Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I. Botta Carlo

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Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - Botta Carlo

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gli altri derivano l'autorità loro; non sopportasse, che tanta fatica, che sì solenne viaggio, che esortazioni tanto paterne, che sì grande aspettazione dei buoni, in affare di tanto momento, fossero indarno».

      Tutte queste cose gravi in se stesse, e porte altresì con grandissima gravità dal pontefice, non poterono svolgere Cesare dalle prese deliberazioni. Tornossene Pio a Roma tanto più dolente, quanto più vicino alla sua sede stessa vedeva sorgere la tempesta, cui voleva stornare. Era stato assunto nel 1765 al trono di Toscana il gran duca Leopoldo. Questo principe, il quale non si potrà mai tanto lodare, che non meriti molto più, mostrò quanto possa per la felicità dei popoli una mente sana congiunta con un animo buono, e tutto volto a gratificare all'umanità. Solone fece un governo popolare, e torbido, Licurgo un governo popolare, e ruvido, Romolo un governo soldatesco, e conquistatore; fece Leopoldo un governo quieto, dolce, e pacifico, tanto più da lodarsi dell'aver concesso molto, quanto più poteva serbar tutto. E se anche si vorrà accagionare il gran duca di aver dato occasione co' suoi nuovi ordinamenti alla rivoluzione Francese, come odo che si dice, io non so se sia più da deplorarsi la cecità di certuni, o l'infelicità dei principi, più soggetti sempre ad esser adulati quando fan male, che lodati quando fan bene.

      Erano prima di Leopoldo le leggi di Toscana parziali, intricate, incommode, improvvide, siccome quelle che parte erano state fatte ai tempi della repubblica di Firenze, tumultuaria sempre e piena di umori di parti, e parte fatte dopo, ma non consonanti con le antiche, le quali tuttavia sussistevano. Altre ancora erano per Firenze, altre pel contado, queste per Pisa, quelle per Siena, poche, o nissune generali. Sorgevano incertezze di foro, contese di giurisdizione, lunghezze d'affari, un tacersi per istracchezza dei poveri, un procrastinare a posta dei ricchi, ingiustizie facili, ruine di famiglie, rancori inevitabili. Erano altresì leggi criminali crudeli, o insufficienti, un commercio male favorito, un'agricoltura non curata, un suolo pestilenziale, possessioni mal sicure, coloni poveri, debito pubblico grave, dazii onerosissimi.

      A tutto pose rimedio il buon Leopoldo. Annullò i magistrati o superflui, o poco proficui, o privilegiati, e tra questi quello delle regalìe, togliendo in tal modo qualunque prerogativa, che sottraesse ai tribunali ordinarii quelle cause, che percuotevano l'interesse della corona. Esentò i comuni dai fori privilegiati; gli rendè liberi nel governo dei loro beni, diè loro facoltà non solamente di esaminare, ma ancora di giudicare dell'opportunità delle pubbliche gravezze, per modo che il corpo loro venne a formare nel gran-ducato a certi determinati effetti una rappresentanza nazionale. Condonati, oltre a ciò, dei debiti verso l'erario, e soddisfatti dei crediti, sorsero a grande prosperità; crebbela ancor più il miglioramento del catasto.

      Soppressi adunque i privilegii individui, ed i fori privilegiati, corpi e persone acquistarono equalità di diritti quanto alla giustizia. Tali furono gli ordini civili introdotti da Leopoldo. Circa i criminali, annullò altresì ogni immunità e parzialità di foro; abolì la pena di morte, abolì la tortura, il crimen-lese, la confisca dei beni, il giuramento de' rei; statuì, le querele doversi dare per formale instanza, e dovere stare il querelante per la verità dell'accusa; restituissersi i contumaci all'integrità delle difese; del ritratto delle multe e pene pecuniarie, cosa degna di grandissima lode, si formasse un deposito separato a beneficio e sollievo di quegli innocenti, che il necessario e libero corso della giustizia sottopone talvolta alle molestie di un processo, ed anche del carcere, non meno che per soccorrere i danneggiati per delitti altrui; il che fondò, cosa maravigliosa, un fisco, che dava in vece di torre; le pene stabilì proporzionate al delitto. Nè contento a questo, diè carico di scrivere un novello codice toscano all'auditor di Ruota Vernaccini, ed al consiglier Ciani, uomini, l'uno e l'altro i quali non solo volevano e sapevano, ma ancora credevano potersi far bene e utilmente in queste faccende delle leggi, il che non si dice senza ragione a questi nostri dì, in cui da alcuni vorrebbesi insegnare, che la miglior legislazione che sia, è quella dei tempi barbari.

