La guerra del Vespro Siciliano vol. 2. Amari Michele

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La guerra del Vespro Siciliano vol. 2 - Amari Michele

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la romana corte e il Valois. Eduardo dunque, poichè non seppe spuntar di suoi propositi il pontefice che nulla temea, si volse ad Alfonso, imbrigliato assai strettamente dalle corti d’Aragona e di Catalogna, ch’erano impazienti di tal cumulo di danni per interesse non proprio, e le turbava il novello romoreggiar delle armi francesi in Rossiglione. Alfonso tentennò: poi a poco a poco, tirato da Eduardo, cominciò ad abbandonare il fratello, in un accordo fermato ad Oleron in Bearn. Parve poco questo trattato alla corte di Roma, che il disdisse; e perciò i pazienti principi l’anno appresso rifecerlo, il venzette ottobre milledugentottantotto, a Campofranco; ove, menomate in fatto le guarentige d’Oleron, e lasciato dubbio là dove non poteasi far l’accordo, Alfonso liberò il prigione, senza fermar patti espressi per Giacomo, nè per la Sicilia, posponendo al suo proprio comodo il manifesto dritto della Sicilia, le cui armi, non quelle d’Aragona, avean cattivato il principe nel golfo di Napoli. Indi Carlo II, lasciati per lui in carcere tre figliuoli, e pagati ad Alfonso trentamila marchi d’argento, libero n’andò all’entrar di novembre milledugentottantotto. Giurò che renderebbesi alla prigione, s’entro un anno non procacciasse la pace ad Aragona. Ma di tal sacramento il papa lo sciolse, insieme con Eduardo e co’ baroni mallevadori; stracciò come disorbitante e nullo il trattato di Campofranco, scritto da un officiale della romana corte; e continuò a conceder decime ecclesiastiche al re di Francia, e a mostrar di favorire gagliardamente l’impresa di Valois, per allontanar sempre Alfonso dal fratello, e ottener senz’altri compensi la liberazione de’ figli di Carlo lo Zoppo, com’avea conseguito quella del padre. L’anno appresso questo principe, ancorchè uomo onesto e intero, fu piegato da simili ragioni a compier la favola, appresentandosi con un grosso stuolo d’armati al colle di Paniças, come se pronto a rientrare in prigione: e promulgò non aver trovato chi ’l raccettasse; aver soddisfatto dal suo canto a ogni cosa; e ridomandò infine gli statichi e la moneta.

      Tal fu il primo esito delle negoziazioni tra gli oltramontani principi pe’ fatti della rivoluzione nostra del vespro. Piegavano, com’anzi dissi, a nostro danno, per la potenza della corte di Roma, e perchè gl’interessi della Sicilia restarono in balìa del re d’Aragona, ch’era costretto ad abbandonarli se volea restare sul trono. Indi Giacomo ripigliò incontanente le armi, fidando nella nazione siciliana, che avrebbe avuto a combattere per le vite, per la libertà e per la corona del re. E Carlo II intanto, passato di Provenza in Italia, fe’ omaggio del suo reame al papa; e funne coronato a Rieti il diciannove giugno milledugentottantanove, con grande allegrezza di tutta parte guelfa d’Italia, che si vedea reso il suo principe. Cavalcò questi immantinenti alla volta del regno, che i Siciliani già laceravano con aspra guerra43.

