La guerra del Vespro Siciliano vol. 2. Amari Michele
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La guerra del Vespro Siciliano vol. 2 / Un periodo delle storie Siciliane del secolo XIII
CAPITOLO XIII
Naufragio dell’armata al ritorno in Sicilia. Giacomo coronato re. Capitoli del parlamento di Palermo; privilegi ai Catalani. Fazioni di guerra. Supplizio d’Alaimo di Lentini. Agosta occupata da’ nemici, e da’ nostri ripresa. Seconda vittoria navale nel golfo di Napoli. Trattato della liberazione di Carlo lo Zoppo. Passaggio di re Giacomo sopra il reame di Napoli. Tregua di Gaeta. Pratiche di pace generale e crociata, conchiuse a danno della Sicilia. Morte di Alfonso re d’Aragona, al quale succede Giacomo. Novembre 1285–giugno 1291.
Come la morte di re Pietro, annunziata ad Alfonso in Maiorca, si sparse per la siciliana flotta, divampovvi col pronto veder delle nostre plebi una brama di tornarsene in patria. E in vero, con Aragona altro legame non rimanea che d’amistà; ma era a temer che mancato quel valoroso principe, i nimici ritentassero la Sicilia: e chi può dir se le menti sì aguzze al sospetto non immaginaron disposti i Catalani a ritenersi l’armata? Pertanto scoppia tra le ciurme un grido: «In Sicilia! in Sicilia!» e perchè l’ammiraglio dubbioso rispondea, che a gran rischio navigherebbero in quel procelloso romper di verno, la moltitudine rincalzata da Federigo Falcone da Messina, vice ammiraglio1, peggio ostinandosi, ammutinata ripigliava «In Sicilia! e muoia chi nol vuole.» Questa nè cieca nè volgare carità di patria, che i nostri istorici biasman dall’esito, e sol guardando al danno che ne incolse all’armata, non a quello che s’ovviò alla Sicilia, sforzava i capitani a far vela a ventitrè novembre, parendo bonaccia. Rincrudito il vento, cacciolli a Minorca. Ripartirono; ma soffiò sì atroce il tre dicembre, che la flotta tra Sardegna e le Baleari e su per lo golfo del Lione per tre dì orribilmente fortuneggiava. Comanda l’ammiraglio di prendere il largo, accender fanali alle navi per cansar gli urti, ristoppare gli struciti, del resto facendo prua a scirocco abbandonarsi alla fortuna. Ma con tutta l’arte e l’ardire, due galee messinesi, due d’Agosta, una di Catania, una di Sciacca, rompendo in acqua, miseramente naufragarono; e vi perì anco il Falcone. Le altre quaranta fean gitto del bottino francese; e dopo lungo travaglio, battute, sdrucite, sgomenate ad una ad una si ricolsero nel porto di Trapani. L’ammiraglio appena messo piè a terra, cavalcava a Palermo; ove giunto il dodici dicembre, recava primo alla regina il grave annunzio, e tramettealo a Giacomo in Messina. Destò quella morte per ogni luogo di Sicilia grandissimo compianto; e si notò delle donne che tutte vestiron gramaglia, fecer pubblico duolo, e quante entravano a corte, con insolita veracità d’affetto, come madri o figliuole confortavan la Costanza trafitta di profondo dolore2.
