto ciò che poteva fare; non riuscì a dissuadere il presidente dal partecipare a una riunione riguardante una crisi di sicurezza nazionale. E se questo sarebbe servito ad ottenere quei cinque minuti da solo con Pierson, lo avrebbe seguito anche nella tana del leone.
*
La sala conferenze John F. Kennedy, situata nel seminterrato dell'ala ovest e nota ai più come Stanza delle Decisioni, era il centro di gestione dell'intelligence della Casa Bianca, essa conteneva più di dieci metri quadrati di apparecchiature di comunicazione che permettevano ad alcuni degli uomini più potenti nel mondo di garantire la sicurezza nazionale da un unico luogo.
E Zero, a quanto pare, si era appena aggiudicato un posto a quel tavolo.
Il presidente Pierson entrò nella stanza seguendo i due membri dei servizi segreti, che si posizionarono immediatamente su entrambi i lati delle porte d'accesso alla sala. Zero lo seguì subito dopo. Ora, quella era la raffica di attività che si aspettava al suo arrivo; c'erano quattordici persone che occupavano il lungo tavolo rettangolare che correva per tutta la lunghezza della stanza, e ognuno di loro si alzò quando il presidente entrò.
Zero si guardò rapidamente intorno, scansionando i loro volti. Li riconobbe quasi tutti; erano presenti il Consigliere per la Sicurezza Nazionale, il Consigliere per la Sicurezza Interna, il Capo di Stato Maggiore della Casa Bianca, il Segretario alla Difesa Quentin Rigby, il Direttore dell’Intelligence Nazionale John Hillis e il Segretario Stampa Christine Cleary. Non poté fare a meno di notare ironicamente che, fatta eccezione per lui, Pierson e Cleary, ogni altra persona nella stanza superava la cinquantina.
Fu lievemente sollevato nel vedere che la CIA non aveva un rappresentante all'interno della sala. Si era quasi aspettato di trovare il direttore Mullen o forse anche il vicedirettore Riker. Ma questa era una questione per i capi di stato, e la CIA era rappresentata dal Direttore dell’Intelligence Nazionale Hillis, che avrebbe riferito qualsiasi ordine a Mullen.
"Prego, accomodatevi". Pierson sedette sulla sedia nera a un'estremità del tavolo, quella più vicina alle porte. Fece poi cenno a Zero di sedersi su una sedia vuota vicino a lui.
Diverse paia di occhi erano puntate su di lui mentre si sedeva, ma solo il Segretario alla Difesa parlò. Il generale a quattro stelle in pensione Quentin Rigby mostrava una certa rigidità al collo e alle spalle e profonde rughe di preoccupazione sulla faccia suggerivano che aveva visto i lati peggiori dell'umanità e, sebbene esigente, non aveva paura di esprimersi.
"Signor Presidente". Rigby rimase in piedi mentre si rivolgeva a Pierson. "Non credo di doverle ricordare che ciò di cui stiamo per discutere necessita della massima discrezione..."
"Lo so, generale Rigby, grazie". Pierson interruppe il generale con un gesto della mano. “L'agente Steele è qui come consulente per la sicurezza. È stato messo alla prova dalla CIA e ha dimostrato più volte la sua capacità di discrezione. Per non parlare del fatto che è l'unico in questa stanza con una recente esperienza con il tipo di situazione che stiamo affrontando".
"In ogni caso", ha dichiarato Rigby, "questo è molto poco ortodosso, signore".
"Non credo di doverle ricordare, Generale, che sono l'unica persona a decidere chi si siede in questa stanza".