Il Look Perfetto. Блейк Пирс

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Il Look Perfetto - Блейк Пирс Un thriller psychologique avec Jessie Hunt

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style="font-size:15px;">      “Entra,” le disse, spostandosi di lato.

      Jessie fece un passo nell’ufficio prima di rendersi conto di non poterne fare uno di più senza andare a sbattere contro la sua scrivania.

      “Pensavo che la gente parlasse con sarcasmo, ma questo era realmente uno sgabuzzino, vero?”

      “Non mi serve un sacco di spazio,” le rispose, chiudendo la porta e passandole accanto per andare a prendere posto nella sedia dall’altra parte del piccolo tavolo. Oltre a questo, c’era una sola sedia per gli ospiti, una lampada da scrivania e un piccolo schedario. Per il resto la stanza era vuota.

      “Immagino che tu non venga mai sommerso dalle carte, dato che ti assumi solo pochi casi all’anno.”

      “Mi è sempre piaciuto ridurre al minimo le scartoffie, anche quando lavoravo a pieno regime. Una scrivania intasata corrisponde a una mente intasata.”

      “Confucio?” gli chiese Jessie scherzosa.

      “No, Moses, ma non quello della Bibbia,” le rispose. Prima che lei potesse ribattere, proseguì. “Passiamo quindi al tuo caso.”

      “Sì?”

      “Non ho niente.

      “Cosa?” gli chiese lei incredula.

      Lui parve indifferente davanti alla sua reazione.

      “La verità è che non ci ho ancora neanche provato.”

      “Perché no?” chiese Jessie.

      “Pensaci, Hunt,” le disse con pazienza. “Non è che posso andare così all’ufficio locale dell’FBI, farci un giretto dentro e chiedere agli agenti incaricati come stanno andando le loro indagini, soprattutto non lo stesso giorno in cui la profiler più collegata a Crutchfield torna al lavoro. Quello che sto facendo apparirebbe ovvio. Chiuderebbero le serrande. Tu finiresti nei guai. E io perderei il mio status ufficiale di ‘celeberrimo ed emerito’. Non va mica bene.”

      “Lo fai sembrare impossibile,” protestò Jessie. “Indipendentemente da come li approcci, sarebbero comunque in guardia.”

      “Non necessariamente, soprattutto se capita che mi stia godendo il pranzo in un posto che so essere frequentato da loro. E se loro si siedono con me per la questione del ‘celeberrimo ed emerito’, magari poi si mettono a parlare. Magari vogliono fare colpo sul vecchio e spifferano un po’ di più di quanto dovrebbero. Magari io sembro disinteressato e loro mi dicono ancora di più, giusto per dar prova della loro tempra. Alla gente piace fare così quando mi sta attorno.”

      “Per il tuo status di ‘celeberrimo ed emerito’,” ripeté Jessie.

      “Ora stai iniziando a capire,” le disse. “Ma nessuno mi dirà una parola se salto fuori e chiedo direttamente. Sono agenti dell’FBI, non bambini di seconda elementare.”

      “Quindi perché non sei andato a pranzo?” insistette Jessie.

      “Perché loro non vanno mai in questo posto prima dell’una. Per questo ho chiamato il proprietario e gli ho detto di tenermi un tavolo per le dodici e quarantacinque. Un tavolino in fondo, con un po’ di privacy e spazio per tre persone.”

      “L’hai già fatto?”

      “Sì.”

      “Scusa,” disse Jessie, sinceramente impressionata. “Non avrei dovuto saltarti alla gola così. È solo che Hannah è là fuori e Dio solo sa cosa le sta capitando. Ti ho visto qui tranquillo e mi sono infervorata. Non avrei dovuto dare niente per scontato.”

      “Lo apprezzo, Hunt. E non biasimarti. Con un vecchio come me, ti si può perdonare per aver pensato che mi sia dimenticato della nostra chiacchierata di questa mattina. Ma posso darti un piccolo consiglio?”

      “Certo,” gli disse lei.

      “Devi allentare un po’ la presa.”

      Jessie annuì.

      “È davvero dura per me,” ammise.

      “Capisco,” le rispose. “Sono stato così io stesso a lungo. Ma il fatto è che con quello che facciamo ci sarà sempre qualche pazzo là fuori. Ci sarà sempre una vittima in pericolo. Ci sarà sempre un orologio che scandisce il tempo. Ma se tu tieni il piede schiacciato sull’acceleratore per tutto il tempo, vai a sbattere. È inevitabile. E poi non vali più niente.”

      Jessie annuì. Tutto quello che stava dicendo aveva senso. Prima che potesse confermarglielo, lui continuò.

      “So che non è facile, soprattutto adesso, quando la persona a rischio è la tua sorellastra. Ma a volte devi premere il freno. Devi trovare un qualche equilibrio nella tua vita. Altrimenti ti bruci. E persone che avresti potuto salvare moriranno. Non sto dicendo che non devi lavorare sodo. E non sto dicendo che dovresti fregartene. Ma devi trovare quella linea dove puoi fare questo lavoro ed essere comunque un essere umano funzionante. Altrimenti sarai infelice. Sai cosa intendo dire?”

      Jessie si sentiva come se non avesse mai capito niente in modo migliore di così in vita sua.

      “Sì,” si limitò a dire.

      “Bene,” le rispose lui. “Allora sparisci dal mio ufficio. Devo fare un pisolino prima di pranzo.”

      E con quelle parole di saggezza ancora nelle orecchie, Jessie lo lasciò al suo riposo.

      CAPITOLO OTTO

      Hannah Dorsey ricordò a se stessa che non era ancora morta.

      Poteva anche apparire ovvio, ma una settimana fa a quest’ora non avrebbe potuto esserne così sicura. E ogni minuto che era in vita, era una possibilità in più. Almeno questo era ciò che continuava a ripetersi.

      Sapeva che era più o meno mezzogiorno, perché vedeva dove il fascio di luce che filtrava dalla finestra arrivava a colpire il pavimento dello scantinato in cui era rinchiusa. Per un po’ aveva pensato che fossero usciti dalla California, perché lì non aveva mai visto uno scantinato prima d’ora.

      Ma l’uomo – le aveva detto di chiamarlo Bolton – le aveva spiegato che il precedente proprietario era un immigrato dalla costa orientale, che aveva richiesto che gli venisse costruito un interrato nella sua casa sud-californiana, anche se a livello architettonico non aveva molto senso.

      Bolton le aveva spiegato un sacco di cose.

      Nelle prime ore dopo aver ucciso i suoi genitori affidatari e averla drogata e rapita, non aveva parlato poi tanto. In parte perché Hannah era troppo frastornata per poterlo capire, inizialmente. Dopodiché erano state le sue grida di panico a impedire ogni conversazione.

      Ma dopo circa diciotto ore, era diventata afona a forza di urlare. Oltretutto, era talmente piena di paura e carica di adrenalina e confusione, che ascoltare la voce dell’uomo, con quel suo accento meridionale, era diventato quasi lenitivo. Se parlava, significava che non stava uccidendo. Quindi lei era felice che lui continuasse a blaterare.

      Immaginava che sarebbe presto arrivato a fare una chiacchierata. Le portava sempre il pranzo attorno all’ora in cui la luce che entrava dalla piccola finestra colpiva il centro della stanza, e che lei pensava essere appunto mezzogiorno. Aveva capito qualche altra cosa nella settimana che aveva trascorso

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