L'Eredità Perduta. Robert Blake
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Читать онлайн книгу L'Eredità Perduta - Robert Blake страница 14
«Scendendo le scale ho visto le loro stanze. Non avremo un momento migliore per registrare i loro bagagli.»
«Ma sei impazzito, James Henson?!»
«Non alzare la voce» rispose, cercando di calmarmi.
«Se ci scoprono, avremo un problema serio.»
«Perché dovrebbero scoprirci?»
«Pensavo fossi molto più ragionevole. Senza di me non sarai in grado di trascrivere alcun documento» aggiunsi facendogli l'occhiolino.
Ci alzammo e lasciammo il professore che stava ancora cenando al tavolo senza dire una sola parola. Gli eventi stavano accadendo così rapidamente che era disorientato.
Quando salimmo le scale le mie gambe iniziarono a tremare e sentii le gocce di sudore cadere sulla mia fronte. Quella era una sensazione nuova per me, notavo come l'adrenalina mi attraversava il corpo e mi faceva sentire viva.
Dopo aver raggiunto il primo piano ci dirigemmo verso le stanze sul retro, cercando di fare il minor rumore possibile.
«Come pensi di aprire la porta?»
«Ho imparato qualche strano trucco per aprire qualsiasi tipo di serratura chiusa da per molti anni.»
Quella tecnica di cui stava parlando si rivelò essere un coltello multiuso che teneva in tasca. Lo infilò nella serratura e in un paio di secondi ci fu un clic e la porta si aprì.
Entrando vedemmo come i canadesi avevano trasportato una grande quantità di bagagli dal Quebec. Ciò poteva significare che ne sapevano più di noi sulla ricerca, ma era un grande inconveniente, dal momento che avrebbero dovuto assumere più portatori e animali da soma per trasportare i bagagli. Il loro viaggio sarebbe stato molto più lento del nostro.
Iniziammo ad aprire tutto. In uno degli zaini trovammo una cartella con le mappe dell'area andina e le planimetrie di due impianti di scavo che la loro Università aveva realizzato nelle città precolombiane negli ultimi anni. Quelle mappe ci sarebbero state utili per confrontarle con le nostre.
Nel frattempo, nella sala da pranzo, il professore osservava allarmato uno dei canadesi che si alzava dalla sedia, andava alla reception e iniziava a chiacchierare con il portiere. Restò lì per diversi minuti e poi iniziò a salire le scale. Il professore dal suo tavolo assisteva alla scena terrorizzato senza sapere cosa fare.
Dopo aver ispezionato tutto, uscimmo dalla prima stanza e, dopo aver verificato che non ci fosse nessuno nel corridoio, decidemmo di entrare nella stanza successiva. Continuammo a perquisire i bagagli e scoprimmo che la maggior parte erano vestiti e attrezzature. Ma all'interno dell'armadio, sotto una giacca, trovammo uno zaino molto interessante, contenente due manoscritti: il primo era una trascrizione di iscrizioni precolombiane in spagnolo, era una specie di Stele di Rosetta precolombiana. Un grande sorriso si disegnò sul mio viso mentre la esaminavo. Non c'erano informazioni su quel documento all'Università di Oxford e sembrava che il Quebec non avesse la minima intenzione di diffonderlo alla comunità scientifica.
Il secondo manoscritto, tuttavia, non differiva molto dalle ricerche che avevamo fatto in Inghilterra: descriveva in dettaglio il luogo esatto in cui poteva trovarsi la città verso cui ci stavamo dirigendo.
All'improvviso iniziammo a sentire un mormorio nel corridoio.
Il professore decise di alzarsi dal suo tavolo e salì il più velocemente possibile su per le scale fino a quando non raggiunse il canadese poco prima che arrivasse alla sua stanza.
«Mi scusi, amico» lo chiamò. «Ho sentito prima come parlava con i suoi connazionali. Lei è canadese?»
L'americano annuì.
«Posso esserle utile?»
«Ho trascorso diversi anni a insegnare a Montreal. Quando sento il suo accento continuo a ricordare quegli anni meravigliosi.
«Montreal. Una grande città. Cosa la porta in Colombia?»
«Sono venuto in viaggio d'affari con il mio socio e sua moglie. Ci sono grandi opportunità di espansione in questa zona.»
«È vero. Se mi scusa, devo prendere alcuni documenti prima di continuare la cena.»
«Certo. Mi dispiace averla interrotta.»
Il canadese proseguì verso la sua stanza mentre il professore si voltò e decise di tornare al suo tavolo per non destare altri sospetti.
Sentimmo il clic della porta proprio mentre James usciva dalla finestra della stanza; grazie al professore, avevamo potuto ascoltare parte della conversazione in corridoio con abbastanza tempo per scappare. La stanza era al primo piano e l'altezza non era un inconveniente per farci arrivare in strada.
Il pomeriggio era iniziato male ma alla fine si rivelò molto fruttuoso. Avevamo potuto contrastare il vantaggio con cui partivano gli americani, avevamo scoperto che erano molto più avanzati di noi nello studio della zona. Inoltre, saremmo partiti con almeno un giorno di anticipo da quella città.
Prima del sorgere dei primi raggi di sole che annunciavano l’alba, partimmo in direzione delle alte montagne che costeggiavano il litorale della costa colombiana.
Nonostante il terreno ripido, avanzammo con determinazione lungo sentieri stretti. La temperatura iniziò a scendere vertiginosamente mentre salivamo sulla catena montuosa verdeggiante. Una mattina ventosa finalmente raggiungemmo la cima e iniziammo la discesa che ci avrebbe portato alla savana.
Mentre ci addentravamo nel territorio amazzonico, l'intreccio delle piante infestanti divenne molto più fitto mentre passavamo.
Il gruppo si avviò in una lunga fila alla cui testa marciava la guida accompagnata sempre da James, poi i portatori e i muli carichi di bagagli e, infine, il professore ed io che eravamo costantemente indietro.
«Fa un caldo soffocante» commentò il professore mentre scendevamo attraverso un'ampia valle.
Si fermò un momento, si asciugò il sudore dalla fronte con un fazzoletto e bevve acqua dalla borraccia.
«L'ho ripetuto più volte a Cartagena» commentai seccata. «Avremmo dovuto prendere il Camino Real. Bisogna sempre fare quello che vuole Henson.»
«Stai attenta, potrebbe sentirti.»
«A questa distanza è impossibile che senta qualcosa. Inoltre, gliel'ho già detto in hotel.»
I portatori si facevano sempre strada con i loro machete. In alcune zone le cime degli alberi erano così estese che i loro rami si intersecavano senza far passare la luce del sole. Alcuni giorni riuscivamo a malapena a vedere il cielo. La diversità di fauna e flora era infinita.
«Guardi quei colori, professore» dissi indicando le cime degli alberi.
«Sono tucani tricolori» rispose con un grande sorriso. «In questi momenti saremmo l'invidia di qualsiasi ornitologo.»
«Sono bellissimi. Ma il rumore è insopportabile. È come avere un martello in testa che ti colpisce continuamente. Neanche di notte c'è silenzio in questo posto.»
Il professore annuì con rammarico.
«Ha visto quei primati che saltano attraverso i rami?