La Carbonaria. Giambattista della Porta
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу La Carbonaria - Giambattista della Porta страница 4
Pirino. Aiutami.
Forca. Mi uccidete.
Pirino. Il breve termine che Mangone ha dato a Melitea di gir al dottore, è il termine della mia vita: intanto io sto nel mezzo delle fiamme ardenti. Rispondemi.
Forca. Io sono cosí internato ne’ pensieri, che sono fuora di me: il desidero piú di voi per vendicarmi di quel manigoldo. Penso e ripenso, e tuttavia non mi riesce nel cervello. Ma quel non aver danari mi fa venir il sudor della morte.
Pirino. Se avessimo danari, non sarebbono necessari gli inganni.
Forca. Io non dico cinquecento scudi, ma alcuni dinari maneschi per spendere e intricare. Ditemi, sète voi deliberato di averla?
Pirino. Sí.
Forca. Per ogni via?
Pirino. Sí.
Forca. E non lasciar l’impresa?
Pirino. Lascieranno piú tosto i cieli di muoversi, il sol di splendere, mancherá l’aria, si risolverá il mondo, che possa lasciar Melitea. L’amor nostro è invecchiato, non può scordarsi: ella è cosí tenacemente scolpita nel mio core, che tanto sarebbe levarmela dal core quanto svellerne l’istesso core.
Forca. Orsú, poiché il vostro cuore è fondato piú tosto in maturo consiglio che in leggiera volontá, che come fusse indebolita si risolverebbe in nulla, mano a’ fatti, animo da imperadore: risoluzione, animo e danari fanno tutte l’imprese e sono il nervo e l’anima de’ negozi.
Pirino. Se mai verrò al frutto dell’amor mio, beato te.
Forca. Almeno ne guadagnasse le scorze di quel frutto che sarebbe una veste.
Pirino. Altro che veste arai. Una buona somma di danari.
Forca. Pur che non si risolva in qualche buona somma di bastonate. Ma ditemi, come state in credito con li banchi?
Pirino. Benissimo: tutti credono che non ho un quatrino.
Forca. Bisogna dunque farvi una poliza falsa.
Pirino. Troppo pericolo: ci va la vita.
Forca. Non si può aver il mèle senza le mosche, né si ponno far le grandi imprese senza pericoli; e quando si vuol far un gran fatto, non bisogna nominar pericoli, perché l’animo si raffredda e si fa pauroso. Bisogna por mano a cambi, interessi, scrocchi, usure e rubberie.
Pirino. Chi me li dará, se non è sensal ne’ banchi che non m’abbia in lista; e quando mi sentono nominare: «O che ditta, o che mercadante da tor ad occhi chiusi!». Poi, non sai che è fatta una pragmatica, che non si dia robba in credito a figli di famiglia?
Forca. Dunque questa pragmatica vieta ancora a me, che non t’abbi credito di quella somma di danari che m’hai promessa. Cerchiamola in presto da alcun amico.
Pirino. Cercali tu da parte mia.
Forca. Se non han credito a voi, come l’aranno a me?
Pirino. Come cerchi danari in presto ad un amico, subito ti risponde che non gli ha e ti diventa inimico.
Forca. Pigliamoli ad usura.
Pirino. Non mi piace.
Forca. A chi vuol dormir con l’innamorata, bisogna trovar la pecunia, padrone.
Pirino. Non è giorno che non discorra col cervello per tutti i banchi del mondo. O che cosa infelice è il non aver danari!
Forca. Massime a voi, povero di danari e ricco d’appetito.
Pirino. Non so che fare.
Forca. Anzi bisogna disfare.
Pirino. Chi vogliamo disfare?
Forca. Tuo padre. Avemo il ben in casa e lo vogliamo cercare altrove.
Pirino. Lo caricheremo di troppo peso di dolore.
Forca. Lo scaricheremo di peso di argento.
Pirino. Non sará possibil mai, perché sta tanto sospetto di noi, che, nol facendo stima che lo facciamo; poi se lo saprá, che fia di noi?
Forca. Ti fo la sicurtá con le mie spalle.
Pirino. Tu sai che in casa non mancano legne, e quando ce ne fusse carestia, abbiamo la villa vicina.
Forca. Ho buone spalle per la villa e per la casa: tra le bastonate e le mie spalle ci è una antica amicizia, un invecchiato parentado: ci ho fatto il callo, non mi son cose nuove, mi son fatte naturali.
Pirino. Come faremo che non se ne accorga?
Forca. Aprimogli il scrittorio con il grimaldello; poi, quando gli aremo gli li restituiremo.
Pirino. Buon’arte m’insegni.
Forca. Non è usanza di servi forse?
Pirino. E quando lo saprá, che faremo?
Forca. Che so io? qualche mala cosa.
Pirino. E questo è l’amor e la riverenza paterna?
Forca. E voi coricatevi la notte con questa riverenza, abbracciatevela e baciatela, e lasciate star Melitea. Questo modo è precipitoso, questo non è buono; qua ci va la conscienza, qui la riverenza: voi quello che potete, non volete, e quello che non potete, volete. Ne avete poca voglia. A dio.
Pirino. Oh, come sei colerico! stammi allegro, che ad un ammalato è gran refrigerio aver un medico allegro.
Forca. Voi sète un ammalato troppo pusillanimo e disobediente; non volete sorbir le medicine.
Pirino. Queste tue medicine son troppo violenti per lo pericolo della vita, troppo nauseabonde per l’infamia e troppo amare per l’anima: e se ben la polvere del delitto mi accieca l’occhio della ragione, pur non son tanto cieco che non conoschi l’errore.
Forca. Perdo il tempo, mi vo’ partire.
Pirino. Aspetta, férmati un poco. Ahi, traditora fortuna, a che mi conduci? Eccomi in una grandissima lite tra il padre e l’amore: il padre mi cerca la riverenza, amor non ascolta ragioni, è giudice e parte, mi spaventa con le saette e col fuoco e con la morte. Padre mio, vorrei ubbidirvi, amor non lascia dispor di me: o anima mia, bilanciata da tanti mali e agitata da tante onde di tempeste, come determinerai questa lite? Padre mio caro, abbi pazienza per questa volta: