I rossi e i neri, vol. 1. Barrili Anton Giulio
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– E dàlli con le stravaganze! Perchè non aggiungi che son bianchi?
– Eh, secondo il riflesso, perchè no? – rispose l'impertinente sragionatore. – A me poi la marchesa Ginevra fa questo senso; che cosa ne posso? E la persona! Come è svelta, senza dare nello scarno! Come è piccino quel piede, e come è sottile quella mano! Io non so, Aloise, se tu abbia mai considerato quel naso di purissima forma greca, le grandi sopracciglia, e quei candidi denti e le labbra che paiono di corallo tenero… —
Aloise, in quella che l'amico passava cosiffattamente in rassegna tutte le bellezze della marchesa Ginevra, era rimasto assorto in certi suoi pensieri; ma finalmente, veduto che il ritratto andava un po' per le lunghe, disse al Pietrasanta:
– Ma tu non hai risposto alla dimanda che io ti avevo fatta.
– Ah, è vero, scusami. Ma tu potevi del resto argomentare che se c'era il marchese Antoniotto, c'era anche la signora la quale era bella sai, bella come se il marito fosse stato mille miglia lontano.
– Che altra novità è questa tua?
– Eh, lo sai pure! Un marito ai fianchi, è come una brutta veste od un acconciatura disdicevole, che la più graziosa tra le donne ci scapita a portarla.
– Pazzo! – esclamò un'altra volta Aloise, a cui gli sproloquii del Pietrasanta avevano la virtù di rallegrar sempre lo spirito. – E come accomodi tu tanta ammirazione per la marchesa Ginevra co' tuoi amori da palco scenico?
– Ih, come corri! La mia ammirazione per lei è affetto legittimo del senso artistico, e non altro. Che vuoi si faccia ella di me? Ed io in fin dei conti che potrei farmene di lei? Io penso che sia la donna più fredda del mondo. Già, non potrebbe essere diverso. Dio le fa belle, e poi leva loro l'anima, perchè si conservino meglio, come gli uccelli impagliati.
– Pietrasanta! Tu non sei giusto…
– Bravo, e che cosa ti ho da dire? A me fa questo senso. E poi… e poi…
– E poi, che cos'altro?
– E poi, mi paiono donne da lasciarle dove sono.
– Qui, forse, hai ragione; – disse, aggrottando le ciglia, Aloise.
XI
Dove si viene in chiaro del segreto di Aloise.
In quel mentre, giunse il servo ad annunziare che la carrozza era innanzi all'uscio di strada. La qual nuova, com'è agevole il credere, interruppe il dialogo dei due amici; e il lettore, a cui ne dolesse, non ce l'apponga a noi, sibbene al servitore, che è venuto in mal punto.
Due minuti dopo, Aloise e Pietrasanta salivano in quella vettura di rimessa, fatta venire dal servo, e i due cavalli che v'erano attaccati partivano al trotto verso la Nunziata. Il Montalto era rimasto sovra pensieri, e non badava nemmeno alla lunga e popolosa strada che percorreva, la quale è l'arteria principale, l'arteria aorta di Genova, e piglia tanti nomi diversi ad ogni suo gomito, da via Balbi fino a piazza San Domenico, e di là fino alle porte della Pila.
Giunti all'aperto, il Pietrasanta cominciò uno dei soliti discorsi bizzarri, ai quali Aloise stava attento, secondo l'umore, e rispondeva o non rispondeva, secondo la voglia.
Il discorso importante, quello al quale Aloise di Montalto aveva a stare più attento che mai, cominciò dopo il paese di Quarto, allorquando al girare di una piccola lingua di terra che s'inoltra sul mare, videro un palazzo di campagna, di forme magnifiche e di stile severo, murato sul pendio di un colle, poco lontano dalla strada maestra.
– Ecco là; – disse il Pietrasanta, accennando del dito, – quella è la dimora estiva del tiranno di Quinto.
– È davvero un bel luogo di villeggiatura! – rispose Aloise.
– Che te ne pare, Aloise? – esclamò l'altro. – Oggi siamo proprio perseguitati dai Torre Vivaldi.
– Oh bella! Se veniamo noi stessi a passare dinanzi a casa loro!..
– Orbene! La montagna che si muove verso Maometto; Maometto che si muove verso la montagna; il miracolo non è sempre lo stesso? Vuoi che andiamo a vederla, questa villa Vivaldi?
– E a Nervi? – chiese Aloise, così __pro forma__.
– A Nervi ci andremo poi per riposare i muscoli. E poi, che cosa c'importa di vedere, colà? Abbiamo detto a Nervi, come avremmo detto al Giappone, per fare una passeggiata, e siamo padroni di mutare l'itinerario. E poi, sentimi, due passi a piedi ti faranno anche bene.
– Sei tu mai stato alla villa Vivaldi?
– Io no; ma che importa? Ci aprirà il giardiniere.
– Andiamo dunque.
– Andiamo. Ehi, cocchiere! – gridò il Pietrasanta. – Lasciate la strada maestra e prendete quell'altra a sinistra. Vogliamo andare alla villa Vivaldi, là da quel cancello verde che vedete. —
Il cocchiere obbedì e la carrozza fu in breve davanti al cancello di ferro fuso, sormontato da uno stemma partito di rosso e d'argento, col capo d'oro all'aquila nascente di nero, coronata e rostrata d'oro.
Due forti scampanellate chiamarono il giardiniere, il quale, veduti i due signori, e indovinandoli d'alto bordo, si affrettò ad aprire, e a riceverli col cappello in mano, dinanzi allo smontatoio della carrozza.
– Amico, – disse il Pietrasanta, – vorremmo entrare, con vostra licenza, a vedere un poco questa magnifica villa.
– Oh, sono padroni! – rispose l'altro con due inchini; e fattili entrare davanti a sè, richiuse il cancello.
Il palazzo Vivaldi era superbamente piantato sul colmo d'un poggiuolo, e vi si andava per un lungo e spazioso viale a dolcissimo pendio, chiuso ai lati da due file di rosai e di tamerici. L'architettura esterna era la consueta di quasi tutti i palazzi delle nostre campagne: soltanto si notava che quattro finestre del piano nobile, le ultime a manca, si allargavano a forma di loggia, custodita da grandi vetrate che s'intelaiavano nei colonnati; e le ultime quattro a destra cadevano entro le linee perpendicolari di una torre che usciva da quella parte del palazzo, rompendo ad angolo due acque del tetto.
Il piazzale dinanzi al gran portone arcato era coperto di ghiaia; i viali ai due lati andavano a dare in un muro che serviva di riparo a due di quelle belle spalliere di aranci e di limoni, che hanno fatto dire al Goethe il famoso verso: «Kennst du das Land wo die Citronen blühen?» Alle spalle del palazzo correva una stradicciuola campestre; laonde, per collegarlo col prato e col bosco della villa, scendeva dal pian nobile dell'edifizio un cavalcavia, fatto a foggia di gradinata, con le sue sontuose balaustrate di marmo.