Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti. Italo Svevo

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Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti - Italo  Svevo

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espressione, dagli zigomi sporgenti, serio, immusonito con tutta risolutezza, la buona parola che già aveva pronta gli ritornava in gola.

      Senza guardarlo in faccia, dopo una lunga esitazione, Lucia andò a lui e stendendogli la mano gli disse:

      — Mi scusi, signor Alfonso, ho avuto torto; facciamo la pace!

      Alfonso, commosso, gliela strinse con vivacità:

      — In gran parte il torto fu mio, mi scusi lei!

      Lucia gli lanciò un’occhiata raggiante di riconoscenza che la rese meno brutta ed ebbe poscia il contegno tranquillo, disinvolto, da persona che dimentica i malintesi. Rideva spesso ed era ritornata immediatamente ai suoi costumi affettati e dolci.

      Egli fu meno disinvolto; gli dispiaceva di essere stato vinto in generosità. Avrebbe dovuto cedere per il primo lui, la persona colta, il maestro. Questo dispiacere, per quanto lieve, continuò ad agitarlo anche quando fu coricato. Erano sempre questi fatti insignificanti che lo inquietavano nella sua vita del resto vuota d’avvenimenti d’importanza, e ogni sera aveva di che sognare su qualche sua parola detta troppo in fretta o su qualche parola altrui di cui appena allora scopriva il vero significato, per pentirsi di non essersi vendicato di una puntura o di aver risposto troppo brusco ingiustificatamente.

      In tinello si parlava e, macchinalmente, egli ascoltò. Erano la Lanucci ed il marito; egli non distingueva che il suono delle voci e soltanto quando, per recarsi alla loro stanza, passarono dinanzi alla sua porta, udì chiaramente la Lanucci che esclamava, probabilmente a conclusione di quanto fino ad allora avevano discorso, con un risolino di buon umore: — Queste sono proprio dispute da innamorati.

      Di sospetti ne aveva già nutriti circa gli scopi della Lanucci su lui, ma più che scopi, fino ad allora gli erano sembrate speranze che non potevano allarmarlo ma che dovevano lusingarlo. Quelle due parole giunte per caso fino a lui, conclusione di un discorso più lungo, gli parve provassero che non soltanto si sperava da lui ma che si congiurava contro di lui, contro la sua libertà. Il contegno della madre e della figliuola era stato conforme a questo scopo. La madre aveva consegnato a lui che ingenuamente voleva insegnare, non una scolara ma una sposa.

      Si rammentava di certe parole di raccomandazione che avrebbero potuto avere doppio senso. La figliuola poi aveva sopportato tutto meno che di veder interrotte le lezioni come egli aveva minacciato di fare. Ora la pace fatta con Lucia doveva avere rianimato le loro speranze.

      Doveva indignarsene? Un tale attentato lo avrebbe meritato perché se fosse riuscito avrebbe apportato un enorme peggioramento della sua situazione.

      Era però una situazione terribile quella in cui si trovava la famiglia Lanucci coi suoi due uomini incapaci di migliorarne le condizioni! Si sentiva tanto al sicuro dalle reti che gli tendeva la signora Lanucci, che poté liberarsi dalla preoccupazione per sé e riconoscere che avrebbe potuto vivere altri cent’anni e non offrirglisi più l’occasione di fare una buon’azione come sarebbe stata quella di sposare Lucia. Quale avvenire sarebbe stato quello di costei? Probabilmente sarebbe rimasta vecchia zitella e avrebbe conservato inutilmente sino alla fine della sua vita tutti quei suoi modi di società, come li chiamava la madre. Nei suoi sogni egli era capace delle azioni più eroiche, ma il giorno appresso ebbe un contegno meno disinvolto del solito ma non più affettuoso. Quando era solo vedeva la situazione con tutt’altri occhi che quando si trovava con Lucia. Prima scusava, perdonava, giungeva persino a sentire rimorso di non poter agire nobilmente, rammentava l’amore di Lucia che si era manifestato tanto nella pazienza con cui aveva sopportato le sue brutalità, quanto nella violenza del suo dolore allorché aveva dovuto riconoscere di non poter raggiungere la sua meta. Quando era dinanzi a Lucia ne vedeva gli zigomi sporgenti. Stava all’erta! Non sentiva desideri; era libero e voleva rimanerlo.

      — Sono ammalato!

