Spagna. Edmondo De Amicis

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Spagna - Edmondo De Amicis

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muro verso il parapetto, lasciando scoperto tutto il busto delle persone sedute sulle prime seggiole; in modo che, all'occhio, il teatro par fatto tutto a gallerie, e n'acquista un'aria di leggerezza che fa un bellissimo vedere. Tutto sporge, tutto è scoperto, la luce batte in ogni parte, ogni spettatore vede tutti gli spettatori, le corsie son spaziose, si va, si viene, si gira a tutt'agio da ogni lato, si può contemplare ogni signora da mille punti, passare dalle gallerie ai palchi, dai palchi alle gallerie, passeggiare, far crocchio, bighellonare tutta la sera di qua e di là, senza urtar nel gomito anima viva. Le altre parti dell'edifizio sono proporzionate alla principale: corridoi, scale, pianerottoli, vestiboli da gran palazzo. Vi son sale da ballo ampie e splendide, nelle quali si potrebbe piantare un altro teatro. Eppure, anche qui dove i buoni Barcellonesi non dovrebbero pensare ad altro che a ricrearsi dalle fatiche della giornata nella contemplazione delle loro belle e superbe donne, anche qui i buoni Barcellonesi comprano, vendono, giocano, trafficano, come anime dannate. Nei corridoi è un andirivieni continuo di agenti di banca, di commessi d'uffizio, di portatori di dispacci, e un continuo vocìo da mercato. Barbari! Quanti bei visi, quanti begli occhi, quante stupende capigliature brune in quella folla di signore! Anticamente i giovani Catalani innamorati, per cattivarsi il cuore delle loro belle, si inscrivevano nelle confraternite dei flagellanti, e andavano sotto le loro finestre con una sferza metallica a farsi spicciare il sangue dalle carni, e le belle gl'incoraggiavano, accennando: “Batti, batti ancora, così, ora t'amo e son tua!” Quante volte avrei esclamato quella sera: “Signori, per carità, datemi una sferza metallica!”

      L'indomani mattina, prima del levar del sole, partii per Saragozza, e dico il vero, non senza un sentimento quasi di tristezza di lasciar Barcellona, benchè ci fossi stato sì pochi giorni. Questa città, benchè sia tutt'altro che la flor de las bellas ciudades del mundo, come la chiamò il Cervantes, questa città trafficante e magazziniera, disdegnata dai poeti e dai pittori, mi piacque e il suo popolo affaccendato m'ispirò rispetto. E poi è sempre tristo il partire da una città, comunque straniera, colla certezza di non averla a rivedere mai più! Gli è come dare un addio per sempre a un compagno di viaggio col quale abbiate passato lietamente ventiquattr'ore: non è un amico, e vi par d'amarlo come un amico, e ve ne ricorderete forse per tutta la vita, con un sentimento di desiderio più vivo che per molti di coloro a cui date il nome d'amici. Voltandomi a guardare ancora una volta la città dal finestrino del carrozzone del treno, mi vennero sulle labbra le parole di don Alvaro Tarfe nel Don Chisciotte:—Adios, Barcelona, archivo de la cortesia, albergue de los extrangeros, patria de los valientes, adios!—E soggiunsi mestamente:—Ecco lacerata la prima pagina dal roseo libro del viaggio! Così tutto passa... Ancora un'altra città, poi un'altra, poi un'altra... e poi... tornerò, e il viaggio sarà stato come un sogno, e mi parrà di non essermi neanco mosso da casa... e poi?... un altro viaggio... e di nuovo città, e di nuovo addii melanconici, e di nuovo un ricordo vago come d'un sogno... e poi? Guai se in viaggio vi lasciate cogliere da questi pensieri! Guardate il cielo e la campagna, e recitate dei versi, e fumate.

       Adios Barcelona, archivo de la cortesia!

       SARAGOZZA.

       Indice

      A poche miglia da Barcellona, si cominciano a vedere le rocce dentellate del famoso Montserrat, uno strano monte che, a prima vista, fa balenare il sospetto d'un'illusione ottica, tanto è difficile a credere che la natura possa aver avuto un sì stravagante capriccio. Immaginate una serie di sottili triangoli che si toccano, come quei che fanno i bambini per rappresentare una catena di montagne; o una corona a becchetti distesa pel lungo come la lama d'una sega; o tanti pani di zucchero disposti in fila, e avrete un'idea della forma che presenta da lontano il Montserrat. È un insieme di coni immensi che s'alzano I' uno accanto all'altro, e l'un sull'altro, o meglio un solo gran monte formato di cento monti, spaccato di su in giù fin quasi al terzo della sua altezza, in modo che presenta due grandi cime, intorno alle quali si aggruppano le minori; nelle parti alte, arido e inaccessibile; nelle basse, popolato di pini, di quercie, di corbezzoli, di ginepri; rotto qua e là da grotte smisurate e da spaventevoli burroni, e sparso di romitaggi biancheggianti sulle bricche aeree e nelle gole profonde. Nella spaccatura del monte, fra le due cime principali, sorge l'antico convento dei Benedettini, dove Ignazio di Lojola meditò nella sua giovinezza. Cinquantamila tra pellegrini e curiosi si recano anno per anno a visitare il convento e le grotte, e il giorno otto di settembre, vi si celebra una festa a cui concorre una moltitudine innumerevole di gente da ogni parte della Catalogna.