      Perchè Giacomo di primavera dell’ottantanove risoluto l’assaltava, tirato ancora da una pratica con cittadini di Gaeta. Passa a Reggio il quindici aprile con quaranta tra teride e galee, quattrocento cavalli, e dieci migliaia di fanti: il quindici maggio muove a risalir lungo la costiera occidentale di Calabria; avanzandosi ei di terra con le genti, l’ammiraglio con la flotta; l’uno a veggente dell’altro, perchè operassero insieme. Occupavan Sinopoli, Santa Cristina, Bubalino, Seminara, e per duri assalti anco Monteleone, sbarcatevi le ciurme; e Rocca, Castel Mainardo, Maida, Ferolito, Aiello. Volle Artois fronteggiarli, e s’ebbe a ritirare in fretta alle province di sopra; dapprima campando appena da un agguato; poi non fidatosi a investire il siciliano campo; e infine confuso dall’ardir di Calcerando e de’ fratelli Sarriano, che con picciolo stuolo, percotendo di mezzo al suo campo sotto Squillaci, entrarono a rafforzar la terra e mantenerla nella fede di Giacomo. Arrendeansi indi a’ nostri Amantea, Fiume Freddo, Castel di Paola, Fuscaldo; resistean le rocche di Castel Belvedere e San Gineto, tenute entrambe da Ruggiero San Gineto, assecurandole il forte sito e la virtù del signore, e anco della moglie, la quale con virile animo fu vista sugli spaldi di San Gineto inanimire il presidio, e di sua mano piombar sassi sulle teste de’ nostri, che con l’audacia di tante vittorie stormeggiavano il castello. Giacomo, lasciata Belvedere, strinse duramente quest’altra fortezza, impaziente di seguire il corso delle sue vittorie, e adirato contro Ruggiero, che caduto già una volta prigione dei nostri nel frequente scaramucciar di Calabria, avea promesso di risegnare il castello, dando statichi due figliuoli, ed or negava i patti e si difendea con tanto valore44.

      Quivi un miserando caso attristò que’ medesimi animi infelloniti nelle ostinate lotte dell’assalto e della difesa. Era il castello presso ad arrendersi per diffalta d’acqua, quando una inaspettata speranza di pioggia tanto il rinfrancò, che tornando alle offese, fu tolta di mira coi mangani la tenda stessa di Giacomo. L’ammiraglio a questo, rompendo ai soliti trapassi d’ira cieca e spietata, fa drizzare co’ remi un palco dinanzi la tenda; fa legarvi i due figliuoli, avvertito e veggente Ruggiero. Il seppe la madre, e con dolor disperato, corse alle mura, pregò i suoi, pregò i nemici, scongiurò ora il re di Sicilia, ora il feroce consorte: e i combattenti arrestavan la mano da’ colpi, lacrimosi guardando tutti Ruggier San Gineto. Qui altri dice ch’ei fe’ star la macchina, altri che con atroce virtù comandava di trar sempre. In questa tragica tensione d’umani affetti, s’era chiuso d’oscuri nugoli il cielo; disserravasi un turbine; il fremito de’ venti, il polverio confondeano ogni cosa; quando tra le ondate della caligine si vide il palco andare giù in un fascio, non si sa bene se per tiro del castello o folata di vento. Al maggior de’ giovanetti entrò nella tempia un palo aguzzo che l’uccise. Giacomo rendea ai miseri genitori il cadavere con onor di pompa funerale, rendea libero l’altro figliuolo, e scioglieva anco l’assedio. Perchè vedendo per quella medesima tempesta rifornito d’acqua il castello, e la propria sua flotta campata appena da grave rischio su quelle costiere; e tardandogli di mandare ad effetto una pratica con cittadini di Gaeta, rientrò in mare con tutte le sue forze per seguire i disegni della guerra45.

      Toccò Scalea, Castell’Abate, Capri e Procida che per lui si teneano; soprastette in Ischia; e smontò l’ultimo di giugno a Gaeta, agevolmente messo in fuga il conte d’Avellino, che in quello incontro ricordossi troppo vivamente la passata sua prigionia in Sicilia. Mala fazione che avea chiamato Giacomo, presumendo assai delle proprie forze46, sparatissima si trovò in quel tempo, in cui re Carlo II con tutti gli aiuti di Roma, rientrato nei regno per Solmone e Venafro, avviavasi a Napoli47. Largivagli il papa le decime ecclestastiche per tre anni48; bandiva per tutta Italia la croce, seguita in frotte da Guelfi di Lombardia e di Toscana, da Abbruzzesi, Campani e altri regnicoli, oltre le milizie feudali chiamate al servigio. Sotto il vessillo della croce e i comandi del legato pontificio, veniano i Saraceni di Lucera. Vide con gli occhi propri il Neocastro, donne portar armi tra quelle masnade, menarsi a guinzaglio grassi mastini per isfamarli di scomunicata siciliana carne. Questo esercito smisurato, sì diverso e bizzarro, capitanava il conte d’Artois49, in cambio del non guerriero monarca, inteso in Napoli a chiamar parlamento50, e con arti più miti tentare i Siciliani, promettendo perdono, e riforme, e che Francesi non manderebbe a governare la Sicilia, ma un legato del papa51.

