La riconquista di Monpracem. Emilio Salgari
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу La riconquista di Monpracem - Emilio Salgari страница 12
Yanez cambiò posizione tre o quattro volte, poi, vedendo la tigre presentarglisi di fronte, sparò.
Un uragano di applausi salutò l’abile bersagliere, il quale dopo aver freddato il toro fulminò la figlia sanguinaria delle jungle.
– Milord, – disse il Sultano, – domani vi aspetto al mio palazzo. Lo spettacolo ormai è finito. —
4. L’attacco alla cannoniera
Da tre giorni Yanez si godeva gli ozi di Varauni, dividendo il suo tempo fra la corte, dove il Sultano non mancava mai di far danzare qualche centinaio di bajadere fatte venire dall’India con grandi spese, e fra le feste.
Nel suo palazzotto aveva dato già ricevimenti, invitando anche i pochi europei che si trovavano nella capitale del Sultanato, quantunque potessero costituire per lui un pericolo.
Già trovava che tutto andava per il meglio, che il Sultano era abbastanza grazioso, che i vini della corte erano eccellenti, quando una notizia fulminea interruppe la sua vita beata.
Aveva già dato ordine, la mattina del quarto giorno, che lo yacht accendesse i fuochi per fare una escursione intorno alla vasta baia, quando vide entrare nel suo gabinetto da lavoro Padar, il mastro del piccolo praho da corsa, che aveva da qualche tempo inviato verso Mangalum, perché l’informasse della sorte toccata ai naufraghi.
Quantunque fosse un uomo non facile ad impressionarsi, il mastro appariva in preda ad una vivissima agitazione.
– Ebbene, che cosa c’è? – chiese Yanez, riaccendendo la sigaretta che aveva lasciata spegnere. – Sta per cadere la luna o il sole?
– State per essere sorpreso e dentro il porto, capitano, – rispose il mastro.
– Da chi?
– Una cannoniera olandese ha incontrato le scialuppe dei naufraghi e le rimorchia qui.
– Per Giove! —
Il portoghese gettò via la sigaretta, e si mise a camminare a grandi passi per il gabinetto.
– Fuma lo yacht? – chiese a Padar.
– Le sue macchine sono accese.
– Qui bisogna tentare un colpo di testa disperato. Una cannoniera non è già un incrociatore e coi miei grossi pezzi da caccia non dubito di metterla presto fuori combattimento.
È lontana?
– Non sarà qui prima d’un paio d’ore.
– Allora salviamo subito lo yacht. Troverò poi qualche scusa per persuadere quell’imbecille di Sultano che io dovevo difendermi.
Una storia! Chi me la dà?… L’ho bell’è trovata.
Andiamo, Padar, perché qui si corre il pericolo di naufragare tutti. —
Si mise in testa l’elmo di tela, prese le sue famose pistole e lasciò il palazzotto, seguito dal mastro e da una mezza dozzina di malesi, equipaggiati perfettamente per la guerra e che indossavano il pittoresco costume dei cipay indiani.
Essendo giorno di mercato, le vie attigue al porto erano quasi deserte, così Yanez e la sua scorta poterono imbarcarsi senza quasi essere stati notati.
Lo yacht era sotto pressione e dietro di lui stava ancorato il praho di Padar, il quale poteva, colle sue due grosse spingarde ed i suoi trenta uomini d’equipaggio, dare molto filo da torcere ai salvatori dei naufraghi.
Yanez, come sempre, aveva fatto rapidamente il suo piano: inseguire al largo ed offrire agli olandesi, senza nessuna testimonianza, una vera battaglia.
Si sentiva forte coi suoi due cannoni da caccia che lanciavano una palla a mille e cinquecento metri, distanza allora sconosciuta fra le flotte anglo-indiane. E poi sapeva di poter contare assolutamente sui suoi malesi ed i suoi dayachi. Al primo comando, nessuno si sarebbe rifiutato di montare all’abbordaggio coi parangs in pugno.
Lo yacht, che filava a tutto vapore, passò a cento braccia dalla cannoniera, quasi sfidandola, poi si slanciò innanzi, seguìto dal praho da corsa.
Vedendolo passare, i passeggeri che affollavano le scialuppe a rimorchio della cannoniera, erano saltati in piedi, agitando forsennatamente le mani e lanciando clamori minacciosi:
– Eccolo, il pirata!
– Fate fuoco su di lui, se avete del sangue nelle vene.
– Montate all’abbordaggio ed impiccate tutte quelle canaglie all’alberatura dello yacht.
– Su via, se avete del fegato! —
La cannoniera si era bruscamente arrestata, poi aveva compiuto un mezzo giro verso tribordo e siccome, per un caso straordinario, non aveva tutte le sue macchine completamente sgangherate, il suo equipaggio tagliò gli ormeggi delle scialuppe e si mise valorosamente in caccia.
Aveva per altro dinanzi a sé un vero corridore del mare, capace di farsi inseguire fino a Calcutta senza permetterle di sparare una sola volta il suo pezzo poppiero.
Yanez, sempre tranquillo, sempre calmo, era salito sul ponte di comando ed aveva lanciato in macchina un ordine:
– A tiraggio forzato, finché potrete resistere. Posso contare su di voi?
– Sì! – aveva risposto il capo-macchinista.
– A me, Mati! —
Il gigantesco dayaco sorse come un diavolo a sorpresa dal boccaporto del quadro e si slanciò verso il portoghese, chiedendogli:
– Che cosa desiderate, signor Yanez?
– Sei sempre sicuro del tiro dei tuoi pezzi?
– Scommetterei di portare via con una palla la sigaretta che in questo momento sta fumando il capitano.
– È una pipa.
– Niente di meglio, signor Yanez. Nello spezzarsi farà più fracasso.
Ma non rispondo dei baffi.
– Non occuparti di quelli. A Varauni vi sono ancora dei bravi barbieri indù che glieli rimetteranno a posto.
– Allora non chiedo altro. Mi date carta bianca?
– Sì, ma più tardi, quando avremo fatto correre la cannoniera al largo. Abbassa la bandiera inglese ed innalza sul picco la gloriosa bandiera delle invincibili tigri di Mompracem. —
Il vessillo inglese cadde, svolazzando sul quadro, mentre al suo posto veniva innalzata una bandiera tutta rossa che portava nel mezzo una testa di tigre.
I malesi dell’equipaggio salutarono quel vessillo, che ricordava le loro glorie passate, con un urlo altissimo.
Guai se Yanez in quel momento li avesse scagliati all’abbordaggio!
I figli delle vecchie