Il Corsaro Nero. Emilio Salgari

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Il Corsaro Nero - Emilio Salgari

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di corvi!… Avete finito di gracchiare?… – gridò la voce metallica, che aveva lanciata quella frase minacciosa agli uomini del canotto.

      – Tuoni d’Amburgo!… Il Corsaro Nero!… – borbottò Wan Stiller, con un brivido.

      Carmaux, alzando la voce, rispose:

      – Eccomi comandante.-

      Un uomo era sceso allora dal ponte di comando e si dirigeva verso di loro, con una mano appoggiata al calcio d’una pistola che pendevagli dalla cintola.

      Era vestito completamente di nero e con una eleganza che non era abituale fra i filibustieri del grande Golfo del Messico, uomini che si accontentavano di un paio di calzoni e d’una camicia, e che curavano piú le loro armi che gli indumenti.

      Portava una ricca casacca di seta nera, adorna di pizzi di eguale colore, coi risvolti di pelle egualmente nera; calzoni pure di seta nera, stretti da una larga fascia frangiata; alti stivali alla scudiera e sul capo un grande cappello di feltro, adorno d’una lunga piuma nera che gli scendeva fino alle spalle.

      Anche l’aspetto di quell’uomo aveva, come il vestito, qualche cosa di funebre, con quel volto pallido, quasi marmoreo, che spiccava stranamente fra le nere trine del colletto e le larghe tese del cappello, adorno d’una barba corta, nera, tagliata alla nazzarena e un pò arricciata.

      Aveva però i lineamenti bellissimi: un naso regolare, due labbra piccole e rosse come il corallo, una fronte ampia solcata da una leggera ruga che dava a quel volto un non so che di malinconico, due occhi poi neri come carbonchi, d’un taglio perfetto, dalle ciglia lunghe, vivide e animate da un lampo tale che in certi momenti doveva sgomentare anche i piú intrepidi filibustieri di tutto il golfo.

      La sua statura alta, slanciata, il suo portamento elegante, le sue mani aristocratiche, lo faceva conoscere, anche a prima vista, per un uomo d’alta condizione sociale e soprattutto per un uomo abituato al comando.

      I due uomini del canotto, vedendolo avvicinarsi, si erano guardati in viso con una certa inquietudine, mormorando:

      – Il Corsaro Nero!

      – Chi siete voi e da dove venite? – chiese il Corsaro, fermandosi dinanzi a loro e tenendo sempre la destra sul calcio della pistola.

      – Noi siamo due filibustieri della Tortue, due Fratelli della Costa, – rispose Carmaux.

      – E venite?

      – Da Maracaybo.

      – Siete fuggiti dalle mani degli spagnuoli?

      – Sí, comandante.

      – A qual legno appartenevate?

      – A quello del Corsaro Rosso. —

      Il Corsaro Nero udendo quelle parole trasalí, poi stette un istante silenzioso, guardando i due filibustieri con due occhi che pareva mandassero fiamme.

      – Al legno di mio fratello, – disse poi, con un tremito nella voce.

      Afferrò bruscamente Carmaux per un braccio e lo condusse verso poppa, traendolo quasi a forza.

      Giunto sotto il ponte di comando, alzò il capo verso un uomo che stava ritto lassú, come se attendesse qualche ordine, e disse:

      – Incrocierete sempre al largo, signor Morgan; gli uomini rimangano sotto le armi e gli artiglieri con le micce accese; mi avvertirete di tutto ciò che può succedere.

      – Sí, comandante, – rispose l’altro. – Nessuna nave o scialuppa si avvicinerà, senza che ne siate avvertito.

      Il Corsaro Nero scese nel quadro, tenendo sempre Carmaux per il braccio, entrò in una piccola cabina ammobiliata con molta eleganza ed illuminata da una lampada dorata, quantunque a bordo delle navi filibustiere fosse proibito, dopo le nove di sera, di tenere acceso qualsiasi lume, quindi indicando una sedia disse brevemente:

      – Ora parlerai.

      – Sono ai vostri ordini, comandante. -

      Invece d’interrogarlo, il Corsaro si era messo a guardarlo fisso, tenendo le braccia incrociate sul petto. Era diventato piú pallido del solito, quasi livido, mentre il petto gli si sollevava sotto frequenti sospiri.

      Due volte aveva aperto le labbra come per parlare, e poi le aveva richiuse come se avesse paura di fare una domanda, la cui risposta doveva forse essere terribile.

      Finalmente, facendo uno sforzo, chiese con voce sorda:

      – Me l’hanno ucciso, è vero?

      – Chi?

      – Mio fratello, colui che chiamavano il Corsaro Rosso.

      – Sí, comandante, – rispose Carmaux, con un sospiro. – Lo hanno ucciso come vi hanno spento l’altro fratello, il Corsaro Verde. —

      Un grido rauco che aveva qualche cosa di selvaggio, ma nello stesso tempo straziante, uscí dalle labbra del comandante.

      Carmaux lo vide impallidire orribilmente e portarsi una mano sul cuore, e poi lasciarsi cadere su di una sedia, nascondendosi il viso colla larga tesa del cappello.

      Il Corsaro rimase in quella posa alcuni minuti, durante i quali il marinaio del canotto lo udí singhiozzare, poi balzò in piedi come se si fosse vergognato di quell’atto di debolezza. La tremenda emozione che lo aveva preso era completamente scomparsa; il viso era tranquillo, la fronte serena, il colorito non piú marmoreo di prima, ma lo sguardo era animato da un lampo cosí tetro che metteva paura.

      Fece due volte il giro della cabina come se avesse voluto tranquillarsi interamente prima di continuare il dialogo, poi tornò a sedersi, dicendo:

      – Io temevo di giungere troppo tardi, ma mi resta la vendetta. L’hanno fucilato?

      – Appiccato, signore.

      – Sei certo di questo?

      – L’ho veduto coi miei occhi pendere dalla forca eretta sulla Plaza de Granada.

      – Quando l’hanno ucciso?

      – Quest’oggi, dopo il mezzodí.

      – È morto?…

      – Da prode, signore. Il Corsaro Rosso non poteva morire diversamente, anzi…

      – Continua.

      – Quando il laccio stringeva, ebbe ancora la forza d’animo di sputare in faccia al governatore.

      – A quel cane di Wan Guld?

      – Sí, al duca fiammingo.

      – Ancora lui! Sempre lui!… Ha giurato adunque un odio feroce contro di me? Un fratello ucciso a tradimento e due appiccati da lui!

      – Erano i due piú audaci corsari del golfo, signore, è quindi naturale che li odiasse.

      – Ma mi rimane la vendetta!… – gridò il filibustiere con voce terribile. – No, non morrò se prima non avrò sterminato quel Wan Guld e tutta la sua famiglia e dato alle fiamme la città

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