La tigre della Malesia. Emilio Salgari
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– Barra sottovento! – gridò d’un tratto Sandokan che aveva impugnata la scimitarra.
Il suo prahos abbordò il mercantile sotto l’anca di tribordo ad onta della sua moschetteria e delle precipitose manovre dell’equipaggio nemico. Sandokan, benché i grappini d’arrembaggio non fossero ancora stati lanciati, si raccolse su sé stesso col kriss fra i denti, come una tigre che sta per avventarsi, quando una mano robusta lo trasse indietro. Il Ragno di Mare gli si rizzò accanto coprendolo col suo petto d’atleta, e bestemmiando tentò saltare sul prahos mercantile dove un marinaio toglieva di mira la Tigre della Malesia.
Non ebbe il tempo, ma si gettò dinanzi a Sandokan e ricevette in sua vece la fucilata in pieno volto. Il povero Ragno cadde in mare colla testa fracassata.
Sandokan gettò un muggito da toro ferito, e aggrappandosi alla bocca di un cannone, si issò in meno che se lo dica sulla coperta del legno mercantile. L’intero equipaggio annerito dal fumo e insanguinato si avventò contro di lui cercando respingerlo.
– A me, miei prodi! – urlò il pirata spaccando la testa al primo venuto. Dieci o dodici pirati risposero all’appello. Si arrampicarono come scimie lungo i bordi e aiutandosi coi paterazzi saltarono sul ponte circondando l’equipaggio. Nel medesimo tempo l’altro prahos abbordava il legno a poppa. I suoi uomini irruppero colle scuri alzate vociferando spaventosamente.
– Che nessuno li tocchi! – tuonò la voce della Tigre. – Sono degli eroi!
Fu compreso. I pirati circondarono l’equipaggio, lo disarmarono e lo legarono senza spargere goccia di sangue. La Tigre si avvicinò al capitano del prahos.
– Tu sei un brav’uomo – disse. – I tuoi uomini sono degni del loro comandante. Io ti lascio la vita!
Il capitano del prahos lo guardò come trasognato. Sandokan poggiò le mani sulle spalle di lui e guardandolo fisso:
– Dove vai? – gli chiese.
– A Labuan – rispose macchinalmente il capitano.
– Tu conosci quell’isola?
– Sì.
– Parlami della Perla di Labuan. Chi è?
– Una donna.
– Di qual razza?
– Inglese.
Le labbra di Sandokan si contrassero mostrando i denti.
– Dove ha la sua casa? – domandò egli con voce sorda.
– Nelle foreste della costa occidentale.
– Grazie, mio prode – disse Sandokan.– Olà! Gettate un barile d’oro a questi giovinotti!
Nessuno dei pirati aprì bocca, per opporsi a un sì strano comando. Del resto non era la prima volta che la Tigre della Malesia agiva in tal modo. Fu ubbidito, e il barile d’oro, con sorpresa dei marinai del prahos mercantile, che si chiedevano se sognassero o avessero da fare con qualche deità marittima, passò a bordo del legno.
Sandokan tornò ad avvicinarsi al capitano.
– Guardami in volto! – esclamò bruscamente egli.
– Chi sei? – chiesero i marinai ad una voce.
– La Tigre della Malesia!…
Prima ancora che l’equipaggio tornasse in sé dalla sorpresa e dalla paura, Sandokan era già a bordo del suo legno circondato dai pirati.
La Tigre stese la mano verso l’est, ve la tenne per qualche tratto così orizzontalmente, poi con voce metallica, stridente, collerica:
– Tigrotti, a Labuan! a Labuan!…
CAPITOLO III. L’incrociatore
Abbandonato il disalberato e sdruscito legno mercantile, i due prahos pirateschi, con due uomini di meno, ripresero la corsa verso Labuan, l’isola della Perla, che Sandokan ormai voleva ad ogni costo vedere.
Il vento dell’ovest era inoltre propizio per portarsi al nord-est e giungere all’indomani allo spuntar del sole e forse la stessa notte all’isola. Bisognava però agire con estrema prudenza poiché, per quanto fossero forti e risoluti, potevano incontrare più di un incrociatore che sbarrasse la via o almeno inceppasse la spedizione. Tutti sapevano che il regno di Borneo, la cui capitale non distava gran tratto, benché si prestasse volentieri alla pirateria e mantenesse prahos pirateschi per proprio conto, poteva, fosse solo per attirarsi le simpatie della nuova colonia, armare la sua flotta e lanciarla contro Sandokan. Tutti sapevano che quelli di Borneo erano gelosi di quelli di Mompracem che si erano fatti una sì formidabile nomea.
I due prahos presero arditamente la pericolosa via senza esitare. Sandokan, fatti ripulire i ponti, raggiustare gli attrezzi, tappare i fori delle bombe, fatto dispensare il pranzo del mezzodì, accese la pipa che somigliava a un narghilé turco e andò a sedersi sul medesimo cannone, dove il povero Ragno di Mare si era così generosamente sacrificato per lui.
Egli rimase mezz’ora senza dir parola, immobile, concentrato, assaporando la calma dopo la pugna, seguendo con occhio distratto le mosse del suo equipaggio che terminava di raggiustare le ultime gomene danneggiate dalla mitraglia. D’improvviso si scosse e piantando gli occhi su Patau, gli fe’ cenno d’avvicinarsi.
Una profonda ruga solcava l’ampia sua fronte e fumava con maggior furia di prima. Egli guardò per alcuni minuti e in silenzio il Malese, che non ardiva fiatare sospettando qualche rabbuffo.
– Dov’eri nel momento dell’abbordaggio? – chiese egli alfine con voce calma e grave ma che tradiva un lampo di collera.
– Al vostro fianco – rispose il Malese.
– Hai veduto cadere il Ragno di Mare? Pensa bene e parla meglio. Chi l’uccise?
Il Malese rabbrividì fino alla punta dei capelli e se fosse stato bianco sarebbe diventato pallido come un morto. Se si fosse trattato di precipitarsi all’abbordaggio dove la mitraglia mordeva e sibilava se ne sarebbe infischiato della paura, fosse pure stato sicuro di lasciarvi la pelle, ma dinanzi a Sandokan, cui bastava uno sguardo per inchiodare su due piedi i più ricalcitranti, egli sì, tremava.
– Ebbene? – domandò qualche istante dopo Sandokan senza abbandonare il suo posto, né la canna della gran pipa e senza nemmeno guardare in volto il Malese che tremava come avesse la febbre.
– Una palla di cannone – arrischiò Patau e dette indietro mentre l’equipaggio sogghignava contento che quel Malese del diavolo fosse stato innalzato fino a un grado così invidiato per essere precipitato chi sa dove da una sola parola del terribile padrone.
Non si amava a bordo Patau perché derubava silenziosamente i camerati valendosi della sua autorità, e senza che alcuno osasse farne parola al capitano. Si aveva paura di entrambi, ma ben differentemente.
Sandokan alla risposta del Malese aveva fatto un legger movimento, ma fu tutto. Egli continuò:
– Il tuo posto era accanto a me giacché non ti avevo affidato il timone. Quando