Scherzi Dei Vicini. Marco Fogliani

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Scherzi Dei Vicini - Marco Fogliani

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i miei fremiti con una serie di raffiche inaspettate. Mentre le due signore si davano un gran da fare per raccogliere ciò che cadeva e limitare o prevenire altri danni, io mi liberai della prima molletta e comincia a percuotere ripetutamente, con la mia coda libera, la vicina coperta della nonna. Con due o tre colpi ben assestati le feci spostare il baricentro finché non cominciò a scivolare, lentamente ma inesorabilmente, nonostante gli sforzi della signora Maria. Strettamente avvinghiate, e con mia grande soddisfazione, si accasciarono entrambe sul pavimento della terrazza, l’una non più immacolata, l’altra dolorante e consapevole di dover rifare qualche bucato.

      Infine mi liberai dell’altra molletta, spiccai il volo e mi sollevai ad un’altezza da cui potevo avere una buona visione d’insieme dell’accaduto. Un bello spettacolo.

      Dal basso gli sguardi delle due donne osservavano i miei movimenti con preoccupazione, più per la mia traiettoria che per la mia sorte. Mi scelsi la via di fuga più defilata, e planai lentamente nella direzione scelta. Ero tentato di fuggire altrove per sempre.

      Qualcuno suonò al campanello dell’abitazione della signora Maria.

      “Chi è?”

      “Sono la signora del piano di sotto. Ho trovato un tappetino sul mio terrazzo. Pensavo che potesse essere suo.”

      La signora Maria vinse la sua iniziale diffidenza ed aprì la porta.

      “Si era impigliato tra le mie piante. Ho pensato che fosse caduto dal suo terrazzo. Sa, lo so come sono i bambini piccoli. Appena ti distrai un attimo … ”

      La signora Maria era incredula. “Sì, è proprio il mio. Ma come ha fatto a finire da lei? Pensi che mi è caduto dalla terrazza condominiale!”

      “Comunque complimenti. E’ davvero un bel tappetino. Sembra antico, probabilmente un persiano, ed ha un disegno bellissimo.”

      “Ha ragione, sa. Fino all’altro giorno era talmente sporco che a malapena si distingueva qualcosa. Pensi che mia nonna lo teneva nel bagnetto di servizio.”

      “Davvero?!”

      “In effetti starebbe molto meglio in salone o nell’ingresso. Ma a proposito, perché non entra un attimo? Magari posso offrirle qualcosa?”

      Le due donne passarono una buona mezz’ora a chiacchierare; non poco, se si pensa che si conoscevano a malapena di vista. E buona parte di questo tempo la trascorsero a studiare quale fosse la sistemazione migliore per un tappetino così prezioso. Sicuramente non il bagnetto, ma neanche la stanza del bambino - non si sa mai che cosa ci potrebbe fare. E poi è importante la luce, da che parte arriva, in modo che si possano apprezzare meglio le sue sfumature cangianti. E che non sia troppo vicino alla porta d’ingresso, che qualcuno non lo scambi per uno zerbino; anzi possibilmente non deve essere calpestato affatto, perché a lavarlo troppo spesso potrebbe rovinarsi.

      La signora di sopra sembrava intendersene dell’argomento, e diede anche qualche consiglio sul modo migliore per lavarlo e pulirlo. Forse in cuor suo ella sperava che il tappetino non fosse caduto da uno dei terrazzi soprastanti, ma che fosse piovuto dal cielo, in modo da poterselo tenere. Invece si accontentò di una buona tazza di tè e di dimostrare a una sconosciuta la sua competenza sull’argomento e la sua onestà.

      Avevo fatto una marachella e mi meritavo di essere punito. E poi mi ero preso un po’ di polvere: quindi era doppiamente giusto che fossi sculacciato ben bene col battipanni. Non era proprio il caso di rilavarmi dopo quello che aveva detto quella signora. (Una vera intenditrice: forse con lei mi sarei trovato meglio.)

      Però avevo ricevuto un sacco di complimenti, e continuo tuttora a riceverne ogni volta che arriva un nuovo ospite.

      L’unico dispiacere è che ho meno possibilità di giocare con Giorgio, per diversi motivi. Intanto perché raramente lo lasciano venire in salone; e poi perché spesso mi trovo addosso le zampe di un tavolino. Già, hanno preso questa provvedimento dopo che per un paio di volte mi hanno trovato nella sua stanza a giocare con lui. Ma per il resto, il nostro affiatamento e la voglia di giocare insieme non sono cambiati.

      In quanto a quella coperta della nonna che dicevano fosse così bella, non ne ho più sentito parlare né ho avuto più modo di vederla o incontrarla; per quanto, ora che anche i miei meriti vengono riconosciuti, non avrei più alcun motivo di esserne geloso.

      LUCIANO E IL BLACK-OUT

      Era una di quelle calde sere d'estate in cui le città sono quasi deserte, e i pochi sfortunati rimasti non hanno niente di più impegnativo da fare se non oziare senza fretta o cercare un po' di fresco, compagnia e divertimento, possibilmente tutto insieme. E io li invidiavo molto.

      Con la camicia zuppa di sudore avevo trascorso il pomeriggio a riempire pacchi e a caricarli su un furgoncino, gentilmente prestatomi da un amico che però non aveva potuto o voluto concedermi anche la sua compagnia. Poi avevo guidato quel catorcio, senza aria condizionata e arroventatosi al sole, fino a via dei Ginepri. Soffrendo il caldo e l'afa sopportai anche le farneticazioni dei miei pensieri, che ragionavano sul fatto che un trasloco andrebbe organizzato diversamente e che la mia vita era sempre stata una sequela di errori e stupidaggini di cui quella non sarebbe certo stata l'ultima. Per cercare di consolarmi pensai alle tante cose che quel giorno avrebbero potuto andare peggio (avrei potuto rompere qualcosa durante l'imballaggio; e il furgoncino, nonostante l'apparenza sgangherata, non mi aveva lasciato per strada), ma arrivato sotto la mia nuova casa mi resi conto che qualche brutta sorpresa mi aspettava ancora.

      Era buio, e non solo perché ormai era sera. Il cielo era coperto di minacciosi nuvoloni neri. Ogni tanto si intravvedevano dei lampi silenziosi e lontani. Ero sicuro: di lì a poco sarebbe venuto giù un acquazzone terribile. Decisi che per prima cosa avrei scaricato il necessario per poter dormire; il resto avrebbe potuto aspettare l'indomani.

      Entrando nel palazzo con il materasso in spalla presi coscienza anche del fatto che il buio era dovuto non tanto ai nuvoloni, quanto alla mancanza di luce elettrica. Ergo, tre piani senza ascensore. E benché il palazzo fosse praticamente nuovo, l'unica lampada di emergenza funzionante la incontrai al primo piano.

      Dieci minuti, tre viaggi e più di quindici piani dopo, esausto ed ancora più sudato, stavo sistemando il materasso sulla brandina nell'ingresso di casa mia. Non aveva ancora iniziato a piovere, ma di continuare a scaricare non mi andava proprio. Mi sarei messo insieme una specie di cena con alcune scatolette che mi ero portato, e poi subito a nanna.

      Certo che con quel buio non era cosa semplice. Almeno ci fosse stata una torcia a pile nel furgoncino, e invece niente. Però, pensai, potrei provare a chiedere a qualche vicino se ha una candela in più, sempre che trovi qualcuno.

      Mi feci coraggio e andai a suonare alla porta accanto. Ovviamente il campanello non funzionava e dovetti bussare, ma comunque non rispose nessuno. Chiuso per ferie, pensai. Però mi parve di sentire dei rumori da uno degli appartamenti di fronte, e andai a bussare lì.

      “Giovanni, sei tu?”

      Mi rispose una voce da uomo, direi di mezza età.

      “Mi scusi, non sono Giovanni. Sono il nuovo inquilino di fronte. Mi chiedevo se avesse una torcia elettrica o una candela in più da prestarmi. Con questo buio è tutto così difficile!”

      In risposta udii per prima cosa un girare di chiavi nella serratura.

      “Giovanni

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