      La fama dunque di tai forze, precorrendole a Gaeta, voltò tutti gli animi a parte angioina; tantochè gl’indettati con Giacomo furono i primi a gridare contr’esso. Però di ripari e provvedigioni si munì bene la terra; il re, tentate indarno le pratiche, dopo alquanti dì si pose a sforzarla: accampatosi sur un poggio egli coi cavalli e il fior delle genti; e gli altri pedoni attendò al piano, trinceati ambo i campi, antiveggendosi il pericolo. Con assalti forte dati e forte respinti, e scambievole trar delle macchine gran pezza passò quest’assedio: occuparono e poser a sacco i nostri Mola di Gaeta; poi infino al Garigliano da un lato, a Fondi dall’altro, corser guastando e saccheggiando i contadi di Nola, Maranola, e Tragetto; ma Gaeta si danneggiava aspramente e non espugnavasi. Indi a poco sopravvenendo l’oste crociata, corse in frotte a stormeggiare i siciliani alloggiamenti; da’ quali ributtata con molto sangue, anch’essa a picciol tratto si accampò. Gaeta dunque tra la flotta e le genti nostre, queste tra la città e il nimico alloggiamento assediati stavano, percotendosi

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<p>43</p>

I particolari di questi maneggi furono i seguenti:

Onorio incominciò a sollecitar Filippo il Bello, affinchè ripigliasse l’impresa del padre; e a questo effetto diede autorità al legato pontificio in Francia di sospendere e scomunicare tutti gli ecclesiastici che favorissero Alfonso in Aragona. (Archiv. del reame di Francia, J. 714. 9.)

Eduardo I appena fermata la tregua di luglio 1286, caldamente sollecitò la corte di Roma a ratificarla (Rymer, Atti pubblici d’Inghilterra, tom. II, parecchi diplomi del 27 luglio 1286, pag. 334, 335); ed essa mandò gli arcivescovi di Ravenna e di Morreale per trattar della pace, senza fermarla però da lor soli, soggiugnea Onorio, in sì dilicato e importante negozio (Ibid., pag. 340 e 341, 7 novembre e 1 marzo 1287; Raynald, Ann. ecc., 1286, §§. 13 e 14; Cronaca di Parma, in Muratori, R. I. S. tom. IX. pag. 810).

Ma insistendo Alfonso su i preliminari di Cefalù, il papa sdegnato ruppe gli accordi (Raynald, Ann. ecc., 1287. §. 6, breve dato di Roma a 4 marzo, di cui si fa menzione in due altri di papa Niccolò IV, del 15 marzo e 26 maggio 1288, in Rymer, l. c. pag. 358); sovvenne Filippo il Bello e Valois, che nuovamente minacciassero la guerra (Raynald, Ann. ecc., 1286, §. 28); i quali tentarono con lieve dimostrazione il Rossiglione (Montaner, cap. 158 e 160).