Poi pensarono i notabili del reame alla solenne esaltazione di Giacomo, riconosciuto nel parlamento di Messina dell’ottantatrè, e promulgatosi re all’avviso della morte del padre, il quindici dicembre3. Onde convocati per tutta l’isola i prelati, i baroni, e’ sindichi di terre e città, il due febbraio milledugentottantasei ragunavansi a parlamento in Palermo. Giacomo vi si trovò con la regina e l’infante Federigo: il vescovo di Cefalù, l’archimandrita di Messina, e assai più prelati di Sicilia, coi vescovi sì di Nicastro e Squillaci, nel nome di Dio e della Vergine il coronavano. In quei dì, tra le feste che splendidissime rendea il lusso de’ molti possenti baroni, il re a sue spese armò cavalieri quattrocento nobili siciliani: e molti feudi de’ ricaduti al fisco dopo la cacciata de’ baroni francesi, molte grazie largheggiò; per letizia, e necessità di moltiplicar dentro i sostegni, poichè fuori dell’isola non vedea che deboli amici e irosi avversari. Perciò in questo parlamento medesimo a dì cinque febbraio promulgava, come allor s’addimandarono, le costituzioni e immunità, registrate nel corpo delle leggi del reame di Sicilia col titol di capitoli di Giacomo, e scritte con linguaggio di concessione, ma dettate forse da’ notabili, e certo dalla volontà della nazione. Perchè re Pietro nel parlamento di Catania avea più presto promesso che compiuto le riforme; in quel di Messina ordinò solo i ministri del regio potere; ma i capitoli del parlamento di Santo Martino, e que’ recentissimi di papa Onorio, gli uni e gli altri manifesto effetto della nostra rivoluzione, davano al reame di Puglia belle guarentigie e maggiori assai di quelle che avanzavano alla Sicilia per la virtù immediata del vespro: ond’ era forza calarvisi anco in Sicilia, e tor cagione allo scontento, già scoppiato in più modi4. Ritrasser molto delle onoriane, e le avanzarono in alcune parti, queste nostre riforme. Breve esordiron dal patto sociale che strigne insieme governati e governanti in ogni civiltà. Promettea poscia il re zelante protezione delle persone e facoltà appartenenti alla Chiesa, senza quella dismisura di privilegi che la romana corte comandò in Puglia. Quanto alle pubbliche entrate, rilevando studiosamente le gravezze durissime de’ tempi di Carlo, la colletta ristrigneasi a’ noti quattro casi, e la somma a quindicimila once d’oro in que’ di occupazione di nimici o ribellione e di prigionia del re; a cinquemila negli altri due. Tuttavolta una sola colletta, s’aggiunse, levar si possa in un anno: restò vietata l’alienazion degli stabili della corona, che torna a peso pubblico5; e confermata l’abolizione de’ dritti di marineria, già bandita da re Pietro. L’amministrazione della giustizia civile e criminale si ordinò a speditezza e benignità, purgandola di assai mal tolti del fisco; tra i quali la multa su i comuni per non scoperti autori degli omicidi: e si volle che tra due mesi s’ultimasse ogni lite, o si richiamasse alla magna curia; che s’ammettesser le malleverie: si pose freno agli accusatori: speciali guarentigie fermaronsi nelle cause civili contro il fisco; e maggiori nelle accuse di maestà6. Con ciò disdetti vari statuti crudeli, o abusi di pubblica amministrazione; come mutazion di moneta, sforzati imprestiti al governo, sforzato affitto degli ufici dell’azienda, trasporto del danaro pubblico, rapina degli avanzi de’ naufragi, bandite, custodia di prigioni, inquisizioni, divieto de’ matrimoni7: e si fe’ prova a cessar le baratterie e violenze degli uficiali, castellani, famigliari, e altri molesti sciami8. Ai feudatari fatto più certo e moderato il militar servigio; abrogato l’obbligo a fornir navi da guerra; dato che i fratelli e lor prole fino a terza generazione succedessero ne’ feudi; e accordati altri utili statuti9. Vietossi in lor pro che gli ascrittizi o altre maniere di servi passassero ai comuni, potendo bensì i tenuti al barone per sola ragion di beni, abbandonarglieli e andar via; iniqua legge, ma necessaria secondo il dritto dei tempi, la quale pur dà a vedere gli umori popolani sviluppatisi appresso il vespro nelle municipalità, che invitavano non solo, ma sforzavan anco i vassalli de’ baroni10. In ultimo rimetteansi ai possessori attuali le sostanze mobili di re Carlo o de’ suoi, occupate nella rivoluzione: s’aggiugnea che niun rendesse ragione di maneggio di cosa pubblica ne’ tempi angioini11. Queste ed altre leggi che men rilevano12, bandironsi nel brio del coronamento. Mal si osservarono quelle che ponean freno a’ magistrati e oficiali; onde a’ richiami delle città, rinnovolle Giacomo poco appresso sotto altre sembianze, con sancir pena a’ trasgressori; e sono venzette capitoli più, dei quali ho fatto qui parola perchè non si sa appunto in che anno si promulgassero, nè monta troppo indagarlo13.
