La gran rivale. Luigi Gualdo
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Altre ragioni di minor peso, e composte di una tal quantità di piccoli incidenti da rendere malagevole il particolareggiarle, vennero a rattristarla. Sul principio, appena maritata, il poter sodisfare la maggior parte dei suoi capricci, l’accoglienza benevola e quasi festosa che le venne fatta da ogni parte, i divertimenti molteplici a cui era stata fin allora così poco abituata, tutte insomma le piacevoli novità del suo nuovo stato valsero a renderle la vita lieta ed occupata; poi vi erano state le gioie della maternità; ma quando queste l’erano state tolte crudelmente, quando i capricci era stato forza moderarli, quando la società si era occupata meno di lei, e i divertimenti avevano perduto a poco a poco il brio della novità, la vita l’era apparsa vuota e triste. – Si trovava sola, con un marito che non amava e che si curava poco di lei, a cui ora le preoccupazioni di danaro e le difficoltà toglievano l’allegria, con molte frivole conoscenze e quasi senza amici, un po’ abbandonata dalla sua famiglia, e sentendosi calare addosso lentamente il peggiore dei nemici, il più stupido dei mali – la noia. Vi era però, come si potrà ben credere, nell’anima sua una corda che non aveva ancor vibrato e che chiedeva di vibrare; quella voce segreta ed insistente che tutti ne commove a un momento o l’altro, ella l’udiva, e comprendeva che vi è qualcosa di più di quello che le veniva concesso. Per una donna che trovandosi nella posizione di Emilia finisce col cedere al desio di cui sentesi ricolma e che cade, tutto è complice della sua caduta; dovrebbero i moralisti accusarne tutto e tutti, incominciando pure dalle leggi sociali, ma annoverando perfino la brezza della sera che le accarezza i capelli. Pur troppo, spinta dalla brama di bere qualcosa di più saporito che la tazza insipida della vita abituale, correndo pazzamente alla ricerca di quella dolcezza sublime e sconosciuta, molte volte scambia l’apparenza per la realtà, la copia abbietta per l’originale fulgente, e si accorge più tardi con una fitta terribile al cuore, causa di guai infiniti, che ciò ch’ella ha cercato non lo ha trovato ancora, e allora le restano più violente che mai e meno pure le aspirazioni di prima, con le illusioni di meno, e spesso il rimorso di più.
È presso a poco lo stato d’animo in cui ella si trovava quando conobbe Alberto. Avvolta nella tristezza di una vita vuota ed annoiata, aveva tentato fare come le altre che parevano trovare la felicità nell’amore, ma subito aveva rigettata la prova, scoraggita.
Alberto era un giovane com’ella non ne aveva conosciuto ancora – abituata a non vedere altro che i soliti tipi d’uomini di società, come si trovano dappertutto. Egli era solo al mondo; non avendo quasi conosciuta sua madre ed essendo il padre morto prematuramente, gravissima perdita per lui. Appena incominciati, aveva abbandonato gli studi classici per darsi alla pittura, sentendosi da fortissima vocazione spinto verso quell’arte. Frequentò assiduamente le scuole, studiò, ebbe l’illusione prodotta da una facilità sorprendente di esecuzione che viene molte volte scambiata con l’ingegno – ma la riuscita non fu proporzionata all’attesa. – Si ostinò, lottò gagliardamente, ma fallì e dovette persuadersi che ciò ch’egli aveva creduto ispirazione era soltanto prestezza di mano, che la via che gli pareva gli venisse additata dalla forza, del genio non era più sua che un’altra, che la vocazione reputata irresistibile e profonda era una vocazione falsa. Dovette convincersi ch’egli era uno dei centomila illusi che inciampano tutti i giorni e si staccano e spossano sulla via ch’essi avevano sperato potere percorrere correndo e quasi volando. – Eppure spesse volte qualcosa si ribellava in lui contro a questo crudele giudizio ch’egli aveva avuto il coraggio di pronunziare; sentiva che malgrado tutto egli era artista, sentiva che se non riesciva a concretare i sogni che gli passavano per la mente, però erano suoi ed unicamente suoi; che se non sapeva tradurre sulla tela i sentimenti, i pensieri, le fantasie, avrebbe forse potuto estrinsecarli in qualche altro modo; ma questo modo non lo trovava. La realtà gli stava intanto amaramente, inesorabilmente davanti; non poteva in alcun modo negare che i suoi progetti giovanilmente ambiziosi fossero sogni e nulla più. Egli era naturalmente di un carattere vivace, sempre tentato di guardare le cose dal loro lato più ridente; ma quel primo disinganno