      Fu l'effetto conforme alle pie intenzioni; poichè fu in Toscana una vita felicissima dopo le novità di Leopoldo; i costumi non solo buoni, ma gentili, i delitti rarissimi, nè sì tosto commessi che puniti; le prigioni vuote, ogni cosa in fiore. Così questa provincia, che già aveva dato al mondo tanti buoni esempii, venuta in potestà di un principe umanissimo, diè ancor quello di un corpo di leggi temperato di modo, che nè il governo maggior sicurezza, nè i popoli potevano maggior felicità desiderare.

      A questo medesimo fine contribuirono non poco i nuovi ordini di Leopoldo rispetto all'agricoltura, ed al commercio. Rendè i coloni liberi dalle vessazioni, le terre dalle servitù; moderò la facoltà d'instituir fide-commissi, riunì la facoltà del pascolo al dominio, onde fu distrutta l'antica legge del pascolo pubblico, per cui veniva impedito ai possessori ed ai coloni il cingere di stabili difese i terreni, e costretti erano a lasciargli in preda al bestiame inselvatichito, con grandissimo guasto delle ricolte. Nacquero da questa provvisione effetti notabilissimi, che e le ricolte si migliorarono, ed i bestiami s'addomesticarono.

      Considerato poi quanto gli appalti generali dei dazii fossero molesti ai popoli, e gravi ai governi buoni, Leopoldo gli abolì. Molte privative ancora furono tolte, quella della vendita dei tabacchi, dell'acquavite, e del ferro: a tutti si diè facoltà di cavar miniere; le gabelle sui contratti, e la regalìa della carta bollata si moderarono. Sapevasi Leopoldo, che tutte queste riforme avrebbero diminuito l'entrate dell'erario. Pure non se ne rimase, movendolo il ben pubblico più che il vantaggio del fisco. Ciò non ostante assai meno diminuirono, che si era creduto: perchè la prosperità del paese, e la più attiva circolazione dei generi, che ne risultarono, supplirono in gran parte a quello che si perdeva. Mirabile argomento, che la prosperità dei popoli prodotta dalla libertà, non la gravezza delle imposte, è la miglior fonte che sia della ricchezza dell'erario.

      S'aggiunsero le dogane interne soppresse, nuove strade aperte, canali scavati, porti, e lazzaretti o nuovi, o ristorati, fatto sicuro a Livorno agli esteri l'esercizio della religione, aboliti i corpi delle arti e le matricole, surrogati agl'impedimenti premii, facilità, ed esenzioni, massime in beneficio delle arti della seteria e del lanificio, parti essenzialissime del commercio di Toscana. La libertà delle tratte, mediante un modico dazio rispetto alle sete, tanto operò, che se il provento loro in Toscana montò nel 1780 solamente a libbre 163,178, montò nel 1789 a ben 300,000.

      Ma per parlar di nuovo del governo delle terre, non solo Leopoldo lo migliorò d'assai, migliorando la condizione dei coloni, ma rendè ancora coltivabili quelle che per infelicità di suolo si trovavano incolte. Così la val di Chiana, così quella di Nievole, ricche ed ubertose terre; così la gran parte il capitanato di Pietrasanta, e le frontiere del littorale livornese e pisano, usando secondo i luoghi appositamente tagli, colmate, argini, canali, furono per opera sua liberate dall'acque, ridotte a sanità, e restituite alla coltivazione. Ma opera di molto maggior momento, e di quasi insuperabile difficoltà, fu il prosciugamento delle maremme sanesi a tal termine condotto, che si aveva speranza di totale perfezione. Sono le maremme sanesi un vastissimo padule, che dai confini della provincia di Pisa fino a quelli dello stato ecclesiastico si distende, lungo il mare, lo spazio di circa settanta miglia, e per larghezza dentro le terre da cinque o sei, fino a quindici o diciotto. La pianura di Grosseto è la parte più considerabile di queste maremme. Sono in questi luoghi i terreni non sommersi tanto fecondi, quanto l'aria vi è infame, e pestilenziale.

      Sotto Ferdinando primo de' Medici erasi già in parte conseguito l'intento, e parecchi paduli a stato coltivabile ridotti. Trascurate poi le opere da' suoi successori, ritornarono le terre e l'aria a peggior condizione di prima. Ma non così tosto fu assunto Leopoldo, che pensò alle maremme. Mandovvi il padre Ximenes, mandovvi Ferroni e Fantoni, matematici di chiaro nome, e dell'idraulica intendentissimi. Già la pianura di Grosseto, già il lago, o per meglio dire, la palude di Castiglione, ambedue parti principalissime delle maremme, eransi ridotte a stato tollerabile. Speravasi meglio, anzi il finale intento: usavansi le colmate per le acque dell'Ombrone, e della Bruna, introdotte ai tempi delle torbe; usavansi canali, e cateratte in più opportuni siti trasportate.

      Oltre a ciò Leopoldo, mosso dal pensiero che le popolazioni scarse fanno l'aria insalubre, le abbondanti sana, allettò con premii ed esenzioni tanto i paesani, quanto i

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