Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti. Italo Svevo

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Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti - Italo  Svevo

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trova che di solito la faccia di mia cugina non è abbastanza vivace? Ecco! Come Napoleone aveva il pieno possesso delle sue facoltà mentali soltanto sul campo di battaglia, così mia cugina non è bella perfettamente che quand’è agitata! Ma è difficile agitarla.

      Alla luce di un fanale Alfonso vide che mancava il gesto abituale.

      Con la sua semplicità da contadino gli chiese se realmente non volesse bene a sua cugina.

      — In quanto ad amarla... — si fermò volendo far mostra d’essere pentito dello scherzo e con voce profonda e seria continuò: — Amo le ragazze che sono fatte altrimenti. Mia cugina non è una ragazza, è una donna e anzi di più... — e fece un breve risolino; — una cara donna però, bella, dotta troppo, tanto che spesso appare di non essere educata. Conosce matematica, conosce filosofia, legge con predilezione libri seri, e di questo non sarebbe troppo da meravigliarsi, ma li comprende, parola di onore, li comprende! Con la sua solita scrupolosa esattezza saprebbe ridirne il contenuto. Però artista non sarà giammai... forse in qualche istante di forte ebollizione del sangue... — e con le mani fece dei gesti vivaci tanto che avrebbero fatto supporre ch’egli volesse parlare di rivoluzione. — È figliuola di suo padre, non di sua madre ch’era un’ignorante, dal cervello debole, ma graziosa, sempre simpatica anche quando diceva sciocchezze. Annetta ha la memoria ferrea, le qualità matematiche pronunziatissime, lo spirito pronto per cose concrete, solide, come suo padre. Non capiscono caratteri, non sentono musica, non distinguono il quadro originale dalla mala copia. Ora Annetta si dedica alle chineserie, fu la prima ad introdurle in città, ma ne sa quanto i suoi autori gliene dissero e non ne capisce nulla affatto perché non le sente. L’unico quadro buono che abbiano in casa l’ho comperato io, una via attraverso i sassi.

      — L’ho visto, magnifico! — esclamò Alfonso e per darsi aria d’importanza chiese: — Di chi è?

      — Il nome dell’autore non rammento, rammento il quadro — rispose Macario — io sono figliuolo di mia zia.

      Alfonso rise, ma Macario non rideva. Anche quando le sue osservazioni apparivano scherzose, erano dette con l’espressione di un profondo rancore e Alfonso non sapeva convincersi che fosse naturale di parlare così a lui, a uno straniero. Andava ricercando quando Macario avesse potuto ubbriacarsi dopo di essersi contenuto tanto abilmente in casa Maller.

      Venne di peggio:

      — Certo che un uomo che avesse del sale in zucca non sposerebbe Annetta. Conosce le novelle di Franco Sacchetti? Merita di leggerle, se non tutte, una, indimenticabile: Un frate viene ospitato in una casa ove vede il suo ospite troppo debole, maltrattato dalla moglie. Il frate, nell’ira fa il voto, per poterla castigare, di sposare quella donna se le circostanze glielo permetteranno. Infatti capita il malore, muore il marito e muoiono tutti gli altri frati del convento che viene sciolto. Il frate compie il suo voto, sposa la donna e come propostosi la bastona di santa ragione. Per Annetta verrebbe voglia di fare dei voti simili, solo allo scopo di annientare quella superbia che secca, che offende. Si avrebbe torto, perché all’esecuzione si finirebbe coll’essere il bastonato.

      Era possibile che Macario si fosse proposto di dire delle verità in tono che le facesse apparire dette per ischerzo e che senza proposito avesse abbandonato tale tono. Così pensò Alfonso vedendo che Macario, forse pentito, cominciava a spiegare le ragioni che lo avevano reso tanto loquace.

      — Non creda che io usi fare di queste confidenze al primo venuto. Ella mi è simpatico; mi creda o non mi creda, è così.

      Alfonso, confuso, mormorò un ringraziamento.

      — Mi piacque ch’ella abbia avuto tanto forte il desiderio di vendicarsi di Annetta e mi piacque anche che non l’abbia saputo soddisfare. Oh! io osservo, è inutile negare con me! Non sono mica le persone più sciocche quelle che non hanno prontissima la parola più o meno offensiva per reagire. Anzi! — Credendosi giustificato aggiunse un’altra osservazione cruda, ridendo però:

      — Quando m’imbatto in queste donne tanto attive e tanto aggressive, tanto inquietanti insomma, mi vien fatto di pensare a quell’inglese che ad una troppo focosa rammentava che pagava per baciare e non per venir baciato!

      Sulla piazza della Stazione strinse la mano ad Alfonso e, con un saluto a mezza voce, lo lasciò e si diresse verso il caffè. Alfonso che aveva freddo, si avviò verso casa correndo.

      R

      In maggio, quell’anno, si ebbero già delle forti caldure; per alcune settimane, dal cielo senza nubi, il sole inviò dei raggi cocenti certo non primaverili.

      — È un’ingiustizia — diceva Ballina — che con queste paghe miserabili si debba sudare tanto già in maggio.

      Il lavoro non era ancora diminuito. Uscivano dalla stanza del signor Cellani, passavano per quella di Sanneo e terminavano in corrispondenza, pacchi enormi di lettere arrivate. Sbuffava persino Giacomo che da essi non aveva che il disturbo di trasportarli da un luogo all’altro.

      In giugno principiava a pena la diminuzione del lavoro, e Miceni, col suo metodismo abituale, aveva spiegato ad Alfonso la legge che regolava questa diminuzione:

      — In giugno si ritirano alla campagna i più ricchi banchieri, gli scienziati del mondo bancario, gl’iniziatori della speculazione. Il nostro lavoro giornaliero rimane il medesimo perché quello non è creato da costoro, ma mancano le foghe inaspettate di lavoro, tanto dolorose ai subalterni, le emissioni e le conversioni. Già in luglio diminuisce il lavoro bancario, non perché sia avvenuto nulla di nuovo alle banche, ma perché a loro volta si mettono in libertà i più ricchi commercianti. In agosto, il più bel mese dell’anno, si trovano al verde, presidenti di banca, direttori e peggio, unitamente ai commercianti. Non rimane a casa che il numero necessario d’impiegati.

      Da Maller il processo non corrispondeva a questa regola. In maggio e giugno prendevano il permesso alcuni impiegati e i capi, in luglio il signor Cellani, il procuratore, ed in agosto a pena il signor Maller.

      Il primo a partire fu Sanneo il quale si prese quindici giorni di permesso mentre ne avrebbe avuto diritto a trenta. Fra gl’impiegati si asseriva che il signor Sanneo non sapesse restare per troppo lungo tempo privo del suo pane quotidiano, la posta e la polemica.

      Alfonso, per caso, presente, Sanneo diede le istruzioni a Miceni, il quale nella sua assenza doveva fungere da capo. La stanza di Sanneo era posta accanto a quella del signor Cellani, più buia di questa perché un palazzo di faccia le toglieva la luce. Anche questa stanza, d’inverno aveva i tappeti, ma, salvo il tavolo di legno nero, largo e comodo, cedutogli dal procuratore che ne aveva preso un altro, i mobili erano identici a quelli degli altri impiegati: due armadi di legno dipinti rozzamente in giallo, una sedia di paglia e, di fianco all’unica finestra, un altro tavolo da cui era stato levato il palchetto.

      Sanneo, seduto, andava consegnando a Miceni che stava alla sua destra in piedi, lettera per lettera, un grosso pacco, indicandogli esattamente quanto avesse da fare a un dato giorno o dopo ricevuto altro scritto. Riponeva qualche lettera anche dopo data tutta la spiegazione osservando con una smorfia che c’era tempo per rispondere e che voleva farlo lui a suo tempo. Si capiva che gli seccava di abbandonare a Miceni tutta la sua gestione.

      Miceni ritornò nella sua stanza col capo ritto, la figurina tesa, il passo rigido. Si sedette e con un sorriso sprezzante mormorò:

      — Tante spiegazioni come se fossi da ieri alla banca.

      Ripensandoci rammentò dei particolari del suo colloquio

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