Intanto le cortes d’Aragona e Catalogna, infin dai primordi del regno d’Alfonso, avean preso ad esercitare tutti i poteri sovrani (Surita, Ann. d’Aragona, lib. 4, cap. 77 e 78); la nazione disapprovava sempre apertamente la impresa di Sicilia, e se sosteneva Alfonso era per timore della dominazione francese (rimostranza del 1286, citata nel cap. VIII, in nota.) Perciò Alfonso fu tratto a stipulare ad Oleron in Bearn, il dì quindici luglio milledugentottantasette, presenti i due legati pontifici, la liberazion di re Carlo. Si pattuì riscatto di cinquantamila marchi d’argento: che promulgata la tregua tra Francia e Aragona e inclusavi la Sicilia, Carlo si adoprasse a portarla infino a tre anni, e farvi accostar la Chiesa e il Valois: che procacciasse in questo tempo una pace soddisfacente a’ re d’Aragona e di Sicilia, e ratificata sì dalla Chiesa. Dovea Carlo dare statichi tre figliuoli suoi, sessanta nobili e borghesi provenzali, e giuramento de’ castellani delle fortezze di Provenza, che rassegnerebbersi ad Aragona, s’egli ne’ tre anni non ottenesse la pace, o non si tornasse in prigione (Dipl. del 25 luglio 1287, in Rymer, loc. cit., pag. 346, e in Lünig, Cod. Ital. dipl., tom. II, pag. 1035–1040. Dipl. del 28, 31 luglio e 4 agosto 1287, in Rymer, loc. cit., pag. 350, 351, 352). Raffermaronsi oltre a questo le nozze tra la figliuola d’Eduardo e re Alfonso, per tanti anni attraversate da Roma (Rymer, loc. cit., pag. 320 e 349, 27 maggio 1286, e 28 luglio 1287).

La inflessibile politica della corte di Roma, non ostante che vacasse la sede per la morte di Onorio, distrusse questo trattato d’Oleron. Prima il collegio de’ cardinali, poi Niccolò IV, esortavan Eduardo a trovar altro modo alla liberazion del prigione; ammoniano Alfonso vietandogli di aiutar il fratello; e ridavan le decime a Francia per la guerra (Rymer, loc. cit., pag. 353, 358 e seg., 362, 365, 366, diplomi del 4 novembre 1287, 15 marzo, 3 aprile, 26 maggio, 15 settembre 1288; Raynald, Ann. ecc., 1288, §§. 11, 12, 13, 14, 15; breve del 15 marzo, 1288, Mss. della Bibl. com. di Palermo, Q. q. G. 1, fog. 155).

Indi il trattato di Campofranco, scritto da un notaio del papa: per effetto del quale Carlo II pagò ventimila marchi, togliendone in presto diecimila da Eduardo; die’ sicurtà per altri settemila; statichi solo inglesi; parola ch’entro un anno procacciasse tregua tra Francia ed Aragona, o si rendesse alla prigione. Saragozza e altre città e baroni d’ambo le parti garantiron l’osservanza de’ patti; e Carlo giurolli una prima volta, e uscito di Catalogna rinnovò il giuramento, che il papa poi sciolse (Rymer, loc. cit., pag. 368 e seg., parecchi diplomi del 18, 21, 24, 25, e molti del 27 ottobre 1288, e altri del 28, 29 ottobre e 3 novembre dello stesso anno e 9 marzo 1289; Lünig, loc. cit., pag. 1035 a 1040; Raynald, Ann. ecc., 1288, §§. 16, 17).