      Per giungere a questa conclusione aveva dovuto fare molte osservazioni su se stesso. La sua profonda tristezza che tutto gli faceva apparire grigio, smorto, fino ad allora gli era sembrata naturale conseguenza del suo malcontento, l’insonnia derivava dall’agitazione in cui metteva il suo cervello con lo studio di sera e infine lo stato anormale, febbrile che qualche volta osservava nel suo organismo era, come egli aveva pensato sempre, il bisogno di fatica e di aria pura che i suoi muscoli ed i suoi polmoni si ostinavano a chiedere. Altre volte però gli bastava di essere libero per qualche ora per riavere la sua vivacità e la sua quiete. Ora, invece, una visione dominava sempre, monotona, e gli toglieva la facoltà di prender parte al presente, di udire ed esaminare la parola altrui. Sanneo, dopo che per lungo tempo gli aveva dato delle istruzioni, con voce mutata gli chiedeva: — Ha capito? — Quel mutamento di voce strappava Alfonso alle sue fantasticherie e diceva di sì tanto per venir lasciato più presto in pace e ripiombare nei suoi sogni. Ma non aveva capito niente. Non aveva udito nulla e non era capace neppure d’inquietarsene. Se ne andava lento al suo posto con passo piccolo per guadagnare tempo e interrompere le care visioni il più tardi possibile. Si ostinava tuttavia di passare le sue sere in biblioteca, ma ne usciva come ne era entrato, senza idee nuove perché per l’idea nuova il suo cervello era chiuso. Non sapeva che rievocare cose vecchie e ciò per completare qualche sogno da megalomane in cui si vedeva far mostra della sua scienza dinanzi a terzi. I suoi nervi erano indeboliti per modo che gli davano persino qualità da pazzo. Temeva ed evitava i propri simili quando non li conosceva e bastava che di sera un uomo gli passasse accanto per farlo sussultare dallo spavento. Si sentiva male all’oscuro e il minimo rumore lo faceva trasalire. Rannicchiato nel suo letto, con la testa sotto le coperte, rimaneva per delle ore senza saper conquistare il sonno. Era una conquista difficile! Come pensare a nulla? Si coricava talvolta veramente stanco e gli pareva che a dormire non gli mancasse che di chiudere gli occhi. Gettatosi sul letto, il sonno lo abbandonava e quando dopo ore giungeva a chetarsi su un punto del letto, doveva accontentarsi di un sonno senza intensità in cui il cervello continuava un lavorìo sordo, indistinto, ma non perciò meno affaticante.

      — Ella è indisposto, mi pare, — gli disse Cellani vedendolo pallido e stralunato, — si prenda qualche settimana di vacanza, se ne ha bisogno.

      Alfonso non accettò subito e dovette alla sera andare a chiedere a Cellani quello che alla mattina aveva rifiutato.

      Alquanto bruscamente anche Sanneo gli accordò il chiesto permesso. Già da parecchio tempo aveva dovuto dare un aiutante ad Alfonso nella persona di certo Carlo Alchieri tenente d’artiglieria, pensionato per debolezza di petto. Era entrato da Maller non bastandogli per vivere la piccola pensione che gli era stata accordata. Era un giovane dal volto da vecchio con barba intera d’un colore indeciso; all’apparenza del resto era robusto. Fu l’unico a bestemmiare allorché udì del permesso accordato ad Alfonso. Era spaventato perché sapeva che gli sarebbe toccato di sopportare tutto il lavoro da solo. Sanneo non era uomo da togliere gli altri corrispondenti dalle loro occupazioni abituali per dare aiuto ad uno temporaneamente ammazzato dal lavoro, — naturalmente — come si esprimeva Sanneo, cioè senza suo intervento, per il fatto che l’impiegato conciato in questo modo era supplente, rango ufficiale, dell’impiegato che mancava.

      Bastò l’uscire all’aria aperta sapendo di poterci rimanere per parecchio tempo e di esserci per scopo di salute per togliere Alfonso alla sua inerzia. Aveva intero il desiderio di riconquistare la salute. Fino ad allora non s’era doluto del suo indebolimento sembrandogli come a certi religiosi dell’India che l’annientamento della materia apporti necessariamente un aumento dell’intelligenza. Ma non era da intelligente quello stato di noia in cui le cose gli apparivano monotone e grigie.

      Il sole s’era appena levato che con violento sforzo di volontà Alfonso balzò dal letto. Non sapeva dove andrebbe e il caso lo avrebbe condotto; di montagne intorno alla città non ne mancavano.

      Si propose da prima di seguire una compagnia di soldati che uscivano all’esercizio. Il suono del loro

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