Gioia!. Annie Vivanti

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Gioia! - Annie Vivanti

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rivisto lo scultore. Passando con Claudio in automobile ho fatto fermare davanti alla sua porta e l'ho mandato a chiamare.

      È uscito subito dal suo studio a pian terreno, ed è venuto a salutarmi. Ritto sul marciapiede nel sole, senza cappello, colle chiome nere e lucidissime divise nel mezzo, mi ricordava l'amante nel quadro intitolato «Vertigine».

      Ho notato che ha degli occhi inverosimili, velati da ciglia lunghe e fini come le frangie di seta nera di uno scialle spagnolo.

      Che meravigliose ciglia!...

      La sua anima deve essere un abisso.

      Egregio signore,

       Venga stasera a trovarmi. Ci sarà gente.

       Viviana Allori.

      (LUI)

      Se quei briganti del Comitato delle Onoranze non mi pagano «La Rassegnazione che sorride al Dolore» sarò in un bell'impiccio. Da tre mesi dovevano portarselo via. Farabutti!

      Gentile e illustre signora,

       Grazie. Verrò col massimo piacere.

       A. Galeazzi.

      (LEI)

      Iersera ho avuto molte visite.

      C'era anche Galeazzi. Non ha mai parlato.

      Pareva il giovane Endimione dormiente, prima che Astarte lo baciasse in fronte. Ha una fronte classica, calma, pacata sotto quei capelli neri e lisci divisi nel mezzo. (Come mai hanno potuto un giorno piacermi le teste à la Pompadour dalle chiome ondeggianti e svolazzanti, come quella del banalissimo Claudio?).

      Temo che lo scultore abbia trovato stolta e frivola la nostra conversazione. Ho pur provato a parlargli dell'influenza di Nietzsche sull'evoluzione della moderna mentalità — devono essere questi gli argomenti che lo interessano! — ma subito il tenente Rossi mi ha distratta e mi ha fatto venire il «fou rire».

       Ridevo, ridevo.... e lo scultore mi guardava cogli occhi così gravi e strani che ne rimasi tutta sconcertata. Spero che si sarà ricordato che patisco il convulso.

      (LUI)

      Ho scoperto ciò che manca, ciò che ha sempre mancato, alla mia vita. Il riso. Nessuno ride mai intorno a me. Il riso, che cosa meravigliosa!... C'è della gente che quando ride riempie di luce, di suono e di fragranza il mondo.

      (LEI)

      Si chiama Andrea.

      FEBBRAIO

      (LUI)

      Ho pensato a una nuova statua, affatto diversa dalle altre opere mie.

      Non mi occorre modella. La farò, così.... dal ricordo: Una donna. Una donna che tra i tragici simboli della vita e il macabro apparato della morte ride! Null'altro.

      La intitolerò «Gioia».

      (LEI)

      Ho rotto definitivamente coll'insoffribile Claudio. Tutto è finito tra noi; egli ha accettato il posto a Budapest; ed io ho scritto un poema intitolato «Addio»! ritmo moderno, come un carro che sballotta per una via sassosa; versi lunghi e corti: bellissimo!

      Lo manderò alla Rivista «Ardente».

      E così dalla mia vita — exit Claudio.

      Che sollievo! Che leggerezza!

       Mio signore,

       Venga a trovarmi questa sera.

       Sarò sola.

       Viviana Allori.

      (LUI)

      Ciò che mi rapisce in lei è la sua letizia, la sua trillante esultanza! Sembra vivere in una continua estasi, in una perenne ebbrezza.

      Lavoro alla statuetta «Gioia». Mi pare ch'essa chiuda nel viso ancora misterioso tutti gli splendori e tutte le giocondità.

      Mia signora,

       Grazie. Verrò.

       Andrea Galeazzi.

      (LEI)

      Ero brutta, so che ero brutta iersera. Alice mi pettina esecrabilmente. Mi fa una testa che pare una «pagnotta Garibaldi».

      La licenzierò.

      Farei bene ad andare in campagna per un mese a curarmi i nervi e la carnagione. Flavia dice che contro i primi soli di Febbraio non c'è di meglio che la crema Hazeline coll'acqua di rose e alcune goccie di tintura di benzoino.

      Mio signore ed amico,

       Lascio la città per qualche tempo. Un nuovo poema mi canta ed urge entro il cervello. Andrò ad ispirarmi nella solitudine e nel silenzio.

       Venga a salutarmi prima ch'io parta.

       Se domani, alle cinque, non avesse nulla di meglio a fare....

       V. A.

      (LUI)

      Fui da lei oggi alle cinque. Quante cose avrei voluto dirle per impedire o ritardare la sua partenza! Non ho trovato nulla nel mio cuore selvatico, nella mia gola inaridita. Sono rimasto muto, impietrito, a guardare quel riso che le scintillava negli occhi.

      .... Non sapevo che le donne potessero essere delle creature così gaie e delizianti.

      Già, ne ho conosciute ben poche.

       La donna, dunque, è così? Non parla, canta. Non cammina, vola. Non vive, gioisce....

      Mi pare di aver trascorso i miei giorni finora rinchiuso in un sepolcreto di famiglia.... d'autunno.... nella nebbia....

      Signora gentilissima,

       Se la Sua partenza, come spero, non sarà imminente mi permetterei di offrirle il modello di una mia nuova statua, intitolata «Gioia» che mi sarebbe caro dedicare a Lei.

       Confido che Ella ritarderà di qualche giorno il progettato viaggio, e mi professo di Lei devotissimo

       A. Galeazzi.

      (LEI)

      «Nella guerra d'amor vince chi fugge, E chi non fugge, strugge.»

      Amico mio,

      

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