Il Corsaro Nero. Emilio Salgari

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Il Corsaro Nero - Emilio Salgari

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verso il sud.

      Wan Stiller e Carmaux intanto arrancavano di gran lena, facendo volare, sui neri flutti, il sottile e svelto canotto. Né l’uno né l’altro parevano preoccupati di ritornare verso quella costa, popolata dai loro implacabili nemici, tanta era la fiducia che avevano nell’audacia e nella valentia del formidabile Corsaro, il cui solo nome bastava a spargere il terrore in tutte le città marittime del grande golfo messicano. Il mare interno di Maracaybo, essendo liscio come se fosse di olio, permetteva alla veloce imbarcazione di avanzare senza troppo affaticare i due rematori. Non essendovi in quel luogo, racchiuso fra due capi che lo proteggono dalle larghe ondate del Grande Golfo, coste ripide, non vi sono flutti di fondo, sicché è rado che l’acqua là entro si sconvolga.

      I due filibustieri arrancavano da un’ora, quando il Corsaro Nero, che fino allora aveva mantenuto una immobilità quasi assoluta, si alzò bruscamente in piedi, come se volesse abbracciare collo sguardo maggiore orizzonte.

      Un lume, che non si poteva confondere con una stella, brillava a fior d’acqua, verso il sud-ovest, ad intervalli d’un minuto.

      – Maracaybo, – disse il Corsaro, con accento cupo, che tradiva un impeto di sordo furore.

      – Sí, – rispose Carmaux, che si era voltato.

      – Quanto distiamo?

      – Forse tre miglia, capitano.

      – Allora a mezzanotte noi vi saremo.

      – Sí.

      – Vi è qualche crociera?

      – Quella dei doganieri.

      – È necessario evitarla.

      – Conosciamo un posto ove potremo sbarcare tranquilli e nascondere il canotto fra i paletuvieri.

      – Avanti.

      – Una parola, capitano.

      – Parla.

      – Sarebbe meglio che la nostra nave non si avvicinasse di piú.

      – Ha già virato e ci aspetterà al largo, – rispose il Corsaro.

      Stette silenzioso alcuni istanti, poi riprese:

      – È vero che vi è una squadra nel lago?

      – Sí, comandante, quella dell’ammiraglio Toledo che veglia su Maracaybo e Gibraltar.

      – Ah!… Hanno paura? Ma l’Olonese è alla Tortue e fra noi due la manderemo a picco. Pazienza alcuni giorni ancora, poi Wan Guld saprà di che cosa saremo capaci noi. —

      Si ravvolse di nuovo nel suo mantello, si calò il feltro sugli occhi, poi tornò a sedersi, tenendo gli sguardi fissi su quel punto luminoso che indicava il faro del porto. Il canotto riprese la corsa; non manteneva però piú la prora verso l’imboccatura di Maracaybo, volendo evitare la crociera delle guardie doganali, le quali non avrebbero mancato di fermarlo e di arrestare le persone che lo montavano.

      Mezz’ora dopo, la costa del golfo era perfettamente visibile, non essendo lontana piú di tre o quattro gomene. La spiaggia scendeva in mare dolcemente, tutta ingombra di paletuvieri, piante che crescono per lo piú alla foce dei corsi d’acqua e che producono delle febbri terribili e che sono la causa del vomito prieto ossia della temuta febbre gialla.

      Piú oltre si vedeva spiccare, sul fondo stellato del cielo, una cupa vegetazione, la quale lanciava in aria enormi ciuffi di foglie piumate, di dimensioni gigantesche.

      Carmaux e Wan Stiller avevano rallentata la vogata e si erano voltati per vedere la costa. Non s’avanzavano che con grandi precauzioni, procurando di non fare rumore e guardando attentamente in tutte le direzioni, come se temessero qualche sorpresa.

      Il Corsaro Nero non si era invece mosso, però aveva posto dinanzi a sé i tre fucili imbarcati dal mastro, per salutare, con una scarica, la prima scialuppa che avesse osato avvicinarsi.

      Doveva essere la mezzanotte quando il canotto si arenava in mezzo ai paletuvieri, cacciandosi piú di mezzo fra le piante e le contorte radici.

      Il Corsaro si era alzato. Ispezionò rapidamente la costa, poi balzò agilmente a terra, legando l’imbarcazione ad un ramo.

      – Lasciate i fucili – disse a Wan Stiller ed a Carmaux. – Avete le pistole?

      – Sí, capitano, – rispose l’amburghese.

      – Sapete dove siamo?

      – A dieci o dodici miglia da Maracaybo.

      – È situata dietro questo bosco la città?

      – Sul margine di questa macchia gigantesca.

      – Potremo entrare questa notte?…

      – È impossibile capitano. Il bosco è foltissimo e non potremo attraversarlo prima di domani mattina.

      – Sicché saremo costretti ad attendere fino a domani sera?

      – Se non volete arrischiarvi di entrare in Maracaybo di giorno, bisognerà rassegnarsi ad aspettare.

      – Mostrarci in città di giorno sarebbe un’imprudenza, – rispose il Corsaro, come parlando fra sé stesso. – Se avessi qui la mia nave pronta ad appoggiarci ed a raccoglierci, l’oserei, ma la Folgore incrocia ora nelle acque del gran golfo. -

      Rimase alcuni istanti immobile e silenzioso, come se fosse immerso in profondi pensieri, quindi riprese:

      – E mio fratello, potremo trovarlo ancora?

      – Rimarrà esposto sulla Plaza de Granada tre giorni, – disse Carmaux. – Ve lo dissi già.

      – Allora abbiamo tempo. Avete conoscenze in Maracaibo?

      – Sí, un negro, quello che ci offrí il canotto per fuggire. Abita sul margine di questa foresta in una capanna isolata.

      – Non ci tradirà?

      – Rispondiamo di lui.

      – In cammino.

      Salirono la sponda, Carmaux dinanzi, il Corsaro in mezzo e Wan Stiller in coda e si cacciarono in mezzo all’oscura boscaglia procedendo cautamente, cogli orecchi tesi e le mani sui calci delle pistole, potendo cadere da un istante all’altro in un agguato.

      La foresta si rizzava dinanzi a loro, tenebrosa come una immensa caverna. Tronchi d’ogni forma e dimensione si ergevano verso l’alto, sostenendo foglie smisurate, le quali impedivano assolutamente di scorgere la volta stellata.

      Festoni di liane cadevano dappertutto, intrecciandosi in mille guise, salendo e scendendo dai tronchi delle palme e correndo da destra a sinistra, mentre al suolo strisciavano, attorcigliate le une alle altre, radici smisurate, le quali ostacolavano non poco la marcia dei tre filibustieri, costringendoli a fare dei lunghi giri per trovare un passaggio, o a mettere mano alle sciabole d’arrembaggio per reciderle.

      Dei vaghi bagliori, come di grossi punti luminosi, che proiettavano ad intervalli dei veri sprazzi di luce, correvano in mezzo a quelle migliaia di tronchi, danzavano ora a livello del suolo ed ora in mezzo al fogliame. Si spegnevano

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