Non resta che uccidere. Блейк Пирс

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Non resta che uccidere - Блейк Пирс Un thriller di Adele Sharp

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ho detto niente,” disse la voce della signora Johnson.

      Si sentì qualche fruscio e la voce del signor Johnson tornò in linea. “Sono sicuro che non intendesse niente di offensivo, cara. Vuole solo sapere tutti i fatti.” Poi con tono più forte aggiunse: “Niente. Proprio come dice mia moglie. Amanda era felice. Entusiasta. Chi le avrebbe mai fatto una cosa del genere. È… è stata lei da sola? Quando ci hanno contattato la prima volta, la polizia tedesca ha detto che l’avevano trovata.  Qualcuno le ha parlato? Avete dei sospetti?”

      Adele odiava quella parte. Il necessario ma doloroso velo tra i cari e l’indagine. Fece del proprio meglio per gestirlo dicendo: “Alla fine speriamo di capire tutto. Perché questo accada, avrò però bisogno di un po’ di tempo. Spero che me lo concederete. Da quello che ho visto e sentito, vostra figlia è una ragazza molto forte. Concentrerei i miei pensieri su questo. Il resto lasciatelo a me, ok?”

      Qualche respiro pesante, ma poi: “Va bene. Grazie, agente Sharp.”

      “Un’altra cosa,” disse Adele. “Se potete farmi un piacere, e so che è una grossa richiesta, ma sarebbe di aiuto: potreste scrivere, per quello che ne sapete, l’itinerario di vostra figlia? Da quando ha lasciato gli Stati Uniti a quando è sparita. Qualsiasi cosa vi venga in mente. Dove possa essere andata con i suoi amici, qualsiasi email possa avervi mandato dai diversi posti che ha visitato. Alberghi, motel, B&B. Come ho detto, so che è tanta roba, ma sarebbe di aiuto. Vi farò dare la mia email dall’agente che vi ha contattati prima di me. Potete inviare il tutto direttamente lì.”

      “Sicuramente,” disse il signor Johnson con la voce leggermente affaticata.

      Per un momento regnò il silenzio. Poi Adele si morse il labbro e prima di potersi trattenere, uno sfogo di ciò che stava provando dentro di sé si palesò esternamente. “Scoprirò chi è il colpevole. Ve lo prometto,” disse, la voce tutt’a un tratto tirata. “Troverò il colpevole. Vostra figlia se lo merita… Alla fine, lo scoprirò. Va bene? So che fa paura, essere lontani. Avere la sensazione di non poter aiutare. Ma giusto perché lo sappiate… ci sono passata. E troverò il colpevole. Ve lo prometto.”

      L’improvvisa fuga di emozioni parve scatenare una reazione simile dall’altra parte della linea. Adele sentì qualcuno che piangeva sommessamente di sottofondo, poi il signor Johnson parlò con voce brusca. “Una promessa coraggiosa, agente Sharp. Credo che lei stia parlando sinceramente.”

      “È così.”

      “Buona sera, agente. Buona fortuna.”

      Si salutarono e Adele abbassò il telefono, permettendo alla coppia di mettere giù per primi e interrompere la chiamata.

      “Niente?” chiese John. Aveva preso un sacchetto di patatine dal distributore automatico, ma grazie al cielo aveva aspettato ad aprirlo durante la chiamata. Ora però, prima che Adele potesse rispondergli, lo aprì.

      “Niente,” gli disse lei mentre lui masticava rumorosamente. Respirò dal naso, calmandosi più che poteva. Poi si concentrò. Prima di tutto veniva il caso. Le promesse non significavano niente senza i fatti. “Niente di nuovo, almeno. Per loro era normale dividersi. Non lo so. Forse dovremmo parlare con alcuni dei suoi amici. Vedremo.”

      “Era normale per lei anche sparire per cinque mesi?” chiese John. “È successo qualcosa, qualcosa di fuori dall’ordinario. Ma cosa?”

      Adele annuì. “È qui che entriamo in ballo noi.”

      Si mise in tasca il telefono, si sistemò le maniche e poi andò verso la porta.