Il dubbio in cui si restò pe’ patti di Campofranco, si scorge ancora da una lettera d’Alfonso data 4 gennaio 1290, dove affermansi non annullati que’ d’Oleron, e obbligatosi Carlo a procacciar la pace anche a Giacomo di Sicilia. Carlo II fu aiutato di danari al pagamento del riscatto, non meno da’ suoi sudditi, che da città italiane. Soprastette prima in Provenza; poi in primavera del 1289 passò in Italia; venne nel regno, ove fermò la tregua di Gaeta; e ripartì immantinenti per andare in Francia, a continuar le pratiche della pace, e far la commedia del presentarsi in Ispagna, poichè gli altri potentati accaniti non voleano piegarsi alla pace, ch’egli procacciava, portato dalla sua indole più che da’ suoi interessi (Rymer, loc. cit., pag. 429, 430, 435, 438, 441, diplomi del 5 e 7 settembre, 30 ottobre, 1 e 2 novembre 1289, e 4 gennaio 1290, e diploma del 1 novembre 1289, anche pubblicato dagli archivi d’Aix, per Papon, Hist. gén. de Provence, tom. III, docum. 20; Raynald, Ann. ecc., 1289, §§. 1 a 11, e 13, 14, 15; Cronica di Iacopo Malvecio, in Muratori, R. I. S., tom. XIV, cap. 103, 104, 106, 108, e diplomi di Carlo II in essa trascritti, dati di Marsiglia il 1 dicembre 1288, di Genova a 26 aprile 1289, e di Rieti il dì della Pentecoste del 1289, da’ quali si vede che il comune di Brescia porse 2,000 fiorini a Carlo, che ne l’avea pregato con molta istanza, dicendo dover soddisfare il danaro o tornar in prigione). L’insistenza del papa a minacciare Alfonso dopo la liberazione di re Carlo, per ottener quella de’ figliuoli, e l’abbandono assoluto di Giacomo re di Sicilia, si scorge da un breve del 25 settembre 1288, due del 9 febbraio, cinque del 31 maggio, uno del 28 giugno, e uno del 7 luglio 1289, relativi tutti a una novella concessione di decime ecclesiastiche al re di Francia, e una bolla del 31 maggio 1289, con la quale si dava autorità al vescovo d’Orléans e all’abate di Cluny, di ribenedire gli scomunicati per aderenza con Pietro o con Alfonso d’Aragona. Negli archivi del reame di Francia, J. 714. – 18, 12, 11, 12, 12, 13, 13, 14, 15, 18, 15.

I comuni del regno di Napoli nel 1287 contribuiron danaro per la liberazione del re, come si scorge da un diploma nel citato Elenco delle pergamene del r. archivio di Napoli, tom. II, pag. 20. Veggansi anche per tutte queste negoziazioni, Bart. de Neocastro, cap. 111, 112. – Niccolò Speciale, lib. 2, cap. 15. – Tolomeo da Lucca, Hist. ecc., lib. 24, cap. 23, in Mur., R. I. S., tom. XI. – Gio. Villani, lib. 7, cap. 125–130. – Ramondo Montaner, cap. 162, 166, 167, 168, 169, che più o meno ne riferiscono il vero.

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Un diploma di Carlo II dato di Venosa a 23 febbraio (non segnai bene l’Ind.) fa parola di danaro dato a Ruggier di Sangineto, a domanda della moglie, per lo riscatto de’ suoi figliuoli. Nel r. archivio di Napoli, reg. 1291, A, fog. 213.

<p>45</p>

Bart. de Neocastro, cap. 112.

Nic. Speciale, lib. 2, cap. 13.

<p>46</p>

Bart. de Neocastro, loc. cit,, Nic. Speciale, lib. 2, cap. 14.

Veggasi anche il Montaner, cap. 116, 150, 163 e 165, il quale in vero segna due antecedenti passaggi di Giacomo in Calabria, e dà a veder sempre che molti fatti s’eran confusi nella sua memoria

<p>47</p>

Si ritrae da’ diplomi del 27 e 28 giugno, notati nello Elenco delle pergamene del r. archivio di Napoli, tom. II, pag. 43 e 44, nota. 2.

<p>48</p>

Raynald, Ann. ecc., 1289, §. 13.

<p>49</p>

Bart. de Neocastro, cap. 112.

Nic. Speciale, lib 2, cap. 16.

L’appello al servigio militare entro pochi giorni, si ritrae dal citato Elenco, tom. II. pag. 48, 49, 50 e 51, ove leggonsi vari diplomi dell’11, 12, 13 e 16 luglio 1289.

<p>50</p>

Ibid., pag. 51, diploma del 31 luglio.

<p>51</p>

Raynald, Ann. ecc., 1289, §. 15.