Le stragi delle Filipine. Emilio Salgari

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Le stragi delle Filipine - Emilio Salgari

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la sua patria. Quella fanciulla conta sul tuo amore per strappare all’insurrezione un uomo valoroso come te, un nemico che può diventare il braccio destro dei nostri capi e forse il supremo dittatore delle operazioni guerresche dei guerrilleros.

      – Io?…

      – Tu, Romero. A noi manca un duce capace di intraprendere dei colpi audaci contro le città tenute dagli spagnuoli e che renda forti le nostre. Tu sei ingegnere, tu t’intendi di cose di guerra, puoi dirigere un assedio, puoi insegnare a noi come si trincera una posizione. Vedi bene quanto tu sei necessario a noi e quanto conta su di te l’insurrezione.

      – E non ti basta che io abbia giurato di combattere per la libertà, Hang?

      – Ma quella fanciulla?…

      – Che importa agli insorti che io abbia affetto per una donna bianca o di colore?…

      – Ed il cuore?… Sarà libero come il tuo braccio?… Avresti tu il coraggio di lottare contro il padre della donna alla quale vuoi tanto bene?…

      – Si dubita della mia fedeltà, adunque? – chiese il meticcio con voce sorda.

      – No, ma…

      – Forse che non sono stato io ad organizzare il colpo di mano che doveva darci Manilla?… Forse che non sono stato io ad armare i trecento uomini che lavorarono nelle mie piantagioni ed il primo che ha innalzato il vessillo della rivolta?… Si dimentica di già che gli spagnuoli mi hanno condannato alla fucilazione, che le mie ricchezze sono state confiscate, le mie piantagioni distrutte, la mia stessa casa data alle fiamme?… Non sono che sei ore che sono tornato dall’esilio, affrontando il pericolo di venire scoperto, non per dire a Teresita che io le voglio sempre bene, ma per combattere a fianco dei miei fratelli di colore e morire in mezzo a loro.

      – Lo so, Romero, e nessuno lo ignora; ma temiamo di quella fanciulla e del fortissimo affetto che hai per lei.

      – È vero, – mormorò il meticcio, passandosi la destra sulla fronte ardente.

      Hang-Tu era diventato bruscamente muto. Aveva passato un braccio sotto il sinistro del meticcio e scendevano uniti verso il molo di Binondo che era affollato di persone.

      Schiere di chinesi dalle teste semi-pelate, ma adorne di lunghe code, dalle facce quasi squadre, ma cogli zigomi assai sporgenti, dalle tinte piú o meno giallastre e coperti da grandi cappelli di fibre di rotang in forma di giganteschi funghi, passavano e ripassavano, chiacchierando con vivacità e ridendo rumorosamente.

      Vi erano grassi negozianti che sfoggiavano delle ricche e lunghe kao-tz, ossia casacche di seta a fiorami di tinte vivaci e che calzavano delle comode ha-tz, ossia grandi scarpe bianche dall’alta suola di feltro; dei ricconi che facevano pompa delle loro lunghe hoal, ossia tuniche abbottonate sui fianchi, con piastroni di seta finemente ricamati e delle grandi pieghe, e dei facchini quasi nudi, ma che nella cintola portavano l’inseparabile ventaglio e la non meno inseparabile pipa per fumare l’oppio.

      In mezzo a quell’onda di cappellacci e di code agitatisi come serpenti, strepitavano dei tegali, i veri indigeni delle isole, dei pezzi di giovanotti, dalle forme eleganti ma insieme robuste, dal colorito rossastro, con delle gradazioni giallo-bronzine o ramigne, pittoreschi colle loro bianche camicie di percallo svolazzanti sopra i pantaloni ed adorne di ricami; o passavano silenziosi, tetri, i malesi dalle facce ossute ed oscure con gradazioni verdastre ed olivastre, cogli occhi sempre contratti e minacciosi e la cintura armata dell’inseparabile kriss, quel pugnale di forma serpeggiante, colla punta sovente avvelenata e cosí terribile nelle mani di quei fieri isolani.

      Quelle tre razze, un giorno acerrime nemiche, pareva che sul molo di Binondo se la intendessero fra di loro. I chinesi ed i tagali soprattutto, chiacchieravano insieme colla migliore concordia e molto rumorosamente. Commentavano le ultime notizie della guerra che si combatteva cosí vicina alla capitale, senza piú occuparsi delle numerose navi, delle giunche, dei prahos e dei giong che stavano ancorate dinanzi al molo, in attesa di venire caricate o scaricate.

      Pareva che inaspettati avvenimenti avessero assorbita tutta l’attenzione di quegli uomini, dimenticando i loro affari.

      Hang-Tu continuava a condurre il meticcio attraverso quella gente, senza piú parlare. I chinesi, i tagali e i malesi, come se avessero ricevuta una parola d’ordine, pareva che non si degnassero di gettare un solo sguardo su quei due, ma s’affrettavano a scostarsi per lasciare il passo libero. Solo di quando in quando Romero sorprendeva uno strizzamento d’occhi rapido come il lampo o un gesto fulmineo.

      Ad un tratto, in mezzo a quel vocío si udí echeggiare un fischio acuto. Hang-Tu trasalí e s’affrettò a dirigersi verso una stretta viuzza che tagliava in due il popoloso quartiere mentre le folla si aggruppava prontamente dietro a lui ed al meticcio, come per opporre una barriera alle loro spalle.

      – Ciò significa che qualche sospettoso spagnuolo ci seguiva, – rispose il chinese.

      – E questa gente?

      – Ci salva, opponendo fra noi e la spia un ostacolo insormontabile.

      – Ma se è uno spagnuolo, saranno costretti ad aprirgli il passo.

      – È vero, ma i malesi sono lesti di mano ed il curioso non farebbe dieci passi in mezzo alla folla senza ricevere un buon colpo di kriss.

      – Che gli spagnuoli abbiano sospettato il nostro ritorno?

      – Lo temo, Romero, ma quando vorranno prenderci, noi saremo lontani. Binondo non è la Ciudad.

      – Ma dove mi conduci ora?…

      – Lo saprai presto.

      – A mezzanotte devo essere libero.

      – Lo sarai, – disse il chinese

      Poi, dopo alcuni istanti di silenzio riprese:

      – È la fanciulla bruna che t’aspetta, è vero?…

      – Sí.

      – L’avevo indovinato. Bada che il maggiore d’Alcazar non è piú dinanzi a Cavite, ma qui!

      – Lo so, – riprese il meticcio, con un sospiro.

      – Il padre della fanciulla ti odia, Romero.

      – Lo so.

      – Forse ti tenderà un agguato per privare l’insurrezione del tuo braccio.

      – Non conosci Teresita d’Alcazar, Hang-Tu.

      – Non sarà lei che ti prepara il tradimento, ma… si sospetta che tu sia qui, ed il maggiore è un uomo che non dorme con due occhi chiusi.

      – Sarò armato.

      – Vuoi un consiglio, Romero?… Parti senza rivederla. Cosa potrebbe dirti?… Che ti vuol bene?… Lo sai o almeno lo credi…

      – Taci, Hang, – disse il meticcio con voce minacciosa. – Tu non hai il diritto di ferirmi il cuore.

      – No, ma l’amico affezionato ha il dovere di vegliare su di te.

      – Ancora dei dubbi?…

      – No, ma temo l’affetto di quella fanciulla.

      – Ho

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