Il re del mare. Emilio Salgari
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I gaviali, vedendo quella preda umana, con un balzo si erano precipitati in acqua, nuotando velocemente verso la Marianna.
Il pilota, pazzo dal terrore, si dibatteva disperatamente girando e rigirando su se stesso e mandando urla strozzate. Un’angoscia indescrivibile traspariva dai suoi lineamenti spaventosamente alterati.
– Aiuto! Aiuto! Grazia! Salvatemi… – gridava, facendo sforzi supremi per spezzare le corde che gli legavano le mani.
Yanez, in piedi sul capo di banda, aggrappato alla grisella di babordo del trinchetto, lo guardava impassibilmente, mentre i gaviali tentavano di afferrare la preda, slanciandosi più che mezzi fuori dell’acqua, con poderosi colpi di coda.
– Se Padada non muore di spavento è un vero miracolo, – disse Tangusa.
– Hanno la pelle dura i malesi, – rispose Yanez. – Lasciamolo gridare un po’.
Il povero uomo gridava a squarciagola, peggio d’una scimmia rossa, urlando sempre: – Aiuto! grazia! Mi raggiungono… grazia, signore!
Yanez fece cenno a Sambigliong di ritirare un po’ la fune, essendo un gaviale riuscito a toccare coll’estremità del muso la preda, poi, volgendosi verso il pilota che continuava a dibattersi, raggrizzando più che poteva le gambe:
– Vuoi che ti lasci cadere nelle gole dei boyo o che ti faccia issare? La tua vita sta in mano tua.
– No… signore… issatemi… mi toccano… non posso più.
– Parlerai?
– Sì, parlerò… vi dirò tutto… tutto…
– Giuralo su Vairang kidul, giacchè è la protettrice dei cacciatori di nidi di salangane.
– Lo giuro… signore…
– Ti avverto prima che, se quando ti avremo tirato su, ti rifiuterai di confessarmi ogni cosa, ti getterò senz’altro fra le mascelle del più grosso gaviale.
– Non ne ho alcun desiderio e…
– Continua, – disse Yanez.
– Quando avrò tutto confessato non mi ucciderete egualmente?
– Non so che cosa farne della tua pelle. Rimarrai prigioniero fino al nostro ritorno, poi andrai a farti appiccare dove vorrai. Seguimi nel quadro e anche tu, Tangusa.
Il malese a cui non pareva ancora vero di trovarsi vivo e che batteva i denti pel terrore, che non gli era completamente passato, seguì, senza farsi pregare, il portoghese ed il meticcio.
– Ed ora ascoltiamo la tua interessante confessione, – disse Yanez, sdraiandosi su un divanetto e riaccendendo la sigaretta che aveva lasciata spegnere, per meglio assistere ai salti dei gaviali ed ai contorcimenti del pilota. – Bada che tu hai giurato e che io non sono uomo da lasciarmi giocare, nè prendere a gabbo.
– Vi dirò tutto, padrone.
– Dunque sono stati i dayaki a mandarti incontro alla Marianna.
– Non posso negarlo, – rispose il malese.
– È stato il pellegrino.
– No, signore; io non ho mai parlato con quell’uomo.
– Chi è?
– Ma… sarebbe un po’ difficile a dirlo, nè saprei dirvi da dove sia piombato costui. È giunto qui alcune settimane or sono, con molte casse piene d’armi e ben fornito di denaro, di ghinee e di fiorini olandesi.
– Solo?
– Lo credo.
– E che cosa ha fatto poi?
– Si è presentato ai capi tribù, i quali lo ricevettero con deferenza, avendo in testa il turbante verde dei pellegrini che hanno visitato il sepolcro del Profeta. Che cosa poi abbia narrato loro e promesso, io lo ignoro. So solo che pochi giorni dopo, i dayaki erano tutti in armi e che chiedevano la testa di Tremal-Naik, che fino allora era stato il loro protettore.
– Ha regalato a quei fanatici imbecilli le armi?
– E anche molto denaro.
– È vero che un giorno una nave inglese è giunta alla foce del Kabatuan e che quel pellegrino si è abboccato col comandante? – chiese Yanez.
– Sì, signore, anzi aggiungerò che durante la notte l’equipaggio sbarcò altre casse piene d’armi.
– Non sai a che razza appartiene quell’uomo?
– No, signore: quello che vi posso dire è che la sua pelle è oscura assai e che parla il bornese con difficoltà.
– Che mistero impenetrabile! – mormorò Yanez. – Mi romperò il capo senza riuscire a schiarirlo.
Stette un momento silenzioso, come se si fosse immerso in un profondo pensiero, poi chiese:
– Come avevano fatto a sapere che la Marianna giungeva in soccorso di Tremal-Naik?
– Pare che sia stato un servo dell’indiano a informare i capi dayaki ed il pellegrino.
– Quale incarico ti avevano dato?
Il malese ebbe una breve esitazione, poi rispose:
– Di arenare la vostra nave, innanzi tutto.
– Non mi ero dunque ingannato, dubitando di te. E poi?
– Lasciate che non confessi il resto.
– Parla liberamente: ti ho promesso di lasciarti la vita ed io non manco alla mia parola.
– Di approfittare dell’assalto dei dayaki per incendiarvi la nave.
– Grazie della tua franchezza, – disse Yanez, ridendo. – Sicchè avevano deciso la nostra morte?
– Sì, signore. Pare che il pellegrino abbia avuto qualche motivo di dolersi delle tigri di Mompracem.
– Anche di noi! – esclamò Yanez, che cadeva di sorpresa in sorpresa.
– Chi può essere costui? Noi non abbiamo mai avuto a che fare con dei fanatici mussulmani.
– Non so che cosa dirvi, signore.
– Se è vero quello che ci hai narrato, quel miserabile ci insidierà dovunque?
– Non vi lascerà tranquilli, badate a me e farà di tutto per massacrarvi dal primo all’ultimo, – disse il pilota. – Io so che ha fatto giurare ai capi dayaki di non risparmiarvi.
– E noi faremo il possibile per ucciderne più che potremo, è vero, Tangusa?
– Sì, signor Yanez, – rispose il meticcio.
– Padada, – disse il portoghese, – sai tu che la fattoria di Pangutaran sia già assediata?
– Non