      Poco prima di arrivare alla stazione dove si scende per salire al monte, irruppe nel mio carrozzone una frotta di ragazzi, accompagnati da un prete, alunni d'un collegio di non so che villaggio, che andavano a fare una scampagnata al convento del Montserrat. Eran tutti catalani, bei visetti bianchi e rosei, con grandi occhi. Ognuno aveva un canestrino con dentro pane e frutta; qualcuno un album, altri un canocchiale: parlavano e ridevano tutti insieme, e si avvoltolavano sulle panche, e facevano un casa del diavolo infinito. Per quanto tenessi l'orecchio teso, e mi stillassi il cervello, non riuscii a capire una parola del maledetto linguaggio che cinguettavano. Intavolai conversazione col prete. “Mire Usted” mi disse dopo le prime parole, accennandomi uno dei ragazzi; “aquel niño sabe de memoria toda la Poética de Oracio;.... quell'altro là risolve dei problemi d'aritmetica da far stordire; questo qui è nato per la filosofia;” e via via, mi segnalò le doti di ciascuno. A un tratto s'interruppe, e gridò: “Beretina!” Tutti i ragazzi cavaron di tasca la berrettina rossa catalana e gettando alte grida d'allegrezza, se la misero in testa, chi tutta indietro che gli cascava sulla nuca, chi tutta avanti, che gli copriva la punta del naso; e il prete a far degli atti di disapprovazione; e allora quei che l'avevan sulla nuca a tirarsela sul naso, e quei che l'avevan sul naso a tirarsela sulla nuca; e lì risa, esclamazioni, e battìo di mani. Mi avvicinai a uno dei più monelli, e così per celia, certo che sarebbe stato come dire ai muri, gli domandai in italiano: “È la prima volta che vai a fare una passeggiata al Montserrat?” Il ragazzo stette un po' pensando, e poi rispose adagio adagio: “Ci so-no già sta-to altre volte.”—“Ah! caro bimbo!” gli gridai con una contentezza difficile a immaginarsi; “e dove hai imparato l'italiano?” Qui il prete prese la parola per dirmi che il padre di quel ragazzo aveva vissuto parecchi anni a Napoles. Mentre io mi volto verso il mio piccolo catalano per attaccar discorso, un maledettissimo fischio, e poi un maledettissimo grido di:—Olesa,—che è il villaggio dal quale si va al monte, mi taglia la parola in bocca. Il prete mi saluta, i ragazzi si precipitano fuori, il treno riparte. Io misi la testa fuor del finestrino per salutare il mio piccolo amico: “Buona passeggiata!” gli gridai, e lui spiccicando le sillabe: “A-di-o!” Qualcuno ride a sentir rammentare queste bazzecole: eppure sono i più vivi piaceri che si provin nei viaggi!

      Le città e i villaggi che si vedono nell'attraversar la Catalogna alla vólta dell'Aragona, son quasi tutti popolati e floridi, e circondati di case industriali, di opifici, di edifizi in costruzione, onde in ogni parte si vedono sorgere di là dagli alberi dense colonne di fumo, e ad ogni stazione è un via vai di contadini e di negozianti. La campagna è una successione alternata di colte pianure, di amene colline, di vallette pittoresche, coperte di boschi e dominate da vecchi castelli, fino al villaggio di Cervera. Qui si cominciano a vedere ampie distese di terreno arido, con poche case sparpagliate, che annunziano la vicinanza dell'Aragona. Ma poi, all'improvviso, si entra in una ridente vallata, coperta d'oliveti, di vigneti, di gelsi, di alberi fruttiferi, sparsa di villaggi e di ville; si vedon da un lato le alte cime dei Pirenei, dall'altro le montagne aragonesi; Lerida, la gloriosa città dai dieci assedii, schierata lungo la sponda della Segra, sul pendio d'una bella collina; e tutt'intorno una pompa di vegetazione, una varietà di prospetti, un colpo d'occhio stupendo. È l'ultima veduta della campagna catalana; dopo pochi minuti s'entra in Aragona.

      Aragona! Quante vaghe istorie di guerre, di banditi, di regine, di poeti, d'eroi, d'amori famosi ridesta nella memoria questo sonoro nome! E qual profondo senso di simpatia e di rispetto! La vecchia, nobile ed altera Aragona, sulla cui

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