      CAPITOLO SETTE

      Adele sedeva al piccolo tavolino nella sua stanza del motel. John era di fronte a lei, gli occhi fissi sullo schermo del portatile, intento a sfogliare i file aperti sul suo computer. Si era levato il maglione e indossava solo una stretta maglietta nera che metteva bene in risalto la sua forma muscolosa. Adele avrebbe preferito di gran lunga guardare lui che il contenuto dello schermo.

      “Niente?” gli chiese, sempre guardandolo. John sollevò la testa e lei distolse rapidamente lo sguardo, deglutendo e facendo finta di essere concentrata sul cucinino.

      Riportò poi l’attenzione sul proprio schermo e i suoi occhi luccicarono mentre scorreva i vari file a cui l’agente Marshall aveva dato loro accesso. Per ora la giovane agente stava dando una mano a organizzare una caccia all’uomo nella Foresta Nera. Ma prima Adele aveva voluto dare un’occhiata alle persone scomparse.

      “Sono davvero tante,” disse John. “Qui c’è un tizio che si chiama Henry Walker. È sparito due anni fa. Un’altra, Cynthia Davis, che manca dall’anno scorso. Entrambi americani.” Inarcò le sopracciglia. Poi continuò: “Un altro ancora, di nome Pierre Costa. Questo è francese. È sparito tre anni fa. E poi due ragazze, scomparse insieme. Entrambe l’anno scorso.”

      “Quanti di loro sono stati ritrovati?” chiese Adele, guardandolo oltre il bordo del portatile. Questa volta non si fissò sulla maglietta stretta o sulla sua figura lunga e proporzionata. Lo sguardo di John incrociò il suo e lo sostenne. Le parole che seguirono fecero sparire ogni altro pensiero dalla mente di Adele. “Tre sono stati trovati. Due con dei proiettili nella nuca. Uno in fondo a un crepaccio: a quanto pare un incidente durante un’escursione.”

      Adele si morsicò l’angolo del labbro. “Non stiamo cercando nessuno che sia già stato trovato. Concentrati solo su quelli che sono tuttora scomparsi. Dimmi quanti ne vedi.”

      John tirò su con il naso e iniziò a digitare e cliccare rapidamente sulla tastiera. Continuò a scorrere i vari documenti. Da parte sua, Adele prestò maggiore attenzione ai dettagli dei pochi nomi che aveva già trovato nel database. Tutti scomparsi nella Foresta Nera. Sei in totale, fino ad ora. Tutti sulla ventina. Tutti apparentemente stranieri.

      Tamburellò con le dita sulla base del computer, godendosi la sensazione del ritmo. Si appoggiò allo schienale, sentendo che il duro metallo non cedeva neanche di un millimetro sotto al suo peso. Parte di lei avrebbe voluto andare a fare la sua solita corsa. Erano passati un po’ di giorni da quando era riuscita ad allenarsi l’ultima volta. Si stava stancando di starsene seduta tutto il tempo. Se non altro per cambiare la postura, si alzò in piedi e iniziò a camminare attorno al tavolo. In parte, mentre tamburellava con le dita contro la gamba, sapeva di essere nervosa dopo la loro visita all’ospedale. Odiava gli ospedali. Ma in parte poteva sentire anche il senso di cattivo presagio che le aleggiava attorno. I presentimenti del direttore Foucault la angustiavano. Per quale motivo in particolare Foucault pensava che questo caso fosse nefasto?

      Sembrava calcolato, pensò Adele tra sé e sé. C’era in esso qualcosa di astuto e preciso. Qualcosa che suggeriva che chiunque ci fosse dietro alla scomparsa della signorina Johnson, e alle successive violenze, l’avesse fatto ben conoscendo il bersaglio scelto. Una straniera. Ventenne. Indifesa, senza nessun legame nella zona, il che significava nessuno che sentisse la sua mancanza. I suoi genitori erano dall’altra parte dell’oceano. L’assassino aveva scelto bene la sua vittima. Non era stato un atto casuale.

      “Niente?” chiese.

      John sollevò lo sguardo su di lei accigliandosi leggermente. “Sedici nomi, solo negli ultimi tre anni. Tutti ancora mancanti. Tutti, eccetto uno, sono sui vent’anni.”

      “Età da università,” disse Adele. Poi chiese: “E quanti di loro sono stranieri?”

      John scrutò la lista e poi risollevò lo sguardo. “Più della metà,” disse.

      Ruotò il suo computer

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