L’altro consiglio del nuovo principato fu di strignersi d’amistà e di commerci con Aragona, ond’avea sola speranza di aiuto. Però fermavasi lega tra i due re con tutte lor forze a difesa o conquisto; che ne condusse per certo la pratica Ruggier Loria, e accettò i patti in Aragona per Giacomo innanti Corrado Lancia e altri nobili14, in Sicilia per Alfonso; restandoci il diploma che dienne Giacomo in Palermo il dodici febbraio, soscritto con esso da più testimoni vescovi, conti, e altri notabili, tra i quali si leggono il Mastrangelo, Palmiere Abate, tornato di Catalogna, e l’istorico Bartolomeo de Neocastro, avvocato del fisco15. Pochi dì appresso, a tutti i Catalani accordavasi caricar grano nei porti di Sicilia con moderata gabella16; e a que’ che dimorasser nell’isola, eleggere
1
Bart. de Neocastro dice Protontino, ch’era grado nell’armata, seguente all’ammiraglio, come il mostrano tre diplomi del 16 agosto 1299, per Pietro Salvacossa. Nel r. archivio di Napoli, reg. 1299, A, fog. 170, a t. e 171.
2
Bart. de Neocastro, cap. 101.
Nic. Speciale, lib. 2, cap. 8.
Il Montaner, che nella sua memoria confuse orribilmente la cronologia di questo periodo del regno di Giacomo in Sicilia, porta la tempesta sofferta dall’armata siciliana nel 1288 o 1289, con manifesto anacronismo.
3
Neocastro e Speciale, loc. cit.
Anon. chron. sic., cap. 47.
4
Bart. de Neocastro, cap. 102, nel quale si legge che Giacomo toglier volle,
Nic. Speciale, lib. 2, cap. 9.
Montaner, cap. 148.
Geste de’ conti di Barcellona, cap. 28, loc. cit.
Anon. chron. sic., cap. 47.
La data delle costituzioni è scritta ne’ nostri capitoli del regno, 5 febbraio decimaquarta Ind. 1285, contandosi gli anni dal 25 marzo, onde quel giorno risponde al 5 febbraio 1286 del calendario comune.
5
Capitoli del regno di Sicilia. – Jacobus, cap. 1 a 7, 9, 44.
6
Ibid., cap. 15, 16, 17, 18, 27, 45. Le cause col fisco si doveano spedire anche in due mesi. Pel cap. 42 fu rimessa ai possessori la terza parte dei furti, che si appropriava il fisco. Pel 43 permessi con qualche eccezione gli accordi tra accusatori e accusati. Pel cap. 23 fu proibito al fisco di sperimentare i suoi dritti su i feudi con azione possessoria, ma si stabilì che il facesse in via di petitorio, che non eccedesse i patti nell’agire contro i mallevadori, non eccedesse le leggi contro gli scopritori di qualche tesoro.
7
Ibid., cap. 8, 10, 11, 12, 13, 22, 24, 25, 26, 28, 30. Pel 29 fu abrogato l’obbligo di pascere i porci nelle foreste del re.
8
Ibid., cap. 14, 19, 20, 21.
9
Ibid., cap. 31, 33, 39. Pel cap. 32 si stabilì che i balì de’ feudatari d’età minore fossero scelti tra i congiunti, e rendesser conto al pupillo. Pel 34 che i suffeudatari non servissero alla curia. Pel 35 che i suffeudi vacanti si riconcedessero dal barone. Pel 36 che i vassalli de’ baroni non fossero costretti dalla curia ad esercitare ufici. Pel 37 che non si mandassero maestri giurati della curia nelle terre feudali o ecclesiastiche.
10
Ibid., cap. 38.
11
Ibid., cap. 46 e 47.
12
Ibid., cap. 40 vietati i servigi che esigeano i castellani; cap. 41, altri provvedimenti da reprimere l’insolenza de’ soldati delle castella.
13
Ibid., al cap. 48, si stabiliron le pene contro i ministri e gli oficiali trasgressori delle costituzioni. Il cap. 49 risguarda la malleveria o l’imprigionamento degli accusati. I cap. 50, 51, 55 pel trattamento de’ prigioni; 52 per gli accordi tra accusatori ed accusati; 53 e 54 su l’asportazione delle armi; 56 tolta l’istanza pubblica pei delitti minori; 57 pei dritti sul ricevuto delle tasse; 58, 59, 60, 61, 63, altri provvedimenti per la riscossione delle tasse; 62 pei terragi da pagarsi al fisco o ai baroni; 64 per le foreste e bandite.
14
Surita, Ann. d’Aragona, lib. 4, cap. 75.
15
Diploma dato di Palermo a 12 febbraio decimaquarta Ind. 1285 (1286), ne’ Mss. della Bibl. com. di Palermo, Q. q. G. 1, fog. 147, pubblicato dal Buscemi, Vita di Giovanni di Procida, docum. 6.
16
Mss. citati, fog. 149, diploma del 18 febbraio 1285 (1286).