che gli era piombato addosso sul mattino della vita, aveva fatto una forte impressione sul suo carattere e lo aveva modificato. Egli dipingeva ancora, ma piuttosto per il bisogno di un lavoro qualunque che per altro, non lo faceva più con quella speranza dolce ed acre ad un tempo di chi si sente chiamato a creare, con quella febbre per cui l’artista è innamorato dell’arte più che di qualunque donna; l’ambizione, la sete sublime di gloria, l’invidia salutare dinanzi alle opere dei maestri, tutto questo era distrutto in lui, come cadono le spighe dorate della larga messe a terra sotto la sferza spietata della grandine. Lavorava ora piuttosto con la mano che con la mente; egli che aveva sperato un istante di poter rivaleggiare con gli altissimi, si accontentava ora del mediocre; ma la lode che le sue tele – in cui certo l’ingegno non mancava – attiravano, non riesciva che a fargli spuntar sul labbro un sorriso ironico pieno di amarezze. Fortunatamente non doveva lottare con la povertà, suo padre avendogli lasciato un piccolo capitale, modicissimo per molti, ma sufficiente per lui. Il suo cuore era giovane e largo, il suo spirito buono e vivace, il suo sorriso franco; aveva un’anima squisita d’artista, una mente aperta a tutte le grandi idee. La sua conversazione era simpatica, allegra, saltellante, varia, talora profonda, talora pazza, sempre vera: si vedeva che diceva ciò che pensava, e che pensava ciò che sentiva. Ispirava la confidenza e l’abbandono; ognuno capiva che si poteva dirgli tutto; che ridendo così fragorosamente per nulla, non avrebbe però mai sorriso beffardamente dinanzi a un sentimento vero, di qualunque natura esso fosse. Emilia lo vide subito e dopo qualche volta che gli ebbe parlato, si sentì attirata verso di lui, perchè lo giudicava migliore e diverso da quelli che aveva conosciuto fino allora. Dopo qualche tempo comprese che aveva in lui un amico – e un giorno incominciò il capitolo che le donne amano tanto, il capitolo delle confidenze che non finisce mai, ma in cui non si dice mai tutto. Era una di quelle giornate che invogliano il cuore ad aprirsi e le parole recondite ad uscire dal labro, uno di quei giorni in cui le simpatie si ritrovano, in cui involontariamente una lagrima che pare senza causa spunta nell’occhio. Il cielo era grigio, l’aria pesante, si soffocava fisicamente e moralmente; ed era impossibile non essere invogliati, dopo aperte le finestre, a socchiudere il cuore. – Nell’uscire, Alberto sentì qualcosa che non aveva sentito ancora e la conseguenza fu che pensò ad Emilia tutta la notte – e che non l’andò più a trovare per un mese.
Egli aveva un po’ paura. Anch’egli era stato colpito da quelle punture d’ago che ripetute fanno quasi peggio che una buona coltellata una volta tanto, ed era venuto alla conclusione di chi si trova nel caso suo, che cioè l’amore come distrazione e sollievo è la miglior cosa che vi sia sotto al sole, ma che quando minaccia di prendere un posto troppo grande nella vita non può diventare che una noia o un dolore, e che bisogna perciò sfuggirlo.
Quel mese in cui tralasciò di far visita ad Emilia, ora ch’era diventato in lui un’abitudine l’andarvi, in lei un’abitudine il vederlo, fu noioso per lui, e per lei fecondo di nuove idee e causa che un nuovo orizzonte le si schiudesse dinanzi. Dopo quindici giorni cominciò a trovare la cosa piuttosto strana, poi dispiacente, poi capì che un poco ne soffriva. Fu in collera contro di lui, lo trovò maleducato e ridicolo; poi si fece inquieta sul suo conto: «che gli sia successo qualcosa, ch’egli abbia un qualche motivo per non venire?» Poi credette di averlo in qualche modo involontariamente offeso, ma non trovò nulla. Finalmente un giorno che suo marito essendo di cattivo umore le aveva parlato bruscamente, pensò: «Ma perchè mi abbandona?» e si mise a piangere e singhiozzare. Allora un sospetto che non l’era mai venuto, l’afferrò, e rasciugandosi gli occhi dinanzi allo specchio, si vide pallida pallida con due punti rossi sulle guancie e mormorò: «Dio mio! l’amo forte?»
La casa di Emilia essendo alla dritta, quando Alberto doveva passare per quella via stava sempre a sinistra, per poter resistere alla tentazione di entrare. Un giorno che si felicitava più che mai in un serio soliloquio della decisione presa, misurando quanto male potrebbe derivare dall’abbandonarsi alla corrente, si trovò senza saperlo nella via della casa proibita; passò al solito a sinistra, ma quando fu in faccia alla casa, abbassò d’